19 maggio 1921. Civitavecchia conosce la violenza fascista. Dalle cronache dell’epoca.
di ENRICO CIANCARINI ♦
A Civitavecchia la festa del Primo Maggio 1921 è trascorsa senza incidenti. Tutti i lavoratori, di tutte le categorie, si sono astenuti dal lavoro. Anche il servizio ferroviario è rimasto completamente paralizzato. Nel mattino piazza Vittorio Emanuele era letteralmente gremita di lavoratori che pieni di gioia ed entusiasmo discutevano circa l’astensione unanime del proletariato per festeggiare solennemente questo giorno.
Indetto dalla locale Sezione socialista, il 6 maggio si è tenuto il primo comizio del Partito socialista nella Sala della Cooperativa del Porto, gentilmente concessa. Oratori l’avv. Luigi Sabbatini, candidato del PS, e il prof. Umberto Brauzzi, preside del locale Istituto Tecnico, i quali hanno parlato efficacemente e sono stati applauditissimi.
Alla Cooperativa del Porto il 9 maggio ha avuto luogo l’annunciato comizio in cui l’on. Morgari, presentato con caldo sentimento dal compagno Poloni, ha parlato del socialismo e dell’attuale momento politico con parola chiara ed efficace rivolgendosi specialmente agli umili che gremivano la sala e che, conquistati dalla sua serena eloquenza, gli hanno voluto significare il loro pieno consenso. Ha aggiunto qualche parola di fede, vibrante d’idealità, il compagno prof. Brauzzi.
Nonostante per la medesima ora fosse indetto dai fascisti un altro comizio non si hanno a deplorare incidenti di sorta.
Umberto Brauzzi, personaggio ben conosciuto sulla scena politica e culturale capitolina, è la “bestia nera” o meglio “rossa” di fascisti e nazionalisti civitavecchiesi e romani. Su l’Idea Nazionale, l’organo dei nazionalisti italiani, il futuro “voltagabbana” dei socialisti è aspramente biasimato perché ha parlato in un comizio a favore della lista socialista candidata alle prossime elezioni politiche del 15 maggio.
L’immediata replica appare sull’Avanti!, ed è fondato il sospetto che sia di mano dello stesso Brauzzi. L’autore dei “Luciferi”, il romanzo dei giovani democratici cristiani di Roma, assicura che non ha mai pensato a personali vantaggi ma esclusivamente a dedicare l’opera sua a pro dei bisognosi e del proletariato; perciò egli è un religioso; ma la sua religione si esplica – poiché non può intenderla altrimenti – nei rapporti con i suoi simili, ritenendo egoistico l’atteggiamento di chi presume chiudersi fra sé e Dio, non curandosi dell’Umanità. Il miglioramento di questa è la sua missione.
Brauzzi propugna, come i socialisti, un’unica classe. Finché questa non sia attuata, ossia arrivare alla collaborazione di tutti, egli ritiene indispensabile la lotta di classe e la predica in una forma civile. Polemizzò con i socialisti quando gli parve che taluni di essi eccedessero in qualche episodio violento, che se non approvò, tuttavia spiegò; si unì a loro non appena la violenza contro di essi venne sferrata. Invano, nonostante i formali plausi, parlò alla borghesia e ai cristiani ricordando loro che se Cristo oggi vivesse sarebbe socialista. I furboni ipocritamente sorridevano.
Allora egli, senza titubanze e senza iattanze, si allontanò dai borghesi che covavano il fascismo e corse fra quelli che riteneva avessero bisogno della sua parola e trovò i veri suoi fratelli. Socialista cristiano fu un tempo e socialista è rimasto poiché i suoi “Luciferi” e la sua azione sono stati scomunicati dal Vaticano.
La sua religione consiste nell’agire secondo coscienza, consiste nello spirito e non nella lettera, nell’azione e non nella denominazione.
