CHI HA PAURA DI CARLO MAGNO?
di GIORGIO LEONARDI ♦
«O tempora, o mores!»
(Cicerone, Prima orazione contro Catilina)
In questi giorni c’è da chiedersi come mai Carlo Magno non sia ancora finito nel bel mezzo della furia “iconoclasta” del politicamente corretto che si sta abbattendo su quasi ogni cosa del presente e del passato, dalle statue ai cartoni animati.
L’imperatore carolingio era un omone di quasi un metro e novanta, dal fisico asciutto e atletico, anche da vecchio. Un’altezza che, a quei tempi, in pieno VIII secolo, era decisamente fuori norma. A guardarlo doveva far impressione. Giganteggiava sulla sua corte e sui suoi sudditi. Era un atleta e un abile cacciatore… di selvaggina e di donne. Nei loro riguardi fu un conquistatore indomito e privo di scrupoli. La storia narra che a farne le spese fu, tra le altre, la bella Amalberga, una fanciulla i cui unici ardori erano però mistici e la cui ambizione era solo quella di indossare la tonaca monacale. Intorno al 770 il giovane Carlo la vide e la desiderò con tale impeto da non voler sentire ragioni. Come poteva una donna osare rifiutarlo? Malgrado l’ostinata ritrosia di lei, il corteggiamento di lui fu serrato, e poi divenne vera e propria persecuzione.
Tasso scrisse (nella “Gerusalemme Liberata”): «Ma, perché instinto è dell’umane menti / che ciò che più si vieta, uom più desia, / dispongon molti ad onta di fortuna / seguir la donna come il ciel s’imbruna». Sarà anche così… ma qui si trattava di vero e proprio “stalking”. Un giorno la poveretta, inseguita dal focoso giovane in pieno accesso testosteronico, si rifugiò in una chiesa, confidando che il cristianissimo Carlo potesse avere almeno soggezione di un luogo sacro. Ciò che accadde, secondo il racconto di una cronaca agiografica del secolo successivo, però non le diede ragione. Ecco la scena: Amalberga urlante viene raggiunta da Carlo all’interno dell’edificio religioso, si aggrappa disperatamente all’altare mentre lui la ghermisce e la strattona, strappandola via dal suo appiglio. La prende per un braccio, tirandola a sé con forza bruta. Nella foga incontrollata le spezza addirittura un arto. E qui la situazione dovette sconcertare persino uno poco avvezzo alle tenerezze come Carlo Magno, che infatti desistette e abbandonò la ragazza in lacrime, andando altrove a stemperare i suoi bollenti spiriti. La cronaca omette se la donna subisse o meno un rapporto sessuale coatto, di sicuro fu oggetto di violenza. Altro che il bacio non consensuale del principe di Biancaneve. Altro che l’invadenza dei sette nani.
Tanta foga e pretenziosità non erano comunque solo il frutto di un carattere personale dispotico ed egocentrico ma anche l’esito di un tessuto culturale, come quello merovingio, in cui agli uomini di rango era consentito praticare regolarmente e alla luce del sole la poligamia, e la donna non godeva certo di particolari garanzie. Carlo Magno trattò le donne in maniera alquanto disinvolta, per usare un eufemismo. Ecco un quadro sintetico della sua vivace situazione sentimentale, seguendo le tracce scritte lasciate dal suo illustre biografo Eginardo. Dopo aver impalmato la figlia di Desiderio, il re dei Longobardi, Carlo movimenta la sua vita sessuale con una concubina, dalla quale ha il suo primo figlio, Pipino detto “il Gobbo” (che, poco più che ventenne, tentò di far fuori il padre per prendere il suo posto: gli andò male e finì i suoi giorni recluso in monastero). Ripudiata la prima sposa, Carlo se ne trovò un’altra, Ildegarda, che in una dozzina di anni gli sfornò ben nove creature. Chiaramente la poveretta morì giovane. Dalla terza moglie ebbe due figlie mentre con una nuova amante ne concepì un’altra. Morta anche questa sposa, Carlo se ne trovò una quarta dalla quale però non ebbe prole. Ma defunta anche quest’ultima ecco un’infilata di ben quattro concubine, da cui ebbe complessivamente altri tre figli e due figlie. Calcoli alla mano, il suo seme produsse 18 vite, per contare solo quelle a noi note. Una vita sessuale a dir poco ipertrofica, e soprattutto in barba ai più elementari precetti cristiani. Lui, che viene considerato un padre della Cristianità.
