ALLA RICERCA Dl UNA IDENTITÀ PERDUTA
di ALFIERO ANTONINI ♦
Un punto, non fermo, sulla situazione caotica del momento e delle difficoltà che tutti viviamo, le non certezze, inevitabili, create in primis dalla velocità con cui tutto si evolve, e per la ragione, che se tutti non cercano di collaborare, dando ognuno il proprio contributo, non riusciremo più a stare al passo con l’evoluzione. In balia della burocrazia, finiremo con l’adagiarci sopra o sotto di essa e. Aumenteranno le differenze sociali e lo sconforto, finché la rabbia dei più non esploderà in sconvolgimenti dissennati che portano, dopo evidenti richiami sonori, rumorosi e sconvolgenti, a manifestazioni catastroficamente incivili.
Ogni uomo, possa egli appartenere a gruppi sociali o no, ha il diritto dovere, di contribuire col suo pensiero, a far si, che si esca dalla situazione di stallo in cui da tempo ci troviamo. E un richiamo al senso di responsabilità di tutti. Ci vogliono delle qualità non indifferenti: una fantasiosa intelligenza, il Senno e quella grande dote che è l’umiltà che fa si che ognuno per la sua piccola e grande parte, si assuma le proprie responsabilità. Noi architetti non siamo immuni da colpe. In una società senza ideali è facile giustificarsi, ma purtroppo, è anche facile perdere quel senso degli ideali grandi, che ci ha portato a scegliere la professione (ma questo vale non solo per gli architetti ma per tutti i professionisti). Noi dovremmo fare progetti di centri di abitazione in funzione del benessere degli uomini, ma siamo certi di pensare all’ingessato uomo di oggi? E siamo capaci di andare in fondo ai mille bisogni che da ogni parte assalgono questo uomo, per penetrare dentro e capire quali siano le sue richieste inconsce, le istanze non espresse per migliorare il suo futuro di vita. E la città? Quale è il senso delle città di oggi? Diventeranno sempre più una macchine sincronizzate ed efficienti per produrre ricchezza? indifferenti agli stati d’animo di chi sia il passeggero occasionale o NO. Saremo capaci di renderle più un eden, dove tutte le funzioni dell’uomo saranno nel rispetto della dignità e del benessere di ciascuno, senza creare ghetti più o meno belli o funzionali?. Dopo aver guardato con amore a questa società di solitudine, abusata dai media e dalle caste, noi architetti di domani, saremo capaci di cercare e nel profondo dell’anima, scovare l’uomo vero di domani, primo seme di una futura società, migliore di quella di oggi.
Dall’esame critico, senza falsi pudori o buonismi intollerabili, guardiamoci dentro, dietro le rosee quinte che abbiamo eretto a copertura delle molte nostre meschinità.
Allora i nostri sguardi troveranno come scheletri, tutte le nostre debolezze: Servilismo verso i potenti ed i politici, acquiescenza verso i costruttori, arrendevolezza verso i funzionari. Tutto questo chiudendo gli occhi e ingoiando il rospo. Piccoli doni e modeste facilitazioni da parte dei fornitori ecc. ecc. ecc..
In un mondo asservito al dio denaro forse è stolto l’appello alla dignità, ma credo che è onorevole riappropriarci della nostra identità e orgoglio di essere progettisti, poiché vale più un grammo di stima della gente di un sacco di fiorini d’oro.
Facciamoci pagare quanto è giusto, se ci riusciamo, e rispettiamo noi stessi e 1a professione cui siamo votati.
Questo è il nostro compito nell’economia dello sviluppo e forse è la chiave per ritrovare L ‘IDENTITÀ PERDUTA. UOMINI VERI ED ARCHITETTI VERI.
