STORIA DELLE OLIMPIADI: IL MONDO SI RITROVA NELL’OLIMPIADE
di STEFANO CERVARELLI ♦
Il 29 Luglio 1948 un volo di colombi sopra lo stadio di Wembley annuncia al mondo che iniziava la XIV Olimpiade: l’umanità può riguardare al futuro.
Londra dunque accoglie la manifestazione che più di ogni altra rappresenta l’idea di fratellanza, di gioia e solo Dio sa quanto in quei momenti ci sia bisogno di abbracci, di armonia, di allegria, di ritrovarsi gli uni contro gli altri sì, ma negli stadi sulle pedane, nelle piscine.
Non si poteva però pretendere troppo da una città segnata ancora dalle ferite e con i viveri razionati; furono i giochi dell’austerity, il villaggio olimpico, ricavato nelle caserme, manteneva lo squallore di queste, mentre gli atleti dovevano sottoporsi a lunghe file per ricevere la loro razione giornaliera di vitto.
Quello dell’alimentazione costituì il problema più grave; quasi tutte le nazioni cercarono di porvi rimedio portando direttamente viveri ed altro da casa. Gli Stati Uniti addirittura usarono le ”fortezze volanti” per trasportare quotidianamente latte, burro, carne e perfino il pane.
Dall’Italia facemmo arrivare, manco a dirlo, la nostra indispensabile pasta: una tonnellata, e poi formaggio grana, riso burro, olio ecc ecc.
Ci si aggiustava come si poteva, ma alla fine risultò essere un’Olimpiade lieta nonostante la pioggia e il caldo, lieta perché, sebbene tra tanti disagi, era quella l’Olimpiade del mondo che tornava a giocare, a respirare.
C’ è da dire che le proteste del governo laburista, chiamato a raccogliere l’eredità di una guerra, misero in dubbio l’edizione ma alla fine
fu stipulato, come tante altre volte, un compromesso: giochi sì, ma al Comitato organizzatore fu fatto assoluto divieto di realizzare nuovi impianti, bisognava arrangiarsi con quelli esistenti e così fu.
Anche in questa edizione non mancano esclusioni, questa volta tocca alla Germania e al Giappone, grandi sconfitti della seconda guerra mondiale, mentre, sorprendentemente, grande accoglienza fu riservata all’Austria, considerata “ vittima “ dell’aggressione hitleriana, senza minimamente tener conto dell’entusiasmo con cui era stato accolto l’Anschluss e senza tener presente che alla fine della guerra i nazisti registrati in Austria superavano il mezzo milione! Percentuale più alta della stessa Germania.
Ai giochi era assente ancora la Russia che preferì preparare il suo grande rientro per l’edizione seguente. La decisione delle autorità russe e il rapporto della Russia con lo sport in quel periodo, meriterebbero un capitolo a parte; dirò solo che la partecipazione ai giochi olimpici era considerata dai sovietici “come un mezzo per distogliere i lavoratori dalla lotta di classe” e l’Internazionale dello Sport Rosso, nato a Mosca nel 1921, aveva presto rotto con l’Internazionale dello Sport dei Lavoratori Socialisti.
Proprio il significato di questa edizione, l’aria di festa, l’atmosfera, nonostante tutto, di una pace ritrovata, fecero sì che alla manifestazione partecipassero 59 paesi, (alcuni per la prima volta) con 4,383 atleti di cui 468 donne; gli sport furono 17 con 136 specialità.
La stella dei giochi londinesi sarà indiscutibilmente Fanny Blankrts Koen, di lei parlerò tra poco, prima voglio ricordare però un altro atleta anche se la sua leggenda nascerà ad Helsinki: Emil Zatopek.
Calzolaio della Moldavia diventato poi ufficiale dell’armata cecoslovacca, gli piace correre, ma correre tanto, per questo verrà chiamato “l’uomo cavallo”, è presente a Londra, come in altri momenti agonistici, a tutte le prove di fondo, 5.000m -10.000 m e maratona.
Corre male Zatopek, con brutte smorfie sul volto e arrancando sempre come uno che sta per cedere da un momento all’altro, ma non ha rivali.
Vince i 10.000 con quasi un minuto di vantaggio sul secondo, il franco-algerino Alain Mimoun, provocando altresì la resa e il ritiro dell’ultimo campione finnico, Viljo Heino; emblematicamente la sua è la resa di una nazione, la Finlandia, che tanto aveva dato all’atletica ed in particolare alle gare di fondo.