La sfuggente personalità del preside Umberto Brauzzi non permette di spingerci ad affermare che sia lui il comandante o il “commissario politico” del Battaglione degli Arditi del Popolo di Civitavecchia. La sua comunanza con Vincenzo Benedetti nel Consiglio nazionale della Lega Proletaria dei Reduci e Mutilati può replicarsi anche a Civitavecchia dove Benedetti è riconosciuto dalla polizia come il vero capo del Battaglione. Fascisti e nazionalisti per mesi si accaniscono contro Brauzzi fino a costringerlo alla famosa abiura del settembre 1922, mentre la polizia, allo stato attuale delle mie ricerche, sembra ignorarlo.
Il Partito socialista trionfa alle elezioni politiche del 15 maggio in Italia e a Civitavecchia. Nella città portuale su 18 sezioni, i socialisti raccolgono 3.251 voti, i comunisti 200, i repubblicani 310, l’Unione 2.232, i popolari 492, il partito della Vittoria 107. Luigi Sabbatini ottiene 480 preferenze, il candidato socialista di Corneto, Giuseppe Parpagnoli, ne raccoglie 3.696. Nessuno dei due riesce ad affermarsi, mentre Giulio Volpi, l’avvocato socialista di Bracciano, si conferma deputato.
Questo il clima che vivono i socialisti e il movimento operaio alla vigilia del 19 maggio. La Cooperativa dei Lavoratori del Porto è impegnata ad organizzare le celebrazioni per il 24° anniversario dalla fondazione avvenuta nel 1897 quando in città arrivano i fascisti.
Il 21 aprile si è costituito il Fascio di combattimento cittadino, il 3 maggio Guglielmo Pollastrini e gli altri due membri del triumvirato che guida il fascismo civitavecchiese, presentano alla cittadinanza il manifesto programmatico del locale Fascio di Combattimento.
Il 19 maggio Civitavecchia è sconvolta dai luttuosi avvenimenti di Piazza Vittorio Emanuele.
Il Corriere della Sera pubblica il 20 maggio, in seconda pagina, nella rubrica quotidiana intitolata “i conflitti”, un’agenzia della Stefani: Civitavecchia occupata militarmente dopo un conflitto con morti e feriti.
Civitavecchia, 19 maggio, notte. Nel pomeriggio, essendo giunti alcuni fascisti romani, due di essi sono stati percossi da lavoratori del porto. Ne è seguito un conflitto. Sono stati sparati alcuni colpi di rivoltella e di fucile e sono stati lanciati petardi. Si deplorano due morti e un ferito gravissimo. Altri feriti sono stati trasportati all’ospedale. La città è occupata militarmente.
La provocazione giunge dal porto, i fascisti percossi e provocati si sono dovuti difendere, così pubblica il giornale milanese.
Il Messaggero dello stesso giorno è più impudente, non nasconde a chi vadano le sue simpatie:
Il primo allarme: nelle prime ore di stamane – fra i lavoratori del porto – si sparge improvvisamente la voce dell’arrivo di un grosso nucleo di fascisti da Roma.
Si dice che i fascisti sono una cinquantina, che hanno a disposizione armi e munizioni e che sono risoluti ad incendiare la Camera del lavoro ed a distruggere la Cooperativa degli operai del porto.
A questo primo allarme, gli scaricatori ed i facchini abbandonano immediatamente il lavoro ed un vivo senso di preoccupazione si diffonde nella cittadinanza, spaventata all’idea che si debba ripetere anche nella nostra città le dolorose scene di violenza avvenute altrove.
Molti negozi sono serrati e gli operai di alcune fabbriche abbandonano il lavoro.
I fascisti romani – in verità – non sono che cinque.
Essi sono stati ricevuti da alcuni fascisti di Civitavecchia e – appena scesi dal camion – hanno fatto un giro per la città passando dinanzi la Camera del lavoro e la sede della Cooperativa del porto, senza dar luogo ad incidenti di sorta.
Per il Messaggero i fascisti romani sono venuti a Civitavecchia per una pacifica passeggiata in centro. I lavoratori della Cooperativa non convinti “dal tranquillo contegno dei fascisti”, nel pomeriggio si riuniscono in assemblea nella loro sede e votano un ordine del giorno in cui chiedono l’immediata espulsione dei cinque romani. È costituita una commissione di sette membri che si reca dal sottoprefetto. Il funzionario prefettizio rassicura gli operai che avrebbe dato immediate disposizioni perché i fascisti siano invitati a lasciare Civitavecchia.
