IL POTERE DEI GIUDICI
di PAOLA ANGELONI ♦
“e ’l modo ancor m’offende”
Dante, Canto V Inferno
Succede spesso-avverte Alessandro Pizzorno, Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù- che dibattiti assai accesi su temi che dividono l’opinione pubblica si svolgano in assenza di riferimenti al retroterra storico della questione, i quali aiuterebbero almeno ad esprimere i contrasti in modi più civili (Firenze 1998).
Il dibattito sulla natura e i limiti del potere giudiziario e sui rapporti di questo con la politica si è acceso in Italia al momento del processo di Mani pulite. I magistrati mettevano sotto accusa membri della classe politica come corrotti, mentre i “ pretori d’assalto” intervenivano in quelle situazioni che la carenza dell’azione politica rendeva a loro giudizio insostenibili. Il manifesto simbolo a Civitavecchia per la lotta per l’ambiente fu l’opera “In nome del popolo inquinato”: manuale giuridico di autodifesa ecologica del pretore Gianfranco Amendola nel lontano 1985. La magistratura fu vista dalla classe politica come potenziale alleato o pericoloso nemico. Il partito socialista si pose alla guida della campagna antimagistratura, si ipotizzava che in certi casi la magistratura avrebbe dovuto astenersi dall’indagare. E nel 1998 verrà proposto un referendum per introdurre la responsabilità civile dei magistrati.
Fino a che, a partire dal 1992, in condizioni politiche favorevoli (caduta del Muro di Berlino, sconfitta elettorale dei partiti di governo e vittoria della Lega al Nord) l’azione di alcune Procure della Repubblica metterà in crisi buona parte dell’establishment politico del paese. Le vicende italiane sembrano costituire un caso a parte per le condizioni di indipendenza dal potere politico che la nostra Costituzione assicura alla magistratura requirente (“pubblico ministero” ha compito di esprimere richieste o pareri in vista delle decisioni degli organi giudicanti). Esiste di fatto un’espansione del potere giudiziario comune a tutte le democrazie liberali mature, tale che la natura stessa del moderno regime liberaldemocratico ne viene alterata. Secondo il politologo Alessandro Pizzorno l’ipotesi-guida è che le cause dell’espansione del potere giudiziario siano ESOGENE e non endogene e vadano ricondotte al formarsi di condizioni nuove sia nella società, sia nelle istituzioni politiche del regime rappresentativo (la sovranità popolare in democrazia ed i suoi rappresentanti) e quindi nella nuova domanda di giustizia che ne consegue. In tale fenomenologia, caratterizzata da stalli decisionali, il potere giudiziario è chiamato ad intervenire. Sui rapporti tra partiti politici e la sfera pubblica si possono leggere gli scritti di Habermas, Friedman, Hayek e nello specifico di G. Colombo, Il vizio della memoria,1996. In sintesi, gli autori affermano che:_
- Il diritto di prendere decisioni politiche si è trasferito dal potere legislativo e/o esecutivo a quello giudiziario;
- Si è diffusa la forma del processo là dove vigeva la forma della decisione amministrativa.
Vi è una tendenza a delegare decisioni delicate che si ritiene possano comportare conseguenze negative per i rappresentanti eletti. E i cittadini hanno accesso alla giustizia per controversie che venivano risolte da autorità sociali e amministrative: nella famiglia, nella scuola nelle professioni, nelle istituzioni globali (in America è “l’espansione del due process”). In gran parte delle democrazie parlamentari europee vi è anche il controllo delle leggi da parte di uno speciale organo istituzionale. Nei fatti, si è diffusa capillarmente la pratica che il sociologo Pizzorno propone di chiamare” controllo di correttezza politica” o più pungentemente “CONTROLLO DI VIRTU’” da parte della magistratura: è questo il caso italiano.
Questi modi di espansione del potere giudiziario non comportano necessariamente conflitti con il potere politico. Apertamente conflittuale è invece il controllo di virtù. Pertanto il peso della magistratura deriva dalla rilevanza politica e costituzionale che essa ha acquisito grazie alle altre forme di espansione delle funzioni giurisdizionali.
Due sono i modelli classici della funzione giudiziaria: nella giovane repubblica presidenziale americana il tratto distintivo è nell’indipendenza del potere giudiziario su quello legislativo ed esecutivo. Nella retorica parlamentaristica si diceva che la Legge fosse sacra, in quella costituzionalistica sacra doveva essere la Costituzione. Nel caso del regime parlamentare il giudice era la “bocca della Legge”. Nell’altro tipo di regime (costituzionalista) il giudice era invece interprete creativo della legge. Nelle vicende più recenti vi è una tendenziale convergenza dei due tipi di regime con l’espansione di Carte costituzionali che incorporano diritti individuali e di Corti costituzionali che controllano se le leggi emanate dai Parlamenti siano conformi alle Carte.