Una simile virilità non poteva che alimentare equivoci scabrosi relativi persino a non documentabili pratiche incestuose con donne della sua stessa famiglia. Qualcuno insinuò dubbi sul legame tra lui e la sorella Gisella. Un’altra diceria riguardò i rapporti che Carlo ebbe con le sue numerose figlie. Teodulfo di Orléans, uno dei massimi poeti di quel tempo, dedicò alle donne dell’imperatore un intero poema in cui descrive quest’ultimo attorniato dalle figlie che lo omaggiano di «ardenti abbracci» e gli offrono fiori e frutti, «regali di nettare e d’ambrosia», e così trascorrevano tutti insieme serate conviviali, in cui le ragazze, accuratamente agghindate, dilettavano il padre con ammiccanti movenze. E laddove a questi convegni fosse presente anche la sorella di Carlo, eccola elargire al fratello «dolci baci», ricevendone in cambio. Va da sé che per trovare naturali simili descrizioni bisogna proprio accantonare la malizia di noi moderni malpensanti ed entrare nell’ottica dell’amor cortese. La situazione appare, ad ogni modo, equivoca.
Eginardo racconta, dal canto suo, che il sovrano era talmente geloso delle figlie che si oppose sempre a mandarle in moglie ai loro pretendenti per tenerle tutte con sé. E qui fioccano i racconti più sapidi, come quello di Berta che, pur di vedere il suo amante senza farsi scoprire dal padre, lo invitava a palazzo nottetempo e, per fugare ogni eventuale sospetto, se lo caricava sulle spalle lungo tutta la corte, in modo tale che al mattino successivo la neve rivelasse solo le sue orme. La robusta tempra delle donne carolingie, maltrattate ma forti e argute.
Malignità a parte, la gelosia di Carlo aveva anche, naturalmente, un solido fondamento politico. Avido accentratore del potere, non voleva trovarsi tra i piedi, in futuro, scomodi pretendenti al suo trono. Giovava assai di più alla stabilità del suo regno esercitare il ruolo di arcigno “padre padrone” che non si faceva scrupolo di comprimere le libertà della sua discendenza.
Carlo Magno morì a Aix-la-Chapelle, il 28 gennaio dell’anno 814, all’età di 72 anni. Tanto era stata avventurosa la sua vita e tanto sarà movimentata anche la vicenda post mortem della sua salma. Essa venne ripetutamente traslata e collocata in varie cripte e sarcofagi nel corso dei secoli, per trovare infine pace in un prezioso sacello in oro e argento all’interno della cattedrale di Aquisgrana. Il dubbio sull’appartenenza di quei resti è comunque rimasto fino al 2014, quando una squadra di scienziati giunse alla conclusione che le spoglie di Aquisgrana erano appartenute proprio al vigoroso e insaziabile monarca carolingio. Un uomo che scrisse la storia… o forse per qualcuno, d’ora in avanti, solo un bruto maschilista da bandire dalla medesima.
GIORGIO LEONARDI
Se Carlo Magno sia un bruto maschilista bisognerebbe chiederlo a mio nonno che ha combattuto sul PIAVE a GRAMSCI a PIETRO GORI a NENNI a ALTIERO SPINELLI a PAPA PIO XII a TOGLIATTI a PERTINI a BERLINGUER a MORO ai compagni del PCI del MANIFESTO del PDI alla CISL UIL CGL
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Mi sfugge il nesso
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