I VESTITI DELLA CULTURA

di PAOLA LIBERATORI ♦

Cultura, in latino, significa “Coltivazione della terra” dal verbo còlere, coltivare, da cui il termine odierno “coltura” riguardante l’agricoltura. Nel corso della storia il termine “cultura” ha trovato una sovrabbondanza di significati e concezioni e risulta senz’altro diversamente interpretabile per i successivi sviluppi nel tempo. C’è tuttavia un principio fondamentale che mi affascina e che riporta alla terra coltivata. L’agricoltore sa bene quanta attenzione e cura esige il suo lavoro, affinché si possano raccogliere i vari frutti. Ebbene è bello constatare come la cultura, considerata a livello personale il complesso di conoscenze e nozioni, coltivata in un terreno fertile, possa influenzare e fruttificare in seno all’intera società.

La coltivazione della terra non è altro che la manipolazione della natura ad opera dell’uomo, ma l’uomo stesso fa parte, anima e corpo, della natura e i latini davano grande rilevanza alla “cultura animi”: questa consisteva in un insieme di processi di apprendimento di coltivazione dell’uomo che, come la terra, doveva essere lavorato per dare buoni frutti. L’aggettivo “cultus” designava tutto ciò che veniva lavorato e coltivato con particolare cura: da questa situazione il termine Culto per sottolineare una cura profonda e assidua. In questa prospettiva il concetto di cultura è parente di quello di coltivazione! In seguito, alla Cultura sono state date tante altre definizioni e origini ma personalmente ritengo quanto ho esposto, un concetto cardine che ebbi modo di discutere quando, ai tempi del maestro Filippo Tricomi, fui invitata quale ospite all’Università della Terza età. A proposito un aneddoto simpatico: si alzò in piedi un giovane che aveva accompagnato suo nonno. Era palesemente un culturista e ci tenne a sottolineare il concetto di “massima e assidua cura”! Aveva ragione, il culturismo è un culto avanzato del corpo.

Un aspetto culturale di cui l’Italia va giustamente fiera, è la ricchezza d’arte, in tutte le sue sfaccettature e ogni città, compresa la nostra, ha il suo grande o piccolo scrigno. Non essendo nata a Civitavecchia ho appreso molto attingendo dalla Società storica Civitavecchiese e prendo l’occasione per complimentarmi con Enrico Ciancarini e i suoi collaboratori; sicuramente io non ho la sua competenza nel parlare della cultura della città, tuttavia voglio ricordare il suo impegno, insieme alla professoressa Maria Grazia Verzani, nella rivalutazione delle opere e della figura di Luigi Calamatta, artista locale. La sua fama, la stima e l’apprezzamento avevano però conquistato non solo l’Italia ma, valicando la catena alpina si erano diffusi nei vari Stati europei. Un atto d’amore dunque per la cultura di Civitavecchia, ma anche delusioni per il mancato sostegno, delusioni espresse allora proprio da Enrico, in una sola riga: “Chi vorrebbe non può, chi può non vuole”. Eppure culturalmente la nostra città avrebbe tutti i requisiti per fare un potente balzo in avanti, ricca, molto più di quanto si sappia, di beni emersi e sommersi. Rimane l’eterno problema dei finanziamenti ove siano necessari, ma la signora CULTURA ESIGE CURA! Lei è il passato, con le nostre radici e le esperienze che ci hanno formato. È il nostro quotidiano presente e la base del nostro incerto futuro. Mi auguro che la città intera abbia gioito del rinnovamento del nostro museo diventato Museo Archeologico Nazionale, grazie alla competenza e impegno della direttrice, carissima amica, Lara Anniboletti che anche oggi mi ha anticipato imminenti progetti. Tuttavia mi sorge una domanda: perché la cultura viene spesso considerata un bene d’élite, o un passatempo per chi non ha nulla da fare o addirittura un qualcosa di noioso e pesante? Sembra impossibile ma succede anche questo. C’è da riflettere anche su certi dati pubblicati che danno il numero dei lettori di libri inversamente proporzionale al numero degli autori. Questi ultimi evidentemente sentono la necessità di suscitare e promuovere interesse e cultura, al versante opposto c’è chi asserisce quasi con orgoglio, di non avere mai letto: a questo punto sarebbe bene considerare che i bambini abituati fin dalla prima infanzia a sfogliare libri, sono quelli che da studenti ottengono i migliori risultati. Fortunatamente, anche se l’importanza della cultura viene a volte svilita, essa ha il potere di giungere a tutti in forme diverse, attraverso la pittura per esempio, o la musica, il teatro e il cinema. La pittura è un altro modo di espressione e concretizzazione della cultura: è la sensibilità dell’autore che porge significati e emozioni.