Nell’evoluzione successiva la funzione giurisdizionale si troverà radicalmente alterata. Una prima trasformazione delle istituzioni rappresentative è l’emergere di soggetti politici duraturi, i partiti. Solo verso la fine del Settecento si fa strada l’idea (Burke) che chi è per il governo, e chi è all’opposizione, può unirsi in maniera stabile con altri rappresentanti con le sue stesse posizioni, e possono dichiararlo nella formazione di un Governo. In altre parole, l’espressione delle divergenze politiche non rischia più di minacciare l’ordine giuridico, e le divergenze non devono essere considerate materie per i giudici. Ci si può far eleggere in Parlamento per rappresentare le idee di ogni singolo partito, anche opposte al Governo stesso. A questa breve storia istituzionale occorre aggiungere una considerazione sul modo con cui questa storia si collega al processo che Koselleck e Habermas chiamano l’emergere della ”sfera pubblica”. Diciamo che le attività parlamentari soddisfano interessi e spostano voti, ma ad essi si aggiungono coloro che si interessano di politica con una logica propria. Entro una cerchia più o meno ristretta si intrecciano i rapporti tra la classe politica e intellettuali, leader d’opinione, giornalisti, attivisti, giuristi e avvocati: tale è la “sfera pubblica”. La sfera pubblica non fa tutt’uno con la sfera elettorale, ma l’attività che vi si svolge produce un bene specifico, che potremmo chiamare del “riconoscimento politico” da parte della sfera pubblica libera e pluralistica. La presenza dei partiti e di una sfera pubblica dà luogo a una serie di fatti nuovi: i movimenti d’opinione che propongono riforme della società e le vocazioni di militanza collettiva, che restano estranee, in parte, all’attività parlamentare dei partiti. Sono risorse che i partiti non possono trascurare, anzi se ne appropriano e le interiorizzano. Si formano così i partiti ideologici o programmatici e la politica programmatica guidata dall’idea che la volontà politica, attraverso le leggi, possa mutare le condizioni di alcune sue classi. Le conseguenze sulla struttura dello Stato sono profonde. Anzitutto sono da considerare le conseguenze sulla struttura delle norme. La presenza dei partiti al governo induce a proporre leggi, quali strumenti di amministrazione, quasi “istruzioni” per l’organizzazione della società (Hayek): nasce lo Stato sociale e la funzione di indirizzo politico ad opera dell’esecutivo e del legislativo con una traslazione di poteri dal legislativo all’amministrazione dello Stato. Questa diventa organo che produce norme e include, a sua volta, organi giudicanti con forme tipiche della funzione giurisdizionale, quali la trasparenza e la pubblicità degli atti, il diritto di farsi rappresentare, allegare fatti e produrre prove. Se il giudice dell’età liberale decideva secondo norme precise, il giudice dell’età contemporanea deve operare con una molteplicità di fonti normative. L’attività giudiziaria allora espleta le sue funzioni in modi che non le erano stati assegnati nell’originaria divisione dei poteri. E ci sono trasformazioni sociali che orientano un accresciuto flusso di domanda verso la funzione giurisdizionale.
La più rilevante trasformazione è il “due process revolution” che si può definire la resa delle autorità sociali alla legge. A lungo nelle società occidentali vi sono state autorità sociali capaci di emanare norme e farle rispettare: capifamiglia, insegnanti, dirigenti di organizzazioni economiche, comandanti militari, medici, dirigenti di istituzioni globali. Solo in casi patologici il giudice era chiamato ad intervenire, l’attività giudicante prendeva in considerazione solo un’area ridotta di eventi trasgressivi dell’ordine sociale. Quest’area è in continua espansione: coloro che chiamano in giudizio il padre, il preside, il capoufficio, il medico, l’ordine dei medici sono i mille casi che affollano le istituzioni giudiziarie. Costituiscono la rivoluzione del “processo dovuto”, questa grande resa delle autorità sociali di fronte alla legge dello Stato. La provocazione di danni e quindi le pretese di riparazione e infine le controversie: quelle che Laurence Friedman chiama “generali aspettative di giustizia”, cioè le aspettative di indennizzo e compensazione per danni.
Riportiamo l’attenzione sull’assetto del regime liberaldemocratico a conclusione del processo di trasformazione caratterizzato da una sfera pubblica libera e politicamente influente, dall’ accesso della popolazione alla domanda politica e dalla presenza di partiti politici che guidano la domanda politica. Questo è un assetto in equilibrio instabile. Vediamo i motivi:
1 I tre livelli di attività politica
2 Dalla politica programmante alla politica moraleggiante
3 L’ incontrollabile sfera pubblica
4 Muta la natura della partecipazione alla politica.
Vi sono tre livelli di attività politica. Il primo è quello governativo, di gestione tecnica dell’azienda Paese. Le alternative programmatiche risultano allora illusorie e ne conseguono una serie di effetti. Il Parlamento perde le sue funzioni originarie, soprattutto di indirizzo politico interamente nelle mani del Governo. La discussione pubblica dei grandi temi politici passa ormai assai più attraverso i media che al dibattito parlamentare. Il secondo livello è quello della micropolitica clientelare o categoriale. Perché quando il potere del Parlamento si riduce, si riduce il potere dell’opposizione che vede sottrarsi luogo e risorse dove esercitare il suo potere di controllo. Rimane la micropolitica, attività che implica continui negoziati e scambi, “horse trading”: io ti approvo la tua proposta di legge oggi, tu mi approvi la mia domani. Ma l’opposizione si interdice di controllare e di censurare l’attività del Governo riguardo a fatti specifici. Sono forme di “microconsociativismo”. Paradossalmente quando il potere del Parlamento nei confronti dell’esecutivo arriva ad essere quasi nullo, un parziale recupero viene ottenuto grazie all’ intervento del potere giudiziario (il Consiglio costituzionale).
