Civitavecchia verso uno sviluppo sostenibile.

di PIERO ALESSI

Antica abitudine la nostra. Si è convinti, parafrasando un detto popolare, che mescolando acqua e chiacchiere vengano fuori frittelle.

La questione, a mio avviso, si pone in termini semplici.

Si hanno di fronte due possibili legittime e rispettabili alternative: o si chiude definitivamente il ciclo che ha visto la nostra città produrre energia elettrica al servizio di buona parte d’Italia oppure, viceversa, si sostiene in sempiterno la candidatura della città ad essere polo di produzione. Poco importa se questa si realizza con combustibili fossili o rinnovabili. La natura dello sviluppo economico che si immagina, in un caso o nell’altro, è profondamente diversa. Si è prodotta elettricità con olio combustibile di varie qualità, quindi con il gas, ancora con il carbone, oggi si ragiona di solare o eolico e di questo passo in futuro forse di fusione nucleare. La sostanza non cambia. Il disegno dello sviluppo cittadino che si ha in mente ruota e in parte dipende dalla produzione di energia.

Dobbiamo sciogliere un nodo e dobbiamo farlo una volta per tutte, senza ipocrisie o infingimenti.

Vogliamo essere noi i padroni del nostro destino? Oppure, come fatto, particolarmente negli ultimi decenni, accoglieremo con un atteggiamento di totale subordinazione, quanto verrà proposto dall’esterno?

Al momento abbiamo di fronte due progetti di intervento per TVN e TVS. Entrambi propongono di realizzare, con forme e modalità diverse, impianti di produzione che utilizzino il gas come combustibile. 

Dunque, si pone il problema per la città di avere un progetto di futuro. Vorrei essere sul punto chiaro, anche a rischio di apparire radicale. Penso che oggi sia necessario non lasciare spazio all’ambiguità, al non detto o al detto sulla base di errate e parziali informazioni.

La mia opinione, che si è costruita e rafforzata sulla base di una lunga esperienza, è netta: si deve chiedere con forza la dismissione degli attuali impianti di produzione e la relativa bonifica dei siti, salvaguardando ovviamente gli attuali livelli occupazionali. La produzione di energia da gas peraltro ha un tasso di occupazione risibile.

Civitavecchia e il suo comprensorio dovrebbero con determinazione scrivere un altro futuro. Un futuro che non dipenda da processi di produzione di energia o industrializzazione, più o meno puliti e compatibili.

I punti forti dello sviluppo territoriale, sempre a mio parere, dovranno essere il Porto con i suoi traffici di persone e merci, il commercio, il turismo, la valorizzazione dell’ambiente montano e marino, la storia, la cultura e un diffuso e capillare processo di digitalizzazione dei servizi.  Questi aspetti possono offrire occasioni di lavoro di gran lunga superiori a quelli offerti da modelli di produzione che, anche alla luce delle nuove tecnologie impiegate, sono sempre più a basso tasso di impiego.

Di recente, troppo di recente, se mi è permesso, si è iniziato a parlare di impianti eolici a mare e della conseguente produzione di idrogeno verde. Talvolta ho l’impressione che tali idee vengano percepite dalla città in modo superficiale.

Premetto doverosamente che sono favorevole ad una transizione energetica che, a livello nazionale, faccia leva, oggi e nel prossimo futuro, sull’idrogeno verde e sono anche, in linea di principio, a favore, tra diversi decenni, come ci informa la scienza, di forme di produzione come la fusione nucleare; pulita, a basso costo e praticamente inesauribile, dalla quale si possa, se lo si ritiene, ottenere quello che viene chiamato “idrogeno viola”.

Ma, va detto, per non parlare solo di teorie, che ad oggi non risulta allo scrivente alcun progetto finalizzato alla costosissima realizzazione di un impianto eolico a mare (vorrei evitare, per quanto possibile, gli inglesismi, così il discorso appare ancora più chiaro) e della subordinata ed eventuale estrazione di idrogeno per tramite di processi di elettrolisi, che molti di noi hanno studiato nelle aule scolastiche; in tal caso si potrebbe definire l’idrogeno prodotto come “verde”, (in quanto ottenuto da una energia prodotta con il rinnovabile: vento o sole)  . 

Si ragiona, ancora, sulle risorse che arriveranno dall’Europa per un piano di interventi “sostenibile, uniforme, inclusivo ed equo” dentro il quale possano trovare spazio interventi per far fronte agli effetti economici della pandemia e per quella transizione energetica che la Commissione Europea definisce “giusta” o “equa”, fate voi (anche in questo caso ho evitato gli inglesismi. Dante me ne sarà grato!).

Il problema è che, mentre noi ragioniamo, i tempi per la presentazione dei progetti sono in scadenza e, ripeto, ad oggi non risulterebbe che in quei progetti, che l’Europa non vuole generici ma cantierabili nei prossimi anni, vi sia traccia di qualcosa che riguardi il nostro territorio. D’altra parte, quando si parla di progetti non si affrontano temi astratti: significa qualcosa di molto concreto. Nella ipotesi di eolico a mare, ad esempio, sarebbe interessante capire quali sono, se ci sono, i soggetti economici che hanno predisposto i progetti? Quali studi sono stati realizzati per la loro fattibilità? A quale autorità sono stati presentati? Quali risorse si è pensato di mettere in campo e chi le mette in campo? Qual’ è la dimensione dell’eventuale progetto? Di conseguenza, qualora si voglia anche produrre dell’idrogeno sorgono altre domande. Qual è l’uso che si immagina per le quantità di idrogeno estratto? Dove si intendono posizionare gli elettrolizzatori necessari? Dove si intende stoccare e conservare l’idrogeno eventualmente prodotto? Qual è il punto di snodo intermodale per la distribuzione sul territorio dello stesso idrogeno? Molte domande. Non potrebbe essere diversamente. In ultima analisi, prima di esprimersi su qualcosa che al momento è solo una nobile e affascinante immagine si dovrebbe saperne qualcosa in più, molto di più.

In conclusione, se esistono progetti che alla città non sono compiutamente noti sarebbe bene che venissero resi espliciti e su questi si aprisse il confronto.

Purtroppo, ho l’impressione che sul terreno rimanga in solitudine la “vexata quaestio” (all’inglese non ricorro ma qualche abusata e popolare citazione latina mi permetto di usarla): siamo favorevoli alla dismissione delle centrali, oppure no? Vogliamo viaggiare verso una diversa visione dello sviluppo oppure no?

Per quanto mi riguarda ritengo di avere già espresso la mia opinione. Confermo che rispetto una impostazione che sia difforme, solo che non la condivido.

Quanto alla osservazione, non priva di fondamento, che taluni potrebbero fare, in ordine al fatto che le cose stanno con rapidità procedendo verso strade non desiderabili direi che a maggior ragione la posizione che la città dovrebbe assumere “senza se e senza ma”, dovrebbe essere netta, radicale e priva di qualunque ambiguità.

Il tema non appartiene, all’attuale contingenza.

Con esso ci si dovrà confrontare anche nel futuro.

Non vorremo ritrovarci anche per i prossimi anni a mescolare la solita acqua con le solite chiacchiere, in attesa delle frittelle!

PIERO ALESSI