Ei fu. Napoleone e Civitavecchia
di ENRICO CIANCARINI ♦
Napoleone Bonaparte, generale, primo console, imperatore, non è mai stato a Civitavecchia ma la sua ventennale azione, militare e politica, ha influenzato profondamente la nostra città nel bene e nel male.
La storiografia classica civitavecchiese non è tenera verso il Corso, il giudizio è offuscato dalla memoria delle decine di marinai civitavecchiesi morti durante la campagna militare che Bonaparte capeggiò nel lontano Egitto. Lo scontro di Abukir (o battaglia del Nilo) vide i francesi sbaragliati il 1 agosto 1798 da un giovane ufficiale inglese: quella prima vittoria dà inizio alla leggenda di Horatio Nelson.
Padre Alberto Guglielmotti dedica numerose pagine alle sanguinose vicende in Egitto affrontate dalla spedizione napoleonica e sentenzia: “i nostri marinai e bastimenti non tornarono più dall’Egitto. Dispersi gli ufficiali, caduti gli equipaggi, distrutti i legni, rotta la tradizione, abbattuta la bandiera, la mia storia è finita”. Sono le pagine finali del nono e ultimo volume della monumentale “Storia della Marina pontificia. Gli ultimi fatti da Corfù all’Egitto”.
A sovraccaricare la memoria nefasta di quello che accadde alla foce del Nilo, è monsignor Vincenzo Annovazzi che, ricordando la visita di Pio VII a Civitavecchia il 9 aprile 1804, descrive l’incontro del pontefice con quelle che erano state le mogli e madri dei marinai civitavecchiesi: “piene di lagrime agli occhi, e prive di sussistenza moltissime vedove di quei marinai, che tradotti alla spedizione d’Egitto colà lasciarono miseramente la vita; a queste (che non eran meno di settanta) volle fosse assegnato un mensile sussidio”.
La sconfitta di Abukir rallenta gli ambiziosi progetti di espansione dei francesi, ne approfittano gli avversari e i transalpini sono costretti a ritirarsi da Roma e da Civitavecchia. Qui per alcuni mesi gli abitanti si autogovernano, insorgono contro i francesi: sono “Le 82 giornate di Civitavecchia” ben raccontate da Carlo De Paolis e ben rappresentate da Pino Quartullo.
Dalla città portuale la dominazione francese reclama la continua ed esosa partecipazione alle enormi spese che Napoleone sostiene per mantenere sempre efficiente il gigantesco apparato militare che lo sostiene.
A Civitavecchia, come nel resto della Repubblica romana si vendono i beni nazionali, alcuni facoltosi mercanti della città ne approfittano per diventare ancora più ricchi. Sono anni, scrive il Calisse, che “anche fra il popolo si spandeva il denaro, e con esso, pur momentaneo, il benessere”. Sono anni caotici, Civitavecchia negli ultimi scorci del XVIII secolo salta da un governo all’altro. Padre Guglielmotti con padronanza offre una sintesi di ciò: “cinque governi strani nell’ultimo periodo del secolo: il militare francese, il democratico romano, l’anarchico municipale, il reazionario borbonico, e il tribunizio plebeo”.
Il nuovo secolo si inaugura con l’elezione a pontefice di Pio VII, avvenuta a Venezia il 14 marzo 1800. Con il ritorno del papa a Roma anche Civitavecchia si avvia alla normalità: “le tracce del dominio repubblicano si andavano presto cancellando. Fu ricostituita la storica magistratura comunale dei camerlenghi e dei visconti” che vanno a sostituire gli edili e il questore di repubblicana memoria. Pio VII istituisce il tribunale annonario di Civitavecchia preposto alle controversie legate al commercio delle granaglie nel porto.
Il 2 dicembre 1804 nella cattedrale parigina di Notre Dame, alla presenza del papa, Napoleone si auto-incorona imperatore di Francia, il successivo 26 maggio nel Duomo di Milano, viene incoronato re d’Italia.
La concordia fra l’imperatore e il papa ha breve durata. Nei primi mesi del 1806 Parigi scrive a Roma affinché sia impedito l’ancoraggio nel porto di Civitavecchia alla flotta inglese. Da Roma si risponde negativamente e la città con il suo strategico porto è occupata dalle truppe imperiali.
Trascorrono pochi anni e anche Roma è occupata da Napoleone, il papa è costretto all’esilio e il 17 maggio 1809 Roma e il Lazio entrano a far parte dell’impero francese. Civitavecchia fa parte del Dipartimento del Tevere, Circondario di Viterbo.
L’8 luglio 1809 “In nome di S.M. l’Imperatore de’ Francesi, Re d’Italia e Protettore della Confederazione del Reno. La Consulta Straordinaria negli Stati Romani, ordina: Art. 1 Si nomina Maire della Città di Civitavecchia il Signor Giuseppe Capalti”. La città assiste impotente ad una svolta epocale, è la prima volta che ha un sindaco, anche se definito alla francese. Per secoli ha vissuto sotto la guida collegiale dei visconti e camerlenghi e nel breve periodo repubblicano degli edili. Pio VII nelle fasi di restaurazione del 1816 sceglie di non tornare al vecchio sistema ma si adegua al sistema francese sostituendo il titolo di maire con quello di gonfaloniere. L’annessione di Civitavecchia al Regno d’Italia sancirà finalmente il ruolo del sindaco.
