FATTI E FATTACCI DELLA CIVITA-VECCHIA DELL’OTTOCENTO – 6. CONCHIGLIE

di SILVIO SERANGELI

Il Maestro batteva la canna d’India sul selciato e guardava il cipollone d’oro con catena. «Ma quando arrivano, che fine hanno fatto?» Proprio in quel momento, a rompere l’impazienza dell’attempato signore che vestiva un completo di lino, sbucarono dalla Porta due colossi che spingevano un carretto. «Maè, abbiate paciencia, ma ce n’è voluto pe’ trovà quello bono». Dantarello e Lelletto erano due facchini che lavoravano al porto. Il Maestro li conosceva da ragazzini, e si rivolgeva a loro per i compiti più delicati. E questo trasporto lo era, e molto. Bisognava portare a destinazione il tesoro, unico e raro, che egli aveva messo insieme in tanti anni di appassionata ricerca. «È tutto pronto, imballato nelle casse, fate attenzione perché so’ come cristalli, me arriccomanno». Dopo le insistenze dell’Ammiraglio, suo grande amico, che s’era deciso a donare le stampe del grande incisore al Comune, stava per fare la stessa cosa con la sua preziosissima collezione  di conghiglie. A Firenze qualche mese prima un mercante di via del Corso aveva battuto all’asta una raccolta di tremila pezzi per una cifra da capogiro. E le conchiglie del Maestro non erano certo da meno per qualità e per numero. Andavano molto in quegli anni queste collezioni dal carattere naturalistico ed esotico. Lo stesso pontefice, magari dimenticando di governare il suo Stato e mandandolo in malora, era diventato il promotore di musei ed esposizioni. Minerali di tutte le provenienze, farfalle, animali e uccelli impagliati dei più disparati luoghi della terra facevano bella mostra lungo i corridoi e nei saloni popolati di vetrine espositive. Si potevano ammirare perfino uccelli della Nubia e mammiferi del Senegal. Lo stesso papa aveva donato al nuovo museo naturalistico di Roma una preziosa collezione di conchiglie del Mar Rosso. Il Maestro le conosceva bene, perché era un’autorità, un membro benemerito dell’Accademia dei Nuovi Lincei, stimato e ammirato al punto che gli era stata intitolata una lamellaria, un mollusco acefalo sconosciuto, la Venus Nucleus, che  aveva scovato fra gli scogli del Lazzaretto.

Conchiglie

Il caretto era carico, le corde erano state tirate a dovere, i due facchini, seguiti passo passo dal Maestro che si aiutava con la sua canna d’India, si avviarono verso la vicina sede comunale. Bisognava fare attenzione al selciato sconnesso e a qualche buca. «Appogiate lì ste casse, una vicina all’altra. Poi quanno sarà er momento le aprimo» fece il magazziniere del Comune in una specie di antro sprofondato sotto il piano stradale. Il Maestro non era per niente convinto: «Ma semo sicuri che qui nun ce viè nissuno? Me sa che sta catenella co’ na spintica se la porteno via». Tutto a posto per l’ometto comunale che cominciava a indispettirsi e voleva fare presto con questa rogna delle conchiglie: «Ma chi volete che ce viene qui, li diavoli? Mica è oro colato; chiudo tutto e annamo via». La pazienza e la tolleranza non erano mai mancati al Maestro, che  fin da ragazzino passava la gran parte del tempo a mare, fra gli scogli, lungo l’antimurale. Collezionista, naturalista esimio ed esperto di correnti marine e di maree, collaboratore fraterno dell’Ammiraglio che  gli aveva portato diverse conchiglie dai suoi numerosi viaggi per mari ed oceani. I suoi calcoli erano stati la struttura portante del progetto, del “Disegno dell’ingrandimento e miglioramento del porto di Civitavecchia” che avrebbe dato una svolta ai traffici, ma che l’Ammiraglio si era visto rifiutare per mancanza di fondi e di idee che latitavano da tempo nello Stato del Papa Re. «Quello che me coce, e tanto, avè fatto davanti alla commissione la figura der fregnone» ripeteva il grande navigatore, nero come la pece e con gli occhi di fuori. Un altro fregnone doveva rivelarsi il suo amico e collaboratore. Quando con il falegname si era recato al magazzino per valutare la costruzione delle vetrine d’esposizione per le conchiglie, trovò la porta socchiusa e le casse tutte aperte con la paglia sparsa ovunque. I pezzi di valore erano spariti. Non gli restò che dare uno spintone al magazziniere che farfugliava, gettarlo a terra e recitare un lungo rosario di bestemmie, non da lui che era fervente cattolico e praticante, per di più cugino del Padre domenicano, autore della monumentale Storia della Marina Pontificia.  A risollevargli un po’ il morale ci pensò lo scherzo che aveva organizzato ai danni del console. Con lui si vedeva a bottega con l’antiquario, il  Cavaliere e l’Avvocato. Dovete sapere che il Maestro, sempre impettito e con lo sguardo severo, che passava per uno zitellone pedante, nella realtà era un amante della buona cucina,  nei suoi frequenti convegni d’alcova ospitava le più belle e procaci popolane alle quali per sdebitarsi regalava regolarmente una coppia di pendenti di corallo, per rimanere al suo campo di ricerca e alla sua passione. Era un gran burlone, così convinse la sua fiamma del momento a prestarsi al gioco. Va detto che la giovane e prosperosa Olimpia vantava un  corpo da capogiro, ed era soprattutto dotata di uno straripante decolleté sempre ben in mostra. La ragazzona faceva i servizi alle signore e teneva un banchetto al mercato dove vendeva fusaie, lupini, semi salati, giuggiole. Quando si presentò a bottega col suo cesto di delizie, piantò il prosperoso davanzale sotto gli occhi del console che era scattato in piedi, ammirato e impacciato di fronte a tanta bellezza. Fra mille complimenti alla ragazza, espressi quasi fino a toccarla, finì per comprare una buona parte del contenuto del cesto che non avrebbe mai potuto mangiare con gran divertimento del simposio degli amici liberali illuminati. Voi direte: è le conchiglie? C’era tutto il tempo per sollevare da terra e attaccare al muro il magazziniere, che sicuramente aveva avuto una parte nel furto e, magari con l’aiuto di Dantarello e Lelletto, fallo cantare.

SILVIO SERANGELI