FATTI E FATTACCI DELLA CIVITA-VECCHIA DELL’OTTOCENTO – 4. Annarella
di SILVIO SERANGELI ♦
Che altro poteva fare, quella mattina, la folla dei nullafacenti che popolava in numero spropositato quel porto di mare. Erano lì, ammucchiati fuori della prigione delle donne per vedere da vicino l’assassina, la madre snaturata, complice senza scrupoli dell’omicidio del marito e del suo amante, che veniva tradotta al carcere femminile di Manziana. Quando comparve con il suo sguardo intenso, la bella figura eretta, i lunghi capelli castani ci fu un lungo silenzio, come se il tempo si fosse fermato. A romperlo fu la sora Giulia che, rivolta alle sue comari, con la voce tremante ripeteva: «Povera fiarella, che male ha fatto! Chi l’avrebbe mai detto così bella e paciosa. Ma come nun ve la ricordate? E’ la fja der puzzolano che nun me arricordo er nome, quella che pe amore scappò in campagna co’ quer ber giovine che portava cor carro le botti ar cantinone, che mo’ nun me viene da indove veniva. Nun ve ricordate de Annarella? Pover’anima der Signore…». Del fattaccio si sapeva poco e niente, circolavano diverse storie; gli stessi gendarmi c’avevano impiegato del tempo per dipanare la matassa di questa vicenda sciagurata: una povera madre di tre figli, soggiogata da un delinquente che le aveva ammazzato il marito e poi violentata. Due compari dell’assassino l’avevano ammazzato per soldi e avevano costretto la donna a seguirli e a subire la loro violenza per giorni e giorni, fino alla cattura dopo una fuga che non aveva mai fine. Una povera martire? Ma c’era chi era convinto che Annarella fosse una moglie crudele, una madre snaturata, che s’era abbandonata al piacere della carne, al peccato mortale. Mormorava il popolino: «Figurative, era napolitana, de quella mazzumaja che sta ar ghetto, che vanno scarzi e nun se capisce quello che dicheno quanno parleno, cagnarotti che urleno e canteno a dispetto». Ma che era davvero successo? Di storie ne circolavano tante anche perché i fattacci si erano svolti in parecchio tempo e lontano, in gran parte del territorio della Provincia. E erano stati scoperti dai gendarmi dopo mesi. Tutto fu più chiaro quando, qualche tempo dopo la cattura, capitò una sera al Cantinone un carrettiere che commerciava il vino, l’olio, gli asparagi, le verdure delle campagne di Canino. Com’è, come non è, fra un bicchiere e l’altro, qualcuno gli chiese, siccome conosceva bene quelle parti, se si ricordava del marito assassinato e della moglie che era finita in galera. «Se me mettete davanti un par de fojette der bianco frizzantino de Fiorio, de quello bono, ve ricconto quello che so’. Tanto devo annà a dormì qui vicino, nella stalla der Micio dove c’ho er carro e er mi cavallo. Cominciamo. Cominciamo cor poro Sebastiano e su moje Anna, Annarella, che c’avevino tre fji ancora piccoli, e se la passaveno bene: a tera, a verdura, a frutta, tanto oio e tanto vino, e vacche e pecore e galline. Indove? Da le parti appresso a Canino. L’ho bazzicati un par de vorte, ne so poco, ma m’è stato detto da persone fidate che c’avevino un casaletto e Sebastiano, lo sapeveno tutti, aveva ammassato ‘na bella sommetta. Poi ce s’è messo er destino e la porcaccia miseria bastarda. Capitò che Sebastiano dovette da portà un carico de legna a Corneto. Se fermò a n’osteria pe’ magna ‘n boccone e ripjà fiato, così fece amicizia co’ na persona distinta, un senzale che ie s’era messo vicino e jera parso onesto. Se lasciarono in amicizia: rivedemose presto, annamo insieme a la festa de Santa Rosa de Viterbo. E quello, che senzale nun era e che aveva puntato Sebastiano perché sapeva de li sordi, se presentò ar casale e combinorno de annà a sta festa. Ma oltre che de li sordi l’amico s’era invaghito de la moje; e lei, ch’era un po’ ciovetta, je fece magari crede quarcosa. A Santa Rosa s’erino divertiti proprio tanto, da amiconi, ma er ner mentre che Sebastiano e la moje tornavino cor calesse verso casa, a notte fonna, un fregno mascherato zompò addosso all’omo e je sgarrò la gola. Er senzale puntò er cortello ar petto de la povera donna e cor calesse arrivorno ar casale. Scavarono ‘na buca e ce buttorno er cadavere ancora callo. Mo viè er bello. Pare che la padrona s’era scordata in quattro e quattr’otto der povero marito; dopo un po’ aveva vennuto la terra e le bestie e annava a dì in giro che Sebastiano stava male, allo spedale de Viterbo. Un ber giorno ar casale nun se vide più a nissuno. Se seppe che le pore creature stavino da na vecchia che avevino pagato. Sarà stata la passione, sarà stato quello che sarà stato, co li sordi appresso cominciorno a cercà Maria pe Roma. E di qua e di là. Anna, che era incinta de tre mesi, pe’ lo strapazzo aveva abburtito e s’era sentita male.
Ma chi erino sta gentaja che ‘na notte dormiveno qui e l’altra no? Erino briganti? Li sbirri sentiveno puzza de abbruciato. E poi, – passateme n’antra fojetta, perché mo viè er bello e c’ho la gola secca – du vecchi compari de galera del finto senzale s’erano fatti vivi: amichi, amichi, bevi qui bevi là e pure lui, come er poro Sebastano, s’era preso un par de cortellate fra capo e collo che l’avevino mannato ar creatore. Così le guardie je se misero alle carcagna a sti assassini, stradello stradello, macchia macchia, pe’ trovà l’occasione de acchiappalli. Nu s’è capito bene se li du briganti avevino messo le mano addosso alla poveretta, fatto sta che da quanno era stata ammazzato Sebastiano era passato guasi er tempo che na vacca sgrava. Fatto sta che nun ce la facevino più. Li sordi arrubbati erino sempre meno. Alla fine s’erino intrufolati ner bosco verso la Torfa coll’idea de passà er confine alla Fiora. Magari na soffiata, n’avvistamento pe caso: i tre briganti, che nun c’avevano più la forza nemmanco de bestemmià, li acchiapporno vicino a la Bianca. Ma qui, amichi cari e belli io parlo parlo ma er bicchiere è sempre voto. Ve posso solo dì che li quatrini fanno la libertà. E a Manziana la moje der poro Sebastiano c’è rimasta poco, perché de sordi che c’aveva ar pizzo alla Chiesa e a monsignore je ne sborsò proprio na mucchia».
SILVIO SERANGELI
*L’immagine è un acquerello di proprietà dell’A..