Civitavecchia ci offre opere di un passato lontano ma anche di quello recente.  Come non apprezzare e collocare nella storia alcune antiche, note chiese che offrono pitture e affreschi parietali, nonché absidi e volte, artisticamente molto importanti? Anche la chiesa dei Santi Martiri giapponesi racconta stralci di storia civitavecchiese. Tutto era iniziato con la missione in Giappone di padri gesuiti italiani, guidati da San Francesco Saverio, che trovarono un gran seguito tra i nipponici, per cui avvennero talmente tante conversioni da provocare la reazione dello shogun giapponese, il quale emanò un decreto di espulsione contro i gesuiti. Quando alle soglie del 1600 arrivarono in Giappone anche i frati francescani, la reazione dello shogun fu terribile e furono eseguite ventisei crocifissioni: giapponesi e italiani subirono il martirio e dopo un lunghissimo processo di beatificazione, durato più di due secoli, furono elevati alla santità. Ma si sa che il martirio attira altre anime. In quell’epoca il porto di Civitavecchia, che apparteneva alla Chiesa, diventò un’importante tappa per tutti i religiosi che partivano e tornavano dalle missioni. Nacque l’esigenza di un punto di ritrovo, da Roma fu chiesta l’autorizzazione al Vescovo della nostra diocesi di  costruire una chiesa nella zona costiera  della via Aurelia, conosciuta come Quattro Porte. Da Civitavecchia partì la richiesta al Pontefice Papa Pio IX del “nulla osta” al fine di poter utilizzare parte delle elemosine raccolte per la canonizzazione dei Santi Martiri Giapponesi, con la promessa che la chiesa sarebbe stata dedicata proprio a loro. Ma anche questa chiesa subì il martirio con i bombardamenti della seconda guerra mondiale, esattamente fu distrutta nel secondo dei 54 bombardamenti subiti da Civitavecchia: era il 30 agosto 1943. La chiesa che conosciamo adesso fu costruita sette anni dopo.

Dopo questa breve parentesi storica, si torna a parlare di cultura legata alla pittura, arte che vanta nomi conosciuti, artisti civitavecchiesi apprezzati anche sull’intero territorio nazionale. Non farò i loro nomi per non correre il rischio di tralasciare qualcuno, ma desidero parlare di un artista che non c’è più, una persona umile, un animo buono, spesso in polemica con le ingiustizie del mondo. Era un grande osservatore. In un’intervista gli chiesi se avesse particolari momenti e fonti d’ispirazione, mi rispose di poter essere coinvolto da tutto quello che nel quotidiano lo circondava… lui si soffermava a guardare e questo gli bastava. Parlo di Giovanni Massaccesi, il Picasso di Civitavecchia, la città che amava tantissimo perché “luogo della sua nascita”: queste le sue parole! Nelle tele, spesso sulla masonite, tanti scorci della sua città…bellissimo il suo quadro con l’Archetto e comunque era in grado di decifrare i messaggi forniti dal contesto sociale in cui viveva. Ha lasciato opere come l’Omaggio a Alessandro Cialdi, ingegnere navigatore a cui fu intitolata una via della città e poiché Massaccesi era anche scultore, un’altra opera rilevante: il monumento dedicato ai Resistenti dei Lager vittime dei nazifascisti. Negli anni 60 la sua celebrità giunse agli Studi di Cinecittà, fu chiamato dall’allora presidente Ettore Maria Margadonna per la realizzazione di bozzetti e costruzioni cinematografiche e per collaborazioni con Jone Tuzi e Carlo Ponti. Innumerevoli i riconoscimenti ricevuti: dall’Iscrizione all’Albo d’Oro dei Pittori all’O.N.U., alla Medaglia d’Oro Camera dei Deputati, seguiti da una lista lunghissima proveniente anche da tante altre nazioni e continenti. Grande, indimenticabile, genuino Giovanni, sono onorata di avere condiviso con te amichevoli spazi lavorativi. E’ il momento ora di fregiarsi dell’acquisizione a Civitavecchia di una perla unica: i dipinti di Raffaello o più probabilmente della Bottega di Raffaello, nello specifico si tratta della Stanza di Eliodoro, il cui originale si può ammirare in Vaticano. Il mistero dopo quasi cinquant’anni aleggia ancora riguardo l’attribuzione dell’opera, ma la tesi più accreditata darebbe a questo affresco il significato di una prova in preparazione dell’opera in Vaticano, eseguita anch’essa dalla Scuola di Raffaello. Una tesi rafforzata dalle notizie storiche che vedono Papa Giulio II, il committente dell’affresco, venire spesso a Civitavecchia, roccaforte papale, per seguire i lavori del Forte Michelangelo in costruzione.

