AMORE INQUIETO

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Andrea,

dovrei forse anteporre al nome un predicato che esprima il mio sentimento per te? Quanto modesto mi apparirebbe questo. L’ amore che io sento non ha certo bisogno di orpelli.

Ho pressoché terminata la mia fatica. L’opera s’avvia al termine e penso di dare alle stampe  entro il prossimo mese.

Vorrei porre un titolo corrosivo, mordace che inquieti gli animi. Fino a quando l’invidia del pene dovrà tormentare l’animo del femminile? Invidia per una mancanza?

Perché nel momento in cui il femminile faceva il suo ingresso nella storia si è tentato di trovare una causa sotterranea che svilisse l’emancipazione incipiente?

Basta con la continua azione di noi donne come tappabuchi delle ideologie maschili, basta con l’essere sempre alla difesa.

Mi son fatta una idea in proposito e l’ho svolta nelle pagine del mio lavoro.

Andrea, io penso che l’invidia degli Dei non sia nei riguardi dell’umanità tutta. L’invidia divina riguarda la femmina! Riguardi solo lei. Riguardi la sue possibilità di generare una vita. Ho scritto in un capitolo ove mostro come nel buio del neolitico il maschio ignorasse la meccanica dell’atto. La donna generava da sola, in perfetta partenogenesi. Immagina, Andrea, che cosa significasse questo.

Ma, c’è dell’altro. Per generare il divino non c’è alcun bisogno dell’altro sesso. Maria è vergine prima, durante, dopo. La verginità è un fatto culturale non legata alla carne lacerata. Il divino per entrare nel mondo deve disporre solo di donna e niente altro. Capisci il devastante potere del messaggio?

Ecco da dove nasce la vera invidia!

Il maschio non può sopportare tutto questo. Ed inizia il dominio. E nel dominare si tenta anche di far proprio il mistero del femminile.

Zeus, il maschio onnipotente, tenta di  imitare la funzione gestativa del femminile. Zeus ingoia Meti che è incinta. Zeus ha terrore del nascituro che può detronizzarlo. Ingoiando Meti  il corpo di Zeus diviene, dunque, l’utero che custodisce il feto. Con una sorta di parto cesareo fuoriesce dalla testa divina: Athena.

Ed ancora, un tentativo di imitazione. Zeus feconda con una pioggia aurea  Semele e poi la folgora. Il feto viene salvato ed è cucito in una delle cosce di Zeus. La coscia assume una funzione uterina. Dioniso è il frutto della gestazione di Zeus.

Andrea non rammaricarti. Il figli in gestazione del maschio sono solo volti alla condanna della sterilità. Ogni tentativo del maschile di imitare il mistero del femminile si esaurisce in se stesso. Athena e Dioniso: il maschio genera chi più non genera!

Sì!

Sarei quasi decisa per il titolo da dare: “l’invidia dell’utero”, questa sarebbe la giusta, di certo volgare, risposta alla sfida freudiana. Ma ripiegherò assecondando la decenza borghese. Quanto vorrei che si comprendesse la sacralità del piacere sessuale. Il corpo, Andrea, è la porta d’accesso al sacro. Ti dirò a voce che cosa ho in mente.

Ma basta parlare del mio testo.

Voglio dire di noi. Un mese fa, rammenti, eravamo a casa tua, parlavamo. Mi narravi di te. Poi la tua mano si adagiò sul bracciolo della poltrona. Ero incerta, intimorita. D’un tratto decisi di superare il muro. Avevo terrore che tu la ritraessi, disturbata dal mio atto. Ma ciò non avvenne. Le mani rimasero ferme l’una sopra l’altra.

I nostri occhi cominciarono a  parlarsi, simulando parole che per tanto tempo erano rimaste sospese nelle profondità dell’anima. Allora sì che liberammo i nostri sentimenti.  Ricordi? Passai la mia mano sui tuoi capelli. Accarezzai le tue spalle, le tue braccia. Ormai il limite era oltrepassato e le labbra iniziarono la loro danza tantrica. Ascoltavo il tuo fremito, avvertivo il tuo cuore battere. Avrei voluto fermare il tempo, in quell’istante, in quel luogo.

I nostri umori si mescolavano generando accordi armoniosi mentre  i corpi tentavano di fondersi. L’energia quiescente risvegliata dal nostro desiderarsi risaliva tumultuosa alla superficie dando luogo ad alchimie a noi gradite. Così varcammo l’estasi, Andrea.

Andrea  io non potrò mai vivere senza di te, senza la tua presenza, senza la tua voce.

Non credo si debba qualcosa agli altri. Alle buone usanze degli ipocriti, alle ambiguità dei devoti, al perbenismo nauseante.

L’ambiguità del tuo nome, Andrea, è ciò che più mi eccita perché vado pensando a quanto potrei  godere quando occhi profani potessero leggere queste mie righe di amore e rimanere confusi, inebetiti di fronte all’incerto, di fronte a ciò che non rientra nella loro petulante normalità.

Termino con quanto Ella, la nostra Diva, ci ha da tempo immemore insegnato:  la cosa più bella è ottenere ciò che uno ama.

Riane Andrea saluta dichiarandole eterno amore.

   Incerto tempore, incertisque loci.

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 Probabile datare la lettera attorno agli anni ’80.

Pubblicarla è un  contributo al Ddl  Zan.

L’ultima espressione è un frammento del Frammento 16 di Saffo.

 Andrea, come noto, è nome ambigenere .Può questo avere importanza?

CARLO ALBERTO FALZETTI