La vittoria ottenuta facilmente però “carica” forse un po’ troppo Zatopek che per eccesso di sicurezza non vincerà poi i 5.000 m, un errore che ricorderà tutta la vita e che non ripeterà più. Lo rivedremo ad Helsinki.
Parlavo prima della stella dei giochi la regina dell’Olimpiade: Fanny Blankers Koen.
Viene dall’Olanda, ha già 30 anni, ed è madre di un maschietto di sei anni e di una femminuccia di tre, ed è per questo che dopo Londra sarà ricordata come “la mammina volante”; la guerra l’ha privata del periodo migliore, ma lei non si arrende nè all’età nè agli ostacoli, non vuole perdere questa Olimpiade.
Arriva a Londra con un palmares eccellente: sei record mondiali (saranno 12 a fine carriera: corse veloci, salti in lungo ed in alto e pentatlon). E’ forte, la più forte di tutte, ma giustamente vuole la consacrazione del palcoscenico più ambito per dimostrarlo: eccome se lo dimostra!
In otto giorni vince quattro medaglie d’oro, nell’ordine: 100 metri, 80 ostacoli, 200 metri e staffetta 4 x 100.Al ritorno in Olanda viene accolta come una principessa: carrozza con il tiro a sei ed accompagnatori in livrea; per lei fu innalzato addirittura un monumento.
Parteciperà anche alle olimpiadi seguenti, quelle di Helsinki, ma una fastidiosa infezione e gli antibiotici le impediranno di ripetersi.
Per merito suo l’atletica femminile esce dalle immagini confuse degli inizi ed effettua, visto che siamo in argomento, un “lungo“ balzo in avanti.
E l’Italia chiederete?
Strani gli inglesi. Aprono le porte all’Austria mentre a noi non ci vogliono, motivo? Riecheggia ancora il ricordo dell’attacco proditorio alla Grecia, e di altri gravi questioni che hanno lasciato pesanti strascichi.
Più che di ostracismo si poteva notare un vero proprio atto di diffidenza, ma poi Churchill disse che l’Italia “si era guadagnata il biglietto di transito “ e andammo. Partirono 207atleti (19 donne) e 86 accompagnatori per una spesa complessiva di 76 milioni.
Il più grande successo l’ottenemmo nel lancio del disco dove si registrò la prima ed unica doppietta italiana nell’atletica: primo Adolfo Consolini, secondo Giuseppe Tosi. Consolini per oltre trent’anni fu la nostra bandiera nell’atletica leggera; il 22 luglio del 1937 indossò la prima maglia azzurra, 24 anni dopo passava i gradi di capitano a Livio Berruti. Partecipò a quattro olimpiadi, ottenendo un primo, un secondo e un sesto posto. Stabilì tre primati mondiali, tre primi posti ai campionati europei, e fu 15 volte campione nazionale!
A Londra soddisfazioni nei lanci arrivarono anche dalle donne. Amelia Piccinini nel peso ed Edera Cordiale Gentile nel disco.
Un magro bottino, sorprendentemente, arrivò dalla scherma: una sola medaglia d’oro. Ci consoliamo nel ciclismo dove vinciamo due medaglie d’oro: nella velocità e nel tandem. Un’altra medaglia d’oro arriva dalla lotta greco-romana con Pietro Lombardi. Ancora oro dal pugilato nei pesi piuma con Formenti; siamo campioni nella pallanuoto dove battiamo i maestri magiari vincendo tutte le partite.
Naturalmente non può mancare la grande delusione: arriva proprio dallo sport più popolare: il calcio. Veniamo eliminanti con un sonoro 5 a 0 dalla Danimarca: è l’ultima partita della nazionale sotto la guida di Vittorio Pozzo. Che rimase imbattuta per 30 partite!
In ogni caso l’esito finale è soddisfacente: arriviamo terzi , dopo Usa e Svezia in un’ Olimpiade dove non ci volevano. (……o ci temevano ?)
In Italia il 1 gennaio entra in vigore la Costituzione Repubblicana, 14 luglio avviene l’attentato contro Togliatti. Per fortuna che Bartali vince il Tour! Ma le vittorie sportive seppure porteranno un po’ di serenità, non faranno dimenticare i 56 milioni di morti provocati dalla guerra.
Ad Helsinki, nel 1952, il pomeriggio di sabato19 luglio 1952 piove ma le 70.000 persone presenti sugli spalti dello stadio non sembrano accorgersene, talmente prese ed emozionate dal rito che si stava svolgendo davanti loro.