A quanto sembra, però, i fascisti rispondono all’invito del sottoprefetto con un reciso rifiuto assicurando che non è nelle loro intenzioni di dar molestia ad alcuno e di turbare l’ordine pubblico.
Al Caffè Baldassarri: la notizia del rifiuto di abbandonare la città arriva velocemente ai facchini ancora riuniti in sede: i fascisti stanno al Caffè Baldassarri. Tre fascisti romani si sono seduti ad un tavolo collocato presso l’entrata.
A questo annuncio i portuali si dirigono in massa in Piazza Vittorio: in un attimo il caffè è invaso e i tre fascisti sono circondati e ricoperti d’insulti. Alcuni fascisti civitavecchiesi accorrono in aiuto dei loro camerati romani e tentano di metter pace. Ma il loro intervento non fa che inasprire gli animi.
Alcuni vetri vanno in frantumi, sedie e tavoli sono travolti tra un clamore assordante, i numerosi avventori che si trovano nel locale si affrettano a prendere il largo riuscendo a stento ad aprirsi un varco tra la massa degli operai che fanno ressa all’ingresso del caffè.
La battaglia: ad un tratto si ode un colpo di rivoltella ed un giovane cade al suolo, emettendo un grido di dolore. È il segnale di una vera e propria battaglia. Fascisti ed operai si azzuffano con furore selvaggio. La mischia terribile – durante la quale sono esplosi più di cento colpi di rivoltella – dura una buona mezz’ora.
Gli abitanti delle case circostanti partecipano alla battaglia rovesciando sui contendenti proiettili di ogni genere. Sono esplose anche delle bombe e dei tubi di gelatina.
Guardie e carabinieri, accorsi in gran numero, riescono dopo ripetute cariche a ristabilire l’ordine.
I morti ed i feriti: sul terreno rimangono due morti ed una decina di feriti. I morti sono due facchini, Pietro Urbani ed Umberto Tartaglia. Il giornale romano inverte i cognomi.
Uno dei feriti, certo Pucci fascista, ha il petto lacerato da un colpo di pugnale e versa in gravissime condizioni. È stato subito condotto all’ospedale dove ha ricevuto dai medici sollecite cure. Anche gli altri feriti sono stati subito soccorsi e condotti all’ospedale. Le loro condizioni non sono gravi.
La proclamazione dello sciopero: tutti i negozi sono chiusi e la città è occupata militarmente. Pattuglie di agenti investigativi, di guardie regie e di carabinieri hanno eseguito numerosi arresti.
La Camera del lavoro, riunita d’urgenza, ha proclamato lo sciopero generale. Hanno aderito anche i ferrovieri della locale stazione e pertanto i treni per l’Alta Italia sono dirottati sulla linea di Firenze.
L’impressione in città è enorme.
Nuovi particolari li aggiunge il Corriere della Sera nell’articolo intitolato “La provocazione comunista a Civitavecchia. Le donne lanciano pietre dalle finestre” uscito il 21:
Il conflitto a Civitavecchia tra fascisti e scaricatori del porto merita qualche ulteriore particolare. Ieri mattina, dunque, si sparge a Civitavecchia la voce che i fascisti avrebbero tentato un colpo di mano contro le sedi della Camera del Lavoro e del Circolo ferrovieri. Questa notizia mette in viva apprensione i socialisti e gli anarchici. Verso le ore 10 è visto, infatti, proveniente da Roma giungere un autocarro carico di fascisti che si ferma in piazza Vittorio Emanuele.
