Il crepuscolo del Cav. Manzi 1/5
di SILVIO SERANGELI ♦
*** Anche in questo feuilletton che segue quello dei Marginalia propongo spunti e materiali di ricerca stendhaliani non utilizzati per scelta editoriale nei miei lavori. Salvo errori ed omissioni.
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Se ci scappa il morto, magari misteriosamente avvelenato e con il cadavere ritrovato in una stanza chiusa a chiave, allora siamo nel filone del giallo e del noir che, di queste ultime stagioni non se ne può più. Se non c’è alcun fatto delittuoso rimaniamo nel campo della ricerca pura, che vive della passione, della curiosità, della pazienza, della preparazione necessari da molto, molto prima della detective story e compagnia cantando. Che differenza c’è in fondo, fra l’investigatore classico e un archeologo, un ricercatore di tracce e documenti di letteratura e storia, per non dire di uno scienziato? In fondo quando si arriva allo scopo, magari dopo mesi, se non anni, è come l’aver assicurato alla giustizia, in gergo si dice così, il colpevole.
Per questo la mia passione per i gialli, che dura da tanti anni, è nata e convive in parallelo con la ricerca, con la differenza che nel primo caso sono un assiduo lettore, nel secondo divento protagonista, consultando vecchi testi, decifrando documenti di non facile interpretazione, che sanno di muffa. E, come in questo caso, racconto la storia parziale di una persona, cercando di completare un mosaico al quale manca qualche tessera irrecuperabile: dalla realtà passo al possibile, al probabile, sempre con l’onestà della ricerca.
Tutto questo per dire che, conversando con gli amici stendhaliani di Francia, spesso mi è stato posto, ci siamo posti, questo interrogativo: come è possibile che ci sia stata una corposa corrispondenza, per certi versi intima, fra Donato Bucci e il console in congedo a Parigi e non si trovi traccia di alcun rapporto epistolare con Pietro Manzi. «Le célèbre chevalier Manzi» era stato il primo a conoscere Stendhal al suo arrivo nella petite ville e a sorprenderlo, come scrive all’amico Domenico Fiore: «Je y a ici un savant qui a une belle âme; il parle le grec comme vous le napolitain; il fait des fouilles et déterre des vases étrusques ou grecs, et des tombeaux». Era stato lui a caricarsi letteralmente sulle spalle il console in alcune campagne di scavo, ad ospitarlo nel Palazzo di famiglia di piazza Leandra e invitarlo a prendere il caffè nel suo villino in collina. Tutto documentato. Questa strana assenza delle lettere non è certo una questione centrale fra le infinite interprétations critiques stendhaliane, ma per quello che riguarda la ricostruzione storica della realtà della petite ville di quel periodo è un’occasione perduta. Nelle lettere di Donato Bucci, e in quelle del segretario del consolato Lysimaque Tavernier, ci sono notizie e giudizi che offrono un quadro reale e vivo che non trovi nei due storici tradizionali. Materiali preziosi riordinati e riportati alla luce da Gianfranco Grechi, instancabile curatore del Fondo della Sormani, all’inizio degli Anni Novanta del Novecento.
Certo il cav. Manzi, va detto, non aveva il savoir faire del mercante e dell’uomo di mondo in cui eccelleva il suo amico e compare in affari Donato. Anche negli interventi nel Consiglio comunale era di poche parole, come si desume dai verbali. Poteva capitare che per la sua ingenuità, al «pauvre Manzi» un giovane che curava le sue carte, avesse sottratto il manoscritto di una sua opera a cui aveva lavorato per anni, per rivenderlo ad un anonimo advocat anch’egli letterato. Così capitava che quando si recavano al castello di Musignano, nel territorio di Canino, alla corte di Luciano Bonaparte per trattare di etruscherie con la scaltra, vivacissima Alexandrine de Bleschamps, moglie del fratello di Napoleone, e il coltissimo padre Maurizio da Brescia, precettore dei figli e consigliere di famiglia, capitava magari che i tesori da contrattare li aveva scavati e li conosceva meglio il cav. Pietro, ma l’affare lo concludeva Donato che, non a caso, ebbe un fittissimo scambio di lettere molto intime, ricche di consigli di carattere famigliare con Alexandrine, durante il suo soggiorno a Senigallia, fino alla morte. Così il cav. Manzi, più spesso «Monsieur Manzi», fa solo capoccella fra i saluti delle lunghe lettere di Donato ai suoi notabili amici. Le sorti dei due chasseurs, perfino bracconiers, che avevano fatto diventare il console antiquaire en diable si dividono davanti allo scrittoio.
SILVIO SERANGELI (1/5 segue)
Gli scavi vulcenti sono materia del prossimo volume su Montalto di Castro. E’ un capitolo ancora oscuro ma pieno di sorprese. Agli inizi dell’ottocento sono molti ad interessarsi di etruscheria. Tra gli enfiteuti delle grandi tenute di Campomorto e Camposcala (circondano l’agro di Vulci) figurano “romani” piombati colà non certo per interesse agricolo. Sarebbe interessante mettere assieme tutta questa “fauna”.locale e romana gravitante sulle tombe vulcenti. Un archeologo, Emanuele Eutizi di Tarquinia, sta predisponendo la storia di questi scavi. In particolare è la famiglia Candelori divenuta nobile per scavo e trasferitasi a Roma ad aver avuto rapporti anche con Stendhal.Sono a tua disposizione se ti interessa.
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Caro Carlo Alberto, i lavori stedhaliani mi hanno aperto il mondo di Luciano Bonaparte e Canino-Vulci. Ho avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Mauro Marroni, instancabile ricercatore di Luciano. La rivista Canino 2001 da lui a lungo diretta è ricca di ricerche sugli scavi e l’etruscheria. Con Mauro ho realizzato per TRC un documentario su Vulci e Luciano. Nel 2014 si è svolto a Canino il convegno “Canino Museo aperto di Luciano Bonaparte”, al quale ho contribuito e di cui c’è una bellissima pubblicazione edita dallo stesso Mauro (edizioni Silvio Pellico Montefascone). Per Candelori & C ho molto materiale, se mi dai un po’ di tempo te lo mando.
Silvio
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