Da poco erano sfilati gli atleti di 69 nazioni e il Presidente del loro comitato olimpico stava parlando con voce commossa, mettendo in risalto l’importanza dei giochi per il loro piccolo paese; dopodiché il Presidente della Repubblica dichiarò aperti i Giochi della XV Olimpiade.
Ora era giunto il momento più atteso, il più toccante dell’intera cerimonia: l’arrivo della fiaccola olimpica; ecco entrare l’ultimo staffettista accolto da un boato, eh sì perché quell’uomo dai tratti invecchiati, appesantito, era una leggenda dello sport, il loro vanto, l’uomo a cui avevano eretto un monumento: era Paavo Nurmi.
La Finlandia aveva atteso dal 1940 quel momento, da quando cioè la sua candidatura dovette essere sospesa per via della guerra; già da allora aveva costruito il suo stadio, rendendolo poi più grande ed accogliente.
Fu questa la prima Olimpiade, che per il numero di paesi presenti, poteva essere ritenuta veramente universale, segnando l’inizio di una nuova fase della storia olimpica; ad Helsinki si celebrava l’allargamento dei confini del mondo alle nuove convenzioni sportive.
Va detto quindi che, in questo senso, l’idea olimpica di De Cubertin, di riavvicinare i popoli, attraverso lo sport, ha risposto alle aspettative.
Ma c’è il rovescio della medaglia.
Proprio per la loro rilevanza universale le olimpiadi stavano diventando sempre più luogo di “scontri” in cui lo spirito nazionalistico, sebbene sconfessato, manteneva sempre un ruolo di primo piano.
Gli atleti fraternizzavano tra loro, ma questo non evitava tensioni sotterrane e, come dicevo, impulsi nazionalistici.
L’evolversi di questa particolare inquietudine trova ad Helsinki particolare motivo di apprensione dall’apparizione sulla scena olimpica della Russia, della sua politica sportiva e… del contemporaneo arrivo nello sport delle prime avvisaglie di guerra fredda.
Ecco cosa scriveva Sport et politique: “ ….ognuno sa che tutta la politica sportiva dell’URSS è fondata sulla ricerca della supremazia mondiale in tutte le branche dello sport, mentre gli Stati Uniti, specialmente nel dominio dell’atletica e del nuoto, non sono per nulla decisi a cedergliela”; in effetti mentre la Russia mira al vertice di tutte le specialità, la politica sportiva statunitense punta al prestigio del primato in quelle che sono le specialità fondamentali delle olimpiadi: atletica e nuoto.
Fu solo dopo gli eccellenti risultati avuti dai russi nell’edizione successiva (Melbourne) che il Presidente Eisenhower incaricò il vicepresidente Nixon di approntare un programma di riorganizzazione in vista delle successive edizioni; una prima mossa fu il potenziamento dello sport femminile che negli Usa non godeva di una buona stampa.
Il governo, inoltre, si impegnò in quello che fino a quel momento non aveva mai fatto: sostegno economico (fu organizzata perfino una colossale colletta attraverso un programma televisivo).
Una competizione per il predominio sportivo, quella tra USA e URSS, che trovò un terzo protagonista quando alle olimpiadi potettero esprimere tutto il loro potenziale le due Germanie (in particolare la Repubblica Democratica Tedesca) che allora, dopo i fasti hitleriani, erano alle prese con il rilancio del loro programma sportivo.
La battaglia per la supremazia sportiva però non era che uno degli aspetti di una belligeranza ben più grave: la guerra fredda in corso tra i due Paesi.
Le scaramucce tra statunitensi e russi erano senza dubbio segnali di una ricerca di predominio che intendeva estendersi al di là degli impianti sportivi.
Vennero fatte varie proposte proprio per ridurre, per quanto possibile, i rischi di questo inquinamento nazionalistico, ma senza nessuna efficacia; ci furono piccole nazioni che arrivarono a proporre l’abolizione degli inni nazionali e delle bandiere nelle premiazioni olimpiche trovando però negli Stati Uniti e Russia i più fieri oppositori.
Non bisogna dimenticare che oltretutto era quello il momento che il mondo si trovava in un clima reso ancor più teso dalle parole del generale Arthur: ”Vorrei più atomiche per spazzare via i comunisti”. Viene sostituito prima che possa dare davvero seguito alle sue parole! Oltretutto non bisogna dimenticare che era in pieno svolgimento la guerra di Corea.
