LO SPORT SECONDO PAPA FRANCESCO 5. ASCESI

di STEFANO CERVARELLI


Siamo arrivati quasi al termine del cammino che ci ha portati alla conoscenza, seppur breve, del pensiero di Papa Francesco sullo sport, manifestato nel corso di una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport ad inizio anno.

Ascesi infatti è la penultima parola delle sette scelte per “cristallizzare” il pensiero di Francesco in quella che ormai è notoriamente conosciuta come la prima Enciclica “laica” sullo sport.

Non nascondo che nell’apprendere questa parola sono rimasto un po’ meravigliato pensando al valore veramente impegnativo del  termine che, più che ad imprese sportive, fa venire in mente la consacrazione della propria vita al servizio di iniziative ben più importanti, lontane dalla piccola dimensione umana nella quale, pur con tutto il rispetto che abbiamo per esse, vanno incorniciate le manifestazioni agonistiche.

Pensavo questo, ma poi leggendo le parole di Francesco ho scoperto che…ma leggiamo.

“Le storie delle grandi imprese ci inducono a pensare che il gesto sportivo sia una sorta di ascesi, pur senza la religione addosso.

Se penso alla storia di tantissimi santi e sante è evidente che fare ascesi non significa solo rinunciare , distaccarsi, fare esperienza del dolore.

L’ascesi è un po’ come abitare nelle periferie; ti permette di vedere e comprendere meglio il centro: estraniarsi dal mondo per immergersi ancora meglio.

Nell’antichità anche il soldato era un asceta: infatti  è l’esercizio che rende asceti,  è proprio attraverso l’esercizio costante e faticoso si affina qualche abilità. Lo sport rappresenta tutto questo molto bene: mi immagino le scalate sulle alte vette, le immersioni negli abissi, le traversate degli oceani come dei tentativi per ricercare una dimensione diversa, più  alta, meno abituale.

E’ riscoprire la possibilità dello stupore”.

Alla fine di questa breve riflessione del Papa mi sono chiesto: ma perché il Santo Padre ha voluto proprio portare come esempio le scalata, l’immergersi negli abissi ?

A questa domanda mi è venuto in soccorso don Marco Pozza, che, come le altre volte, si è posto come” traduttore” del pensiero del Papa in un linguaggio più sportivo.

cerva asce 2

“Andare in alto è possibile se si hanno radice profonde, senza basi scordatevi le altezze”, il discorso, beninteso vale anche per il contrario delle altezze, le profondità, ( punti estremi delle capacità umane).

Di queste imprese – continua don Marco – vediamo il risultato finale, la bandiera posta in vetta, il cartellino che segna la quota sempre più profonda nell’immersione, ma non la scintilla che ha acceso l’impresa.

L’ascesi, fra tutte, è forse la categoria che più richiama il limite, la soglia di sopportazione, il confine tra resa e vittoria; categorie queste che appartengono senz’altro al mondo dello sport.

Sergei Bubka, 35 volte detentore del record mondiale di salto con l’asta, diceva:”Sei un atleta, non un seduttore, non devi stare lì ad ammirarti, ma a gareggiare; lo sport non è una sfilata, è provarci con tutto te stesso”.

Questo va bene nello sport come nella vita, è il destino del campione, del santo.

Francesco ama “rischiare” la contaminazione dei mondi, fino a mostrare come – sotto sotto – tutti siano abitati dalla voce divina; per qualcuno poi quella presenza diventa speranza, per altri pungolo, altri ancora la silenziano; però resta la nostalgia di bucare la crosta delle cose, inabissarsi nel cuore degli eventi.

Estraniarsi da tutto, da tutti, per vederci meglio.

L’uomo di Francesco è in bilico tra speranza e disperazione; quando nella fatica intravede un senso si fa visionario: la vita risplende in modo così radioso da affrontare persino la morte (scalate verso cime altissime, immersioni a quote profonde).

E’ ”la parte sepolta” a permettere l’ascesi.

Cosa aggiungere di più che non sia banale? Ognuno che avrà avuto la bontà di leggere queste poche righe le riflessioni le trarrà dentro di sé.

STEFANO CERVARELLI