“Gerbere sotto l’Arco di Trionfo”
di VALENTINA DI GENNARO ♦
In Francia, nel secondo dopo guerra, iniziano a formarsi alcuni gruppi femministi che si occuperanno non più solo del suffragio universale, ma soprattutto della emancipazione della donna: erano collettivi che, inizialmente, si proponevano di dare indicazione sulla contraccezione e sul controllo delle nascite. Si chiamavano infatti “Gruppi Per la pianificazione familiare.”
Progetti inziali, che poi daranno vita però al “Mouvement de Libération des femmes”, il cui giornale, “«Le Torchon Brûle” (“lo straccio da cucina sta bruciando” che titolo geniale!) pubblicava progetti, dibattiti, iniziative e campagne politiche.
Uno dei gesti eclatanti e simbolici che portarono avanti le francesi in quegli anni, fu quello di deporre delle gerbere ai piedi dell’Arco di Trionfo, nella giornata in memoria del soldato sconosciuto, per sottolineare come i monumenti ai caduti ricordassero solamente il sacrificio maschile e miliare e non quello delle donne, delle compagne, madri, figlie e sorelle.
In realtà, potremmo dire, che il tentativo era quello di strappare dal simbolico della guerra quegli altari e riportarli su un piano sociale, sociale e pacifista.
Domenico Gallo nel volume “Da sudditi a cittadini” ha ricordato come i monumenti al “Milite Ignoto”, in Italia, scontino un peccato originale, quello di essere stati eretti in un momento storico di forti tensioni sociali legate al patriottismo alla “vittoria mutilata” per le famose “promesse fatte all’Italia” del segreto Patto di Londra.
Sono diventati il simbolo del sacrificio della morte per la Patria, da commemorare come qualcosa di sacro, lontana dalla terrena compassione per la perdita della vita di migliaia di ragazzi italiani sacrificati nelle tonnare della guerra di trincea. Migliaia morti di mitraglia sulla linea del Piave.
La nostra Costituzione, che è irriducibilmente una carta di pace, sancisce il ripudio della guerra come mezzo per dirimere le controversie internazionali, nessuna vita, nessun corpo deve essere sacrificato più per la patria. Non ci sono sacralità, ma delitti e crimini da evitare.
Nessuno rinnega l’enorme tributo in termine di quantità di vite umane mandate al macello.
Ma il ricordo, la memoria, devono essere declinate in maniera diversa.
Dopo la Seconda guerra mondiale, non sono stati più eretti monumenti ai caduti, per delineare la scelta diversa delle madri, splendide “pacefondaie” e dei padri costituenti.
La storia di Maria Bergamas, opportunamente riportata nel nostro dibattito, ci narra questo, fu chiamata a scegliere tra undici salme di caduti non identificabili, quella che poteva essere riconducibile al figlio e quindi deposta sul monumento che ora tutti conosciamo. Maria fece scivolare lo scialle sulla seconda bara, ma si accasciò al suolo davanti alla decima, che per questo motivo, fu scelta.
Inizialmente intenzionata a scegliere o l’ottava o la nona salma perché quei numeri avevano un significato affettivo legato alle date della nascita e alla morte del figlio, alla fine ebbe vergogna, non scelse, proprio per mantenere ignoto davvero quel corpo.
Ecco il perché della mia personale posizione di contrarietà alla cittadinanza onoraria al milite ignoto, non per una mancanza di empatia verso il sangue versato di quei poveri ragazzi, ma per evitare che si sposti questo piano simbolico che la nostra Costituzione ha scelto e che onoriamo. La vita, prima di tutto.
VALENTINA DI GENNARO
Che bello, Valentina!
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Grazie Lisa!
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La rinuncia identitaria come vettore simbolico di accoglienza comunitaria è un gesto di grande valore umano e sociale, anche in casi tragicamente dolorosi come questo. Un gesto nobilissima proprio perché riguarda sentimenti primari, legami radicali. Grazie per il bel ricordo.
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Cara Valentina, tra i titoli interessanti oltre allo” straccio che brucia” potrei citare quello che per me ha il più elevato significato a favore del movimento femminile. Un significato profondo che può essere alla base interpretativa dell’intera storia umana sotto il segno del maschile.
Ebbene, il titolo è: chi ha cucinato l’Ultima Cena?.
( è come ben sai il titolo di una storia del femminile di Rosalind Miles). Se tutti sono uomini, Gesù e gli Apostoli (se tutti sono uomini!) allora è possibile che qualcuno abbia provveduto a fare ed a servire. Ma il “faber” non figura nel racconto.
Nell’icona leonardesca “forse”!
Sulla questione del Milite Ignoto mi permetto di rimandare al mio articolo del 30 giugno scorso.
Altro non mi sento di aggiungere sul tema del sacrario..
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Valentina, non mi pronuncio, anche se per fare storia e cultura io ho partecipato a tutti gli eventi organizzati a tal proposito da Enrico Ciancarini, Presidente della Società Storica Civitavecchiese, con l’assidua presenza, come “dicitore” del caro amico Carlo Alberto Falzetti e di Daniele Di Giulio.
Ti assicuro che non sono guerrafondai.
Tu devi sapere che io ho vissuto un’epoca, il sessantotto e oltre… in cui gli urbanisti, che tanta parte hanno avuto a Valle Giulia, definivano l’Altare della Patria il “Pisciatoio pubblico”. Nel contempo devo annotare che in quegli anni veniva messa sotto accusa “O Gorizia tu sei malededetta”:infrangere il mito della Grande Guerra era ancora reato grave. Sono segnali contraddittori di un’epoca che fu di grandi mutamenti. Ciao.
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