Come architetto ho sempre pensato che le nostre abitazioni, che le nostre città, nascano seguendo criteri uniformi e verificati e secondo l’appagamento più soddisfacente ai bisogni dell’uomo. Quando non c’erano strade, il fiume ne sostituiva le funzioni di collegamento e dava anche la possibilità, tramite la pesca, di variare la dieta. Là dove non c’erano vie d’acqua, le case erano costruite sulle alture per evitare: l’avvicinarsi inavvertito dei nemici, così erano risolti i problemi di umidità, ed il controllo dei campi. Le città, sorgevano all’incrocio delle vie carovaniere, per l’utilizzo e l’arricchimento determinato dagli scambi e dal mercanteggio. Più tardi sorsero sui punti più alti, per controllare meglio il tutto, si cinsero di mura per una migliore difesa del luogo determinato e determinante ormai acquisito.
Dalle origini l’uomo è cresciuto e l’esperienza dei suoi bisogni reali e immaginari, in tutti i settori della vita associata, si è dilatata in maniera esponenziale. L’evoluzione della società è abnorme e specie negli ultimi dieci anni, del suo sempre più veloce sviluppo ormai non più controllabile.
C’è la stessa differenza, tra la società del dopoguerra e la nostra che, tra l’uomo medievale e quello della civiltà industriale. E tra la nostra società e quella che ci sarà tra 30-50 anni? Come si potrà intervenire senza frenare, sperando di fare un buon lavoro? Quale consapevole autorevolezza o saggia indicazione ci verrà incontro fugando i nostri interrogativi e le nostre perplessità nelle scelte?
Forse:
- l) La natura e l’attenzione ad essa. Fiumi, laghi, mare, boschi, montagne, vulcani, ghiacciai, foreste, campagne e tutte le specie viventi che hanno diritto ad avere un doveroso rispetto da parte di chi, fino ad ora, non ne ha avuto, DA OGGI IN POI FINISCE IL DIRITTO Dl SPRECARE.
- Gli uomini al potere, le classi politiche o partiti Le classi sociali, tutti devono rispettare gli altri e poi se stessi. Non mi dilungo perché non voglio che mi si appiccichi un’etichetta, ma è pur vero che siamo tutti uguali nel dovere rispettare gli altri.
- Saper guardare a questa evoluzione veloce con una elasticità e capacità di pensiero ancor più veloce ed intuitiva, tale che si potranno anticipare quelli che saranno i bisogni della società del futuro, quando quelli che, attuali, non lo saranno più.
- Le città dovranno essere come una macchina che può essere votata alla velocità ma, al tempo stesso,( sono certo che nelle pause dal lavoro, il mio pensiero dice, che saranno sempre di maggiore lunghezza) dovrà, avendone assoluto bisogno, dotarsi di centri di svago, di luoghi per soddisfare interessi culturali, sportivi, tempo libero, per realizzare dunque, una miscela di luoghi naturali e corretti dall’uomo, con il potere di ricaricare dallo stress della vita lavorativa di ogni giorno l’uomo cittadino di domani.
- Questo si aspetta da noi la Società d’oggi, con un progetto di diverso respiro. Oggi ho nausea di pensare alle commissioni, al difficile rapporto con le istituzioni, causato a volte, dall’arretratezza dei concetti guida e dalla mancanza di norme certe (anche volutamente in modo che si possa fare ciò che altrimenti non si potrebbe), dei rapporti che fanno schema e brutte città con brutti fabbricati senza pensiero e bloccate dai tempi biblici che richiede un’approvazione, con perdite di finanziatori e soprattutto di lavoro, inammissibili. Non è possibile sopportare tutto questo. In altri paesi, come la Germania, gli Stati Uniti ed altri, i tempi di una approvazione variano dai 15 giorni a 2 mesi, poi la responsabilità passa al progettista e al costruttore e se sbagliano sono guai seri. E possibile una ricerca che sa d’arte, di bellezza, che appaghi l’uomo al di fuori delle metodiche e regole, che ogni tanto ci lascino vivere o almeno sperare di vivere nei sogni, nella fantasia, nella libertà, come uccelli viaggiatori, sopra le ombre o nuvole, con un respiro profondo verso l’infinito, come i gabbiani o le rondini alla ricerca di qualche verità, forse.. Dl UNA IDENTITÀ PERDUTA.