Ora mettiamo la musica a braccetto con la cultura, la musica che è sempre stata soggetta a continua evoluzione, per qualcuno a involuzione. Il bel canto si è trasformato seguendo le mode dei tempi, senza però mai scomparire. Sono praticamente svanite le case discografiche lasciando spazio alla musica leggera indipendente di cui mi occupo da anni. La musica italiana è stata sempre uno degli indicatori culturali della nostra identità nazionale, partendo dall’opera, dalla musica classica e sinfonica, attraverso la musica strumentale che ha prodotto sempre eccellenti colonne sonore, arrivando alla musica popolare che, abbinata all’etnia regionale ne promuove immancabilmente le tradizioni …basta pensare alla canzone napoletana o al liscio romagnolo, nonché agli stornelli romani o alla musica sarda. E’ una cultura peculiare attraverso la quale vengono espresse anche questioni sociali, politiche o propriamente culturali. Nell’ultimo decennio, prescindendo dagli stili musicali, si è notata una notevole evoluzione nei testi, spessore per quanto riguarda temi e valori, contenuti emozionali tali da essere paragonati dai critici addetti, a versi di poeti. Molti testi sono entrati a far parte di antologie di poesie. Il musicista è colui che traduce pensieri, concetti e valori in note, con la stessa empatia con cui uno scrittore concretizza in parole. Le scuole di musica e di canto sono direttamente collegate all’espressività personale dell’allievo artista che, nel contempo impara ad accomunare la sua identità alle altre condividendone la passione. Civitavecchia ha una particolare sensibilità in questo settore e si inserisce appieno nell’indicatore culturale sopra accennato. Lo stesso fermento si ha in città per il teatro per il quale lascerei spazio, qualora lo volesse, all’amico Barbaranelli che ha già ricoperto egregiamente i ruoli di Sovrintendente e di Direttore artistico del Teatro Traiano di Civitavecchia.

1860 Blasetti

Seguendo il nostro filo conduttore termino con il cinema. Civitavecchia spesso è stata scelta come ambientazione per riprese di film, sollecitando l’orgoglio cittadino. Ho un’amica, discendente del regista Alessandro Blasetti: più volte abbiamo parlato di questo suo prozio e del film 1860 girato a Civitavecchia nel 1932 ma uscito due anni dopo nel 1934.

L'aria salata

Le riprese iniziano allora al porto dove uno dei mille garibaldini, dopo tante avversità approda a Civitavecchia per raggiungere poi Genova, meta della sua missione segreta. Un film per il quale il regista è stato definito un precursore del neorealismo, sia per il tema trattato e per la scelta di attori non professionisti; un film giudicato un capolavoro dai critici ma che all’inizio non riscosse il successo del pubblico, non abituato a questo genere di film. Mi piacerebbe poterlo vedere e scoprire il volto di Civitavecchia anni 30. Sembra che, nonostante il suo piglio militaresco, Alessandro Blasetti fosse l’unico regista a accettare di essere presentato come autore dei suoi film solo insieme ai suoi collaboratori, dallo scenografo al soggettista, dagli attori all’operatore.

Sorpasso

Personalmente gli sono grata di aver creato il favoloso duetto Loren-Mastroianni! Con il film di Dino Risi, Il Sorpasso girato nel 1962 si assapora uno spaccato di Civitavecchia in Via Calata della Rocca, riprese esterne e interne in un ristorantino che ora non c’è più. Era il tempo del benessere, in pieno miracolo economico, uno specchio emblematico della società degli anni 60 ben rappresentata  da due grandi attori, Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant.

Mastro Troi

Sì, anche il grande schermo è una fucina in grado di veicolare messaggi sociali culturalmente rilevanti e ritengo gli anni sessanta i migliori per il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Nel 1989 fu il regista Ettore Scola a scegliere il porto e il lungomare di Civitavecchia per girare scene con Marcello Mastroianni e Massimo Troisi. Il film si intitola “Che ora è” e in quel periodo le caserme erano ancora piene di militari per il servizio di leva, allora obbligatorio e riservato solo agli uomini. Le cose ora sono cambiate ma ancora attuale il soggetto che tratta un rapporto difficile tra un padre e un figlio. Relativamente più recente, del 2007 “L’aria salata” per la regia di Alessandro Angelini. Questo film ci porta nelle carceri, in un mondo ai più, fortunatamente, sconosciuto. Cultura significa sapere, conoscere, essere informati, sul passato, sul presente, sul futuro. Questa potrebbe essere una buona massima da trasmettere ai figli e termino con un ricordo personale. All’età di 10 o 11 anni mio padre mi regalò un’enciclopedia: erano cinque grossi volumi, mi sentivo importante ma temevo di non saperla usare, allora lui mi suggerì, quando saremmo usciti insieme, di annotare i nomi delle vie. Avrei dovuto scrivere a chi o a cosa erano intitolate e a casa, con il suo aiuto, avremmo scoperto tanti nuovi personaggi o località. Nella mia visione di donna potrei paragonare la Cultura a una affascinante signora a cui non bastano tutti gli atelier del mondo per mostrare e risaltare la sua bellezza.

PAOLA LIBERATORI