Qui stanno seduti, fuori di un caffè, cinque o sei fascisti di Civitavecchia. Contro di essi alcuni socialisti profferiscono parole ingiuriose alle quali i fascisti rispondono vivacemente. Si accende allora una zuffa tremenda fra le due parti a colpi di bastone, mentre alcune donne gettano dalle finestre addosso ai fascisti mattoni ed oggetti di cucina. Sopraffatti dal numero i pochi fascisti stanno per cedere, quando accorrono i romani che si slanciano contro gli aggressori tempestandoli di bastonate. Sono esplosi molti colpi di rivoltella e sono pure udite le esplosioni di alcune bombe a mano e di alcuni petardi di cui i sovversivi sono forniti. Accorre prontamente un forte nucleo di carabinieri e di guardie regie, e dopo varie cariche è possibile separare i contendenti e sgombrare la piazza. Rimangono però a terra due morti e due feriti gravi, mentre altri feriti leggeri si fanno medicare nelle farmacie.
Anche qui la provocazione arriva dalla parte socialista (i comunisti citati nel titolo spariscono nel testo), il cronista non chiarisce di quale parte siano i morti e chi ha estratto per primo la rivoltella. Pollastrini non viene mai citato nelle cronache dell’immediato. Spuntano invece le donne degli scaricatori che gettano mattoni ed oggetti di cucina sui fascisti, orgogliose epigone della tradizione sovversiva al femminile di Civitavecchia che aveva esordito nel 1897 durante lo storico sciopero dei facchini del porto che li vedono vittoriosi soprattutto grazie all’ostinazione dimostrata dalle loro mogli, madri e sorelle le più convinte a non cedere alle prime lusinghe dei padroni, ben decise e pronte a resistere fino all’ultimo.
Naturalmente discorde la cronaca che l’Avanti! pubblica sabato 21, inserita nell’articolo “Le spedizioni fasciste. Il tragico conflitto di Civitavecchia. Due morti ed oltre dieci feriti”:
Anche la nostra città cui pareva dovesse venir risparmiata la iattura della guerra civile, è stata ieri funestata, e il sangue dei lavoratori del nostro porto è scorso nella piazza principale della città ad opera dei fascisti.
I precedenti: già qualche giorno prima delle elezioni vi era stato qualche fatto che aveva turbato la tranquillità della nostra pacifica cittadina.
In occasione della festa della patrona della città, l’assessore anziano del Comune, il nostro compagno Paolucci, aveva ricevuto una lettera intimidatoria da parte del Fascio romano, lettera che imponeva pel giorno 28 aprile venisse inalberato sul palazzo del Comune il vessillo tricolore.
La nostra Amministrazione non subì l’imposizione.
Di lì a qualche giorno un altro incidente. Due fascisti venuti da Roma in divisa di arditi, ed armati, venuti al seguito del candidato fascista Bottai, dopo aver percorso la città, invaghitisi di una gita in barca si recarono al porto dove di fatto noleggiarono una barchetta.
Dalla barca vennero a parole con taluni scaricatori di porto. I fascisti scesero sulla banchina. Ma i nostri li disarmarono e l’incidente non ebbe seguito (qualcuno invece racconta che i due furono gettati in acqua ma non ne abbiamo la certezza).
Però i fascisti, specialmente dopo la vittoria magnifica riportata dai socialisti, scornati, continuavano ad assumere arie spavalde, provocatrici e andavano dicendo che avrebbero saputo dare ben presto una buona lezione ai lavoratori di Civitavecchia.
La spedizione punitiva: ieri, improvvisamente, un camion con quattordici fascisti romani è venuto a Civitavecchia con l’intenzione d’incendiare la Camera del Lavoro.
I lavoratori, non appena venuti a conoscenza del fatto, si sono radunati alla sede della Cooperativa del Porto per stabilire la loro linea di condotta. Viene immediatamente inviata al sottoprefetto una Commissione con l’incarico di chiedere l’immediata espulsione dei fascisti romani.
Il sottoprefetto conviene che i fascisti debbano subito ritornare a Roma. Ma questi non ne vogliono sapere.
La tragedia: quando viene riportato ai lavoratori, riuniti ancora alla Cooperativa, che i fascisti non vogliono piegarsi alla volontà del sottoprefetto, allora tutti come un sol uomo, stanchi della provocazione, si dirigono verso il Caffè Baldassarri dove sostano in aria spavalda e burbanzosa taluni dei fascisti venuti da Roma. A questi immediatamente accorrono in rinforzo i fascisti locali e l’urto inevitabilmente avviene.
