IL CREPUSCOLO DEL CAV. MANZI 4/5
di SILVIO SERANGELI ♦
Gli “affari” del Cav. devono fare i conti con il potere di fantomatici marchesi e visconti non certo per discendenza ma per tornaconto papalino, neppure aristocratici e tanto meno borghesi. Affaristi e profittatori che controllano, e affossano, l’economia della petite ville. Significativi alcuni casi che vedono vittima Pietro Manzi nell’aggiudicazione di appalti pubblici. Li denuncia nella sua Correspondance il console Beyle. Scrive Stendhal il 9 novembre 1834 come l’appalto per la nettezza urbana affidato all’amico, «il più mite degli uomini» che il Delegato Apostolico, monsignor Peraldi, non stima per le sue idee liberali, sia stato annullato, senza alcuna ragione. E, ancora come nel dicembre 1837 l’appalto per la pulizia delle strade vinto da Manzi con l’offerta di 375 scudi, a causa di infondati reclami sia stato poi affidato per 275 scudi a Niccola Guglielmotti: uno dei soliti noti, che troverete se avete la curiosità di sfogliare i verbali dei consigli comunali custoditi all’Archivio comunale. Attenzione: quando i nomi di chi si aggiudica gli appalti non sono gli stessi, si tratta di famigliari e parenti stretti.
È un crepuscolo amaro quello che vive il Cav. Manzi, insignito di onorificenze e con qualche incarico importante sulla carta, che però non aiutano a garantire un tenore di vita consono alla sua posizione sociale. Pietro Manzi muore troppo presto, a cinquantaquattro anni, il 22 aprile del 1839, senza che del «fabbricato» sia stata posta la prima pietra e lascia una situazione famigliare a dir poco problematica.
Sono diverse e, per certi versi contrastanti, le sorti familiari dei due amici Pietro e Donato. Quest’ultimo, di una decina d’anni più giovane, vedrà sistemati i suoi due figli: Costatino ben avviato nel redditizio mestiere delle spedizioni marittime e dei commerci, Luigi che il padre invierà in giro per le corti e i castelli d’Europa per vendere le ricche etruscherie e, persino, un Velazquez. Il Cav. Manzi si trova nell’età matura con otto figli: il maggiore a sedici anni, l’ultima nata appena due. Nell’Archivio diocesano di piazza Calamatta con l’aiuto dell’amico Giovanni Insolera ho potuto trovare con insperata sorpresa il registro dei battesimi della chiesa matrice di Santa Maria. In esso sono registrati: Antonio, nato il 17 novembre 1820, Vittoria il 7 luglio 1824, Rosa il 14 febbraio 1826, Camillo il 4 luglio 1830, Adelaide il 6 novembre 1831, Paolo l’11 gennaio 1833, Giovanni il 16 febbraio 1835 e Teresa il 13 giugno 1837: tutti portati al fonte battesimale da importanti personaggi.
Lo scavatore Cav. Manzi, notissimo e stimato nell’ambiente delle ricerche archeologiche, socio e collaboratore dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica, nel suo vagare alla ricerca di luoghi dove affondare il piccone si era spinto nell’Agro Romano, fino a Tivoli. Compagno e socio di avventure il mazziniano Melchiade Fossati di Amelia, protagonista di una lunga serie di ritrovamenti che fecero epoca. Il 30 aprile 1849 cadrà nella difesa di Roma. Torniamo al nostro feuilleton che ci riserva una pagina degna del Romanticismo popolare. A Tivoli Fossati viene accolto con tutte le attenzioni da Luigi Coccanari, anch’egli mazziniano e fra gli artefici della Repubblica Romana. La famiglia Coccanari è la storia di Tivoli che sa coniugare le ricchezze alla cultura. Nelle escursioni nella campagna, negli incontri salottieri, il Cav. Manzi, presentato dal socio Fossati, entra in questo piccolo mondo affascinante. Pietro è un bell’uomo, di famiglia importante, sicuramente nota nel mondo mercantile di Tivoli. Ha modo di conoscere la giovanissima Angela, figlia di Filippo, il Gonfaloniere della città. Colpo di fulmine, matrimonio combinato fra due famiglie importanti? Comunque sia, le nozze sono celebrate il 7 settembre 1819 a Tivoli, probabilmente nella cappella del Palazzo di famiglia, ora sede della Biblioteca comunale. A questo punto prendo licenza per una breve digressione che è però significativa del percorso di ricerca che si intraprende e delle sorprese che spesso regala. Racconto: mia nuora Annalisa frequenta un corso di psichiatria della Sapienza con esperienze sul campo. Lo coordina una vulcanica professoressa che, quando viene a sapere delle mie ricerche stendhaliane, le chiede se ci sono dei riferimenti dello scrittore di visite a Tivoli. Sorpresa: la prof. è Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, discendente della famiglia nobile più antica e conosciuta di Tivoli. Badate Coccanari con la a, non Cocconari con la o, come si legge anche nei documenti notarili, e quindi legata in qualche modo alla Angela, consorte di Pietro Manzi. Un servizio televisivo, concordato nella sua casa museo, per conoscere le storie di famiglia non si farà per una serie di imprevisti.
SILVIO SERANGELI (4/5 segue)
La storia attraverso le famiglie ti introduce in una dimensione diversa da quella che emerge dai documenti “ufficiali”.Con i tuoi resoconti riesco a “vedere” una città nella sua struttura sociale, di vita vissuta. Forse dico inesattezze ma chissà se quei Manzi da me ben conosciuti per la Sambuca derivino dal ceppo che ti indaghi: Luigi, Jole, Anna Manzi (tutti senza eredi morti intorno agli anni ’50)
"Mi piace""Mi piace"
Caro Carlo Aberto, i Manzi della Sambuca, per la verità fatta conoscere da un lavorante di Luigi, sono dello stesso ramo di Pietro: tutti originari di Castellammare di Stabia. Le notizie che ho di Luigi (nato nel 1807 e morto nel 1873) parlano del matrimonio con Gioconda Gallinari e si fermano ai figli Cornelio (nato nel 1858) che portò avanti la produzione della sambuca e sposò Maria Baroni e di Luigi, nato nel 1884.
Silvio
"Mi piace""Mi piace"