Scontato l’ostracismo post-bellico, ai giochi rientrano Germania e Giappone, ma le schermaglie politico-sportive non sono esaurite e vedono ancora protagonista l’URSS.
Per l’ONU, Ucraina e Bielorussia sono considerate nazioni indipendenti, mentre URSS, sul piano sportivo intende, riuscendoci, rappresentare tutte le repubbliche del suo territorio, inclusi i paesi ONU e le repubbliche baltiche. Il clima è tale che allo scopo di evitare spiacevoli incidenti, per ospitare i sovietici e il resto del blocco orientale viene costruito un altro villaggio olimpico, accanto a quello previsto (come viene definito) per “ il mondo libero”.
Ma la prova che lo sport avvicina la danno proprio due atleti. Al termine di una avvincente gara di salto con l’asta il sovietico sconfitto e lo statunitense vincitore, si abbracciano suscitando un lungo applauso del pubblico
Ai 18 sport ammessi parteciparono 5.867 atleti dei quali 573 donne,
che risposero con prestazioni eccellenti: 29 record olimpici , 9 volte quello mondiale nell’atletica; 10 record olimpici ed uno mondiale nel nuoto.
La Russia con 54 medaglie non riesce a superare gli Stati Uniti, arriva seconda, non vincendo neanche una medaglia d’oro nell’atletica leggera anche se la prestazione complessiva fu di altissimo livello.
Ricordate Zatopek “l’uomo cavallo “?
Come già a Londra, si rivela il più forte al mondo nelle corse lunghe;
nonostante gli organizzatori avessero messo le tre gare nello spazio di una settimana, domina i 5.000 metri, 10.000 metri e maratona, migliorandone i record olimpici, trovando la sua consacrazione proprio nella terra dove ancora forte è il mito di Nurmi.
Ma ci sono altri personaggi che lasceranno un segno in queste olimpiadi.
Walter Davis, ragazzo di 21 anni alto 2,04 metri, ha avuto gli arti inferiori bloccati a causa della poliomielite, dopo infinite cure, estenuanti esercizi ed allenamenti, riesce a gareggiare nel salto in alto con buoni risultati, ma lui non si accontenta, vuole saltare più in alto di tutti: ci riuscirà l’anno dopo, superando m. 2,12.
C’è Parry O’Brian, 25 anni, che inventa una nuova tecnica del getto del peso: la partenza dorsale, che prenderà il suo nome, e sarà eseguita da tutti i lanciatori per moltissimi anni (sostituita poi dalla stessa tecnica usata nel lancio del disco).
C’è Bob Richards, reverendo con la passione del salto con l’asta. Vincerà due olimpiadi, Helsinki e Melbourne. Si dice che per rimediare i soldi per lavori alla sua chiesa andava in giro per per le fiere esibendosi nei salti con la sua canna di bambù.
Ma tutti stupirono davanti al nero brasiliano Adhemar Ferreira da Silva detto, per la sua elasticità ed eleganza “il cigno nero”, che fu capace, per quattro volte, di andare oltre i 16 metri nel salto triplo.
Una bella storia viene dal pugilato. Nella categoria massimi un biondo svedese in finale deve vedersela con il fortissimo Sanders, un gigantesco pugile di colore che fino a quel momento ha sempre mandato al tappeto i suoi rivali. Sul quadrato lo svedese, paralizzato dal terrore, cerca scampo fuggendo letteralmente intorno al ring. Viene squalificato per scarsa combattività e soprannominato “ il coniglio del ring”.
Sette anni dopo quel “coniglio” diverrà campione mondiale dei professionisti battendo per K.O. proprio una stella di Helsinki, l’ex medio Patterson, ricevendo applausi ed abbracci da tutto il suo paese.
Il suo nome non può sfuggire agli amanti della “noble arte”: Ingermar Johansson
E gli italiani? Eravamo andati con 256 atleti e torniamo con 20 medaglie (8 d’oro, 9 argenti e 3 bronzi) sistemandoci al 5° posto dietro USA, URSS, Ungheria e Svezia. La più bella delle medaglie d’oro, per l’emozionante corsa disputatasi, è stata quella di Giuseppe Dordoni, nei 50 Km di marcia.
Nel nuoto, nei 100 stile libero gareggia un certo Carlo Pedersoli, sarà il primo italiano a nuotare sotto il minuto su quella distanza; diverrà famoso, anzi famosissimo per altro, da quando cioè diventa… Bud Spencer !
STEFANO CERVARELLI