BLA BLA BLA……. UNA QUESTIONE DI ENERGIA

di LUCIANO DAMIANI

In questi giorni si è svolto a Milano il pre COP26, la conferenza sul clima che si svolgerà a Glasgow a fine ottobre. Nell’occasione Greta Thunberg è tornata a far parlare di se offuscando in buona parte i contenuti della preconferenza, assieme alle manifestazioni dei suoi Fridays for future i tanti giovani che hanno partecipato alle manifestazioni di questi giorni appena passati.

A leggere le cronache della conferenza pare che l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo è che bisogna muoversi, citando Cingolani “Tutti hanno riconosciuto che occorre accelerare…”. La realtà è che ogni paese ha le sue esigenze, le sue priorità e che i paesi ‘ricchi’ dovranno fortemente sostenere i paesi poveri perché, proprio per la loro povertà, non sono probabilmente in grado di sopportare trasformazioni drastiche. C’è da chiedersi, per quei paesi, se sia possibile immaginare uno sviluppo industriale senza un incremento delle emissioni climalteranti. Intanto la Cina, molto poco democraticamente, ha deciso di razionare l’energia fossile operando interruzioni della distribuzione con lo scopo di ottenere una sorta di risparmio energetico coatto, la via cinese alla transizione. Il Sole 24 ore titolava giorni fa: “Cina a corto di energia taglia la corrente all’industria”. La transizione cinese è drastica, a costo di tagliare le produzioni.

Nel frattempo, la bolletta energetica si impenna a causa della ripresa delle attività economiche post Covid, della riduzione dell’energia disponibile sul mercato, dei costi della produzione di CO2 ecc.. e magari per qualche speculazione, obbligando il governo ad inventarsi qualcosa per proteggere le categorie più deboli. Verrebbe facile pensare che la soluzione radicale a questo problema sarebbe la ‘democrazia energetica’, ovvero “ognuno si fa da se l’energia che gli serve”. Le ‘comunità energetiche’ sono forse i primi esempi di democrazia energetica, esempi che hanno in coloro il cui interesse è mantenere il ‘potere energetico’ i primi nemici.

Siamo però abituati alla contingenza, per cui c’è da chiedersi se stiamo affrontando la sfida nel modo corretto o, se vogliamo, utile nell’ottica di un reale cambiamento non solo nella produzione ma anche nell’utilizzo. La riflessione che sarebbe da farsi non può prescindere dalle abitudini dei consumatori e dal modello di sviluppo, e forse quest’ultimo dovrebbe essere, in prospettiva di lungo termine, il tema principale, ma siamo purtroppo abituati alla contingenza, il ‘lungo periodo’ le mutazioni della società futura non sono praticamente considerate, sarà quel che sarà.

Si dibatte se e quanto la transizione sarà dolorosa, se si possa fare col gas o meno o se  meglio sarebbe dedicarsi al nucleare di quarta generazione. Gli addetti ai lavori non sono d’accordo fra loro, specchio dei tanti interessi che girano attorno al tema energia, intanto il riscaldamento globale se ne fotte e va avanti per la sua strada. In una inchiesta televisiva di qualche tempo fa lo scienziato di turno avvisò che il punto di non ritorno era già bello che passato, che il permafrost disgelato lasciava passare tanto metano quanto ogni buona intenzione umana di essere ad “impatto zero” non riuscirebbe mai a risparmiare. Intanto i decisori fanno tanto bla bla bla, da un COP all’altro, oramai da anni.