La forza pubblica, troppo tardi si accorge dello scontro e troppo tardi interviene. Il terreno è già seminato di cadaveri e di feriti. Due morti e oltre dieci feriti. I cadaveri naturalmente sono nostri e ciò sta a dimostrare che le armi e le bombe sono soprattutto usate dai fascisti.
Qui il cronista (sempre il Brauzzi?), si dimostra eccessivamente asciutto nel narrare quella mezz’ora di follia e violenza scoppiata fra portuali e fascisti, sembra voler porre uno spesso velo su quale sia stata la replica dei lavoratori al fuoco fascista. Le donne non sono assolutamente citate, non è fornito nessun particolare sullo scontro.
Lo sciopero generale: la città costernata e impaurita è ora in sciopero generale. Negozi e opifici sono chiusi. Il lavoro al porto è sospeso. I ferrovieri hanno anch’essi proclamato lo sciopero fino al trasporto funebre dei due lavoratori uccisi, Umberto Urbani e Pietro Tartaglia, trasporto funebre che ha luogo mentre sto scrivendo. L’autorità assicura che prenderà tutte le disposizioni necessarie a impedire ulteriori incursioni fasciste.
Troppo tardi!
La cronaca dei fatti del 19 maggio si conclude con un aspro corsivo verso le autorità romane:
“Dunque, anche dalla Capitale, sotto gli occhi del governo, partono camions di uomini armati per spargere il terrore e la morte fra le pacifiche popolazioni della Provincia.
Durante la campagna elettorale ciò avveniva ogni giorno; ma le spedizioni erano fatte allora sotto il pretesto della propaganda elettorale, anche se questa propaganda si risolveva poi in intimidazioni, percosse, saccheggi di leghe, ecc.
Ma adesso il governo e le autorità politiche di Roma non hanno nessuna scusa. Alla Capitale c’è una organizzazione armata, con mezzi potenti di trasporto, la quale, dopo le elezioni, ha iniziato una vera opera di punizioni e di vendetta contro quei centri che domenica han mostrato di non cedere alle intimazioni fasciste. Le autorità sanno dove sono le armi, chi sono gli armati, di chi sono i camions. E sanno soprattutto quando e come le spedizioni avvengono, e non hanno nessuna preoccupazione di impedirle. Se ciò avviene a Roma, sotto gli occhi del governo, è da figurarsi quel che avviene in altri centri. E c’è ancora chi nega l’acquiescenza delle autorità alle violenze fasciste!”
È potente la denuncia che il cronista dell’Avanti! fa dell’accondiscendenza e complicità che pezzi dello Stato dimostrano verso il partito fascista, poteri forti che escono impauriti dal Biennio rosso e ora vogliono vendicarsi degli oneri a loro imposti dai partiti, sindacati ed organizzazioni operaie e proletarie, realtà che la classe padronale vuole spazzare via nel più breve tempo possibile, per tornare a spadroneggiare nell’industria e nell’agricoltura del Paese. Messaggero e Corriere della Sera, a livelli diversi, sono espressione delle grandi famiglie industriali e strumenti di questa lotta di classe.
Mancano ancora 17 mesi al fatidico 28 ottobre 1922, all’improvvisata e resistibile Marcia su Roma, alla negata firma dello stato di assedio da parte del re, alla nomina di Benito Mussolini a presidente del Consiglio, all’inizio della fine del regime liberale e all’instaurazione graduale ma inesorabile del regime dittatoriale del duce e del suo partito fascista, che resta al potere per venti anni.
Si poteva fermare il fascismo? Forse si ma la Storia non si fa con i se.
Da L’Avanti!, Corriere della Sera, Il Messaggero.
ENRICO CIANCARINI
Molto molto interessante. Grazie.
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Molto interessante, davvero. Gli articoli di stampa d’epoca uscita o sempre curiosità e interesse.
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