Il terzo livello è quello del dibattito sui temi simbolici. Oggi l’elettorato sceglie distinguendo tra simboli nei quali il cittadino ha motivo di potersi identificare. O meglio, che rappresentano una realtà morale che il cittadino desidera sentire come propria: questa è la personalizzazione della politica. Si sceglie la “immagine” di una persona, cioè un simbolo. L’attenzione popolare è volta al comportamento degli uomini politici che viene valutato in termini morali, in termini di “ethics in government”, più che in termini di capacità politiche. E il giudizio morale varrà più che sulla competenza, si apre la via alla politica moraleggiante, le forze politiche che si contendono il potere usano le armi delle rivelazioni dei media e le indagini giudiziarie. Pertanto nel regime rappresentativo due cambiamenti sono significativi: la funzione dei media e l’autonomia della sfera pubblica. La funzione dei media come istituzione tende a conferire riconoscimenti pubblici che “oltrepassano” i riconoscimenti tradizionalmente conferiti dalle cerchie di competenza. Un medico, un professore, un giudice hanno un riconoscimento pubblico indifferenziato, non solo conferito dalla cerchia di chi valuta tecnicamente la loro competenza, il riconoscimento tende più alla persona che al ruolo. Questo riconoscimento, riservato ai politici, ora è conferito ad un medico, ad un militare, ad un giudice. Ambire a questa forma di riconoscimento, anzi, prima era visto con sospetto, segno di poca serietà professionale. Ancora più netto era il caso del magistrato, il quale poteva mirare al riconoscimento della sua comunità di riferimento, quella dei magistrati, ma doveva interdirsi la ricerca del riconoscimento popolare. Con l’avvento dei media, televisione e social, questi limiti si sono rotti, con conseguenze sulla professione dei magistrati.
Un secondo mutamento riguarda l’autonomia della sfera pubblica. La stampa online e in generale i media sono in grado di orientarsi attraverso l’interpretazione della domanda del pubblico e ottengono successo di vendita che le rendono autonome da altri poteri. Così per la radiotelevisione. Operatori informano, interpretano e formano l’opinione pubblica per dare un ambìto conferimento di riconoscimenti: figure pubbliche quali politici, magistrati, medici, attori, campioni sportivi sono misurati in base al tempo di esposizione, non è più possibile un “riconoscimento di competenza” e di conseguenza non ci sono limiti alla curiosità per la quale si cercano informazioni. La partecipazione politica è ben lontana dalla fase dei partiti di massa: cade la motivazione ideologica, cresce la motivazione carrieristica del singolo, si infittisce l’intreccio affari-politica. I partiti vedono azzerata la loro capacità di mantenere un’organizzazione centralizzata e l’intreccio con gli affari coinvolge in maniera non controllabile singoli membri della classe politica.
Il giudiziario si è trovato “di fatto” a dover esercitare il “controllo di virtù”, poiché è diventata centrale la domanda da parte della popolazione di controllo di virtù sul comportamento dei politici. Tale controllo nello schema classico del regime rappresentativo veniva svolto da un partito politico sull’altro, e dall’opposizione sui governanti. Ma la diffusa negoziabilità delle decisioni politiche porterà le stesse a trovare più conveniente negoziare piuttosto che denunciare.
Da qui la pressione affinché sia il potere giudiziario a intervenire.
Il sociologo Alessandro Pizzorno fece questa incursione nei territori del discorso giuridico nel lontano 1998, ma io reputo che le trasformazioni della teoria della democrazia, che ho riassunto, siano valide ancor più oggi, in pandemia, riguardo al tempo di esposizione sui media ed al controllo di virtù da parte dell’opinione pubblica sui ”personaggi” politici con l’inevitabile intervento del potere giudiziario che riduce la sua funzione al “controllo di virtù”.
PAOLA ANGELONI
Contributo interessante che può stimolare riflessioni legate agli scenari politici attuali. Penso alle implicazioni del modello “pluralista” – Pizzorno era un convinto assertore delle teorie di Georges Gurvitch secondo cui l’ordine giuridico rappresenta un sottosistema funzionale del più ampio sistema sociale (contro un’idea feticistica del diritto-sovrano) – sulle possibili e auspicate riforme della giustizia, ma anche sui processi di adattamento al mutamento sociale dei princìpi costituzionali. NP
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