Il bla bla bla, in realtà non lo fanno solo i grandi decisori, lo fanno un po’ tutti coloro che hanno ruoli decisivi, un po’ tutti, infatti, hanno un grosso problema, debbono misurarsi con il sistema economico, ma anche con le abitudini delle persone. Come si possa coniugare il tema della lotta al riscaldamento globale con un sistema basato essenzialmente sul ‘consumo’, ancora non è chiaro, chissà se qualcuno di loro s’è posto questa domanda. Si può lavorare da una parte alla ripresa industriale e quella dei consumi e nel contempo combattere l’effetto serra? Per quanto io abbia sentito, l’idea di un cambio nel modello di sviluppo, una transizione, ad esempio, dal consumo al servizio, pare non sia venuta a nessuno. La vorremmo noi a Civitavecchia, non tanto per il clima ma purché “abbiamo già dato”. Men che meno si discute delle abitudini spendaccione, in termini energetici, dei cittadini. Del resto il continuo incentivo alla mobilità privata la dice lunga sul ruolo secondario nel quale si vuol tenere il trasporto pubblico, specie quello locale, siamo condannati a spostare una tonnellata e forse più di automobile per farci portare noi, che pesiamo attorno agli 80 chili, al lavoro o a fare la spesa, uno spreco di 900 chili. Il trasporto inutile è forse la più eclatante delle manifestazioni discutibili di consumo energetico del cittadino, ma non è certo l’unica.

Il sistema dunque va mantenuto, a cambiarlo non si pensa, dobbiamo dargli però un aspetto più green e dobbiamo farlo mantenendo possibilmente i livelli occupazionali. Così invece di operare perché le fonti sostenibili siano minimamente sufficienti, si afferma la necessità del gas o del nucleare per permettere al sistema di riprendere a crescere, ed alla gente di riprendere a consumare, facendo forse finta di non sapere che è proprio il concetto di ‘consumo’ probabilmente il tema essenziale.

La ricrescita dei consumi non è compatibile con la transizione energetica, non lo è con la riduzione dell’impatto antropico sul clima e, credo, così come accade mentre scrivo, i disastri climatici continueranno ad essere presenti sempre più nelle cronache dei TG. La transizione dovrebbe interessare anche e soprattutto il modello di sviluppo. Però avremo la nostra nuova auto elettrica, e avremo rottamato un po’ di tutto. Grazie a bonus ed incentivi il ‘consumo’ riprenderà con buona pace dei veri ambientalisti, di coloro che fanno del riuso un credo e dei comportamenti individuali qualcosa di essenziale di irrinunciabile.

Ci piacerebbe vedere una massiccia campagna mediatica che abbia come obiettivo proprio i comportamenti dei singoli in chiave climatica, certo non sarebbe però coerente con le politiche messe in campo, Non si può certo dire alla gente di tenersi il televisore finché funziona e intanto facilitarne la rottamazione, oppure dirgli di prendere il mezzo pubblico e poi finanziare quello privato. Il consenso andrebbe a farsi fottere. Questo tipo di affermazioni richiedono una visione ed una determinazione verso un cambio di sistema non da poco, certamente qualità piuttosto assenti nel panorama politico. Per onestà occorre però dire che non può certo un paese autonomamente cambiare il modello di sviluppo, la connessione e l’interdipendenza con gli altri paesi è tale che realizzare una svolta, in qualsiasi direzione essa sia, senza il coordinamento con i partner stranieri pare davvero improponibile.

Siamo condannati a non cambiare mai? No, intanto potremmo cercare di rincorrere le buone pratiche altrui facendo un bagno di umiltà smettendo di pensare che siamo il paese più bello, che abbiamo la sanità migliore, ecc.. ecc.. e non arrivo alle esagerazioni tipo “abbiamo la maggior biodiversità al mondo”, con buona pace della foresta amazzonica. Lodare le doti di un paese che per molti appare allo sbando, è forse l’alibi del mancato impegno per un benefico cambiamento che nasconde forse mancanza di idee e magari interessi di parte. Non è forse questo il limite della politica italiana?

Il bla bla bla si limita dunque a discutere su come produrre energia…. Sarebbe interessante se si discutesse anche di come consumarne meno in futuro. A parte i bonus per cambiare gli infissi e mettere il cappotto alle palazzine, ci sono altre voci che contemplano il risparmio nei consumi? La loro riduzione? Voci che vedono in un diverso modello di sviluppo la chiave per una società più sostenibile? Bla bla bla…..

LUCIANO DAMIANI

Nella foto di copertina i ragazzi di Civitavecchia a Milano per il pre COP