Oggi non abbiamo più il tempo per metabolizzare le grandi trasformazioni a cui dobbiamo far fronte per far si che esse diventino la base del nostro patrimonio culturale.
Un compito non facile, ma una sfida da vincere se vogliamo recuperare la credibilità che, specie negli ultimi decenni, è andata scemando assieme al disimpegno della nostra categoria, che ha smesso di pensare in grande o forse di pensare, eseguendo progetti a memoria, senza affrontare le sfide che il mondo moderno ci pone, attraverso innumerevoli proposte e mezzi e la tecnologia che l’industria ci pone a disposizione, con i tanti stimoli che la globalizzazione produce. Paura di osare? Forse.
È all’interno di questo reticolo di vincoli che si ha il dovere di operare, alla ricerca della nostra libertà di espressione, facendolo con dignità, con orgoglio, e senza scendere a compromessi, nella speranza che il prodotto del nostro lavoro possa essere, oltre che un servizio reso alla comunità, anche un messaggio per il futuro, che gli uomini di domani possano esprimere apprezzamento, su di un opera bella che avremo lasciato loro, bella e funzionale ad un tempo.
Nella speranza che queste banali riflessioni non vengano prese come un appello o un grido di allarme, per una deformata visione della situazione attuale ma, come l’invito a tutti noi a riflettere e, dopo esserci guardati dentro, decidere se non sia il caso di percorrere altre strade o, continuare nel rispetto di noi stessi e della nostra amata e vilipesa situazione professionale e lottare perché se vogliamo essere i protagonisti di questa evoluzione culturale, dobbiamo essere in prima linea.
Dovremo preoccuparci della fetta di umanità che ci circonda, subendo le banali costruzioni che continuiamo a fare e, più di ogni altra cosa ci dovremo preoccupare di chi verrà dopo di noi che così, non potrà di certo più avere rispetto alcuno di ciò che abbiamo lasciato loro, anzi, cercherà di dimenticare e cancellare dalla storia la nostra epoca.
ALFIERO ANTONINI
Diceva Le Corbusier: «Voi non sapete che farne delle vostre mani, delle vostre gambe, della vostra testa, della vostra voce, perché non avete un luogo, dei locali per poter fare rumore, per fare disordine, per stare in silenzio, per stare soli, per stare insieme».
Quelle parole – che ho citato mille volte parlando di Civitavecchia nei primi anni del mio servizio al Comune – mi sembravano riassumere perfettamente la tragica desolazione che allora mostravano Civitavecchia e tutte le nostre città, i nostri quartieri disumani, espulsi dall’antico cuore dei nuclei urbani ove, invece, la fruizione degli spazi per le attività dell’uomo avveniva in passato con sapiente ed armoniosa spontaneità. E Civitavecchia, nello stato in cui si presentava dopo la crescita disordinata seguita alle distruzioni, appariva ancor più di altre una città che dava il senso e la misura delle parole di Le Corbusier, privata com’era proprio di quel Cuore ritenuto dai CIAM il simbolo ideale e il luogo deputato della vita sociale e culturale delle comunità. Ma la situazione di è evoluta. Mi chiedevo più di recente: la Buona Arte può parlare? Il Buon Gusto si impara? Il Buon Senso si dimostra? E il Buon Governo? quello, come “si fa”? Caro Alfiero, la nostra conversazione di due giorni ha avuto una conclusione ottimistica. Anche se i motivi accumulati in più di 50 anni di professione non sono entusiasmanti. Riproviamo. Proviamo, ancora una volta, a vedere cosa accade.
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Scusate, correggo gli errori di digitazione delle ultime frasi:
Ma la situazione si è evoluta. Mi chiedevo più di recente: la Buona Arte può parlare? Il Buon Gusto si impara? Il Buon Senso si dimostra? E il Buon Governo? quello, come “si fa”? Caro Alfiero, la nostra conversazione di due giorni fa ha avuto una conclusione ottimistica. Anche se i motivi di dubbio accumulati in più di 50 anni di professione non sono entusiasmanti. Riproviamo. Proviamo, ancora una volta, a vedere cosa accade.
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