Affiancano il Maire gli aggiunti Vincenzo Bianchi e Francesco Santini. Completano l’amministrazione municipale i diciotto membri del Consiglio municipale: Clemente Pucitta, Salvatore Dumas, Carlo Guglielmotti, Domenico Spadoni, Arcangelo Semerini, Gio. Battista Alibrandi, Francesco Maria Bianchi, Anselmo Betti, Ferdinando Guglielmotti, Francesco Capalti, Andrea Vidau, Felice Graziosi, Giuseppe Baldesi, Vincenzo Coleine, Vincenzo Calabrini, Agostino Centofanti, Pietro Alibrandi e Francesco Annovazzi. Camillo Bianchi è nominato commissario di polizia, Francesco Folignoli giudice di pace. Una nuova classe dirigente.
L’amministrazione imperiale sembra avere a cuore lo scalo civitavecchiese. Calisse scrive: “Il porto per trascuratezza aveva sofferto, e Napoleone diceva che il rimetterlo in buono stato era suo pensiero ed interesse, non soltanto per la marina e per il commercio, ma anche per sua ragione politica: ordinò studi ed aveva grandi disegni. Però, a poco, i lavori si ridussero, ed i propositi rimasero inadempienti”. Nella nota lo storico civitavecchiese menziona che nella mente dei nuovi governanti si affaccia l’idea di un nuovo porto, traslocato in un punto migliore della spiaggia a levante, e ritorna di attualità il progetto inattuabile di un canale navigabile che congiunga Civitavecchia a Roma.
La rottura con l’Ancien Regime è simboleggiata dall’aggiornamento del sistema fiscale, dalla promulgazione di codici e leggi più legate alle novità commerciali europee. Per Civitavecchia è decisa l’istituzione della Camera di Commercio e l’allargamento delle competenze del tribunale di commercio.
La borghesia locale si rafforza e respira nuove idee, ha più spregiudicatezza sociale e culturale. I campioni napoleonici sono il maire Capalti nominato anche membro del Corpo legislativo; Pietro Manzi, giurista e letterato, uditore presso la Camera di Appello di Polizia Correzionale della Corte imperiale sedente nel Palazzo della Cancelleria; Vincenzo Calabrini, mercante di campagna, caporale del Corpo delle Guardie di Onore di S.M. Imperatore e Re. Anche il giovane Benedetto Blasi respira quest’aria nuova che arriva da Parigi, la sua formazione accademica e culturale è certamente influenzata dalle idee imperiali. Forse per questo, con l’amico Pietro Manzi, sarà vigilato a vita dalla polizia politica del Papa re.
Se la ricca borghesia cittadina sembra accettare di buon grado i nuovi ordinamenti e governanti, il popolo istigato dal clero secolarizzato e costretto al giuramento all’imperatore, è malcontento. Calisse scrive che “gente da fuori veniva tra il popolo, e vi trovava elemento per istigarlo, e non inutilmente, ché se ne producevano anche tentativi di ribellione, talvolta gravi”.
Il sole stava ormai tramontando sull’impero di Napoleone Bonaparte. Sconfitto a Lipsia nell’ottobre del 1813, abdica il 4 aprile 1814. Esiliato sull’isola dell’Elba, intensifica i legami con la nostra città.
“E allora Civitavecchia divenne un luogo di particolare importanza politica – scrive Calisse – Tutti vi tenevano sopra ben fissi gli sguardi”. Tramite lo scalo tirrenico, transita la corrispondenza dell’ex imperatore destinata a Roma e a Napoli. Che cerca d’influenzare la nomina del console francese in città, esige di avere un uomo di fiducia in città, qui si fornisce di beni il giovane e breve regno isolano.
Le autorità pontificie vigilano attentamente: “gente ignota passava per Civitavecchia, ed erano intermediari, i quali eludevano la vigilanza che intorno all’isola da ogni parte si stringeva”. Le potenze straniere non hanno torto, Napoleone progetta e realizza la fuga dall’isola toscana e ritorna in patria per riconquistare il potere. Il 18 giugno 1815 è definitivamente sconfitto a Waterloo, ora è prigioniero a vita, condannato a finire i suoi giorni sulla sperduta Isola di Sant’Elena sotto la stretta sorveglianza inglese.
Il 5 maggio 1821 Ei fu, come scrive il Manzoni.
Civitavecchia vanta un credito inesigibile verso Napoleone dovuto ai settanta e più marinai morti nella lontana terra dei faraoni ma allo stesso tempo deve riconoscere di avere un debito politico e culturale verso di lui che, come nel resto del suo impero, ha trasmesso ai popoli europei un nuovo concetto di governo, un codice civile moderno, una consapevolezza sociale e culturale che li rendi più liberi dalle soffocanti influenze della Chiesa di Roma. Ne trae profitto anche Civitavecchia che nei successivi decenni della prima metà dell’Ottocento vive anni ricchi di novità e di sviluppo economico, sociale e culturale.
ENRICO CIANCARINI
Conntributo interessante e prezioso, pagi9ne di storia importanti e poco note.
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