I conflitti nella ex Jugoslavia (1941-1943): il complesso quadro di una realtà ancora controversa
di DANIELE DI GIULIO♦
PREMESSA
Il Regno di Jugoslavia, nato alla fine della prima guerra mondiale dalla dissoluzione dell’Impero asburgico e di quello ottomano, aveva incluso nel suo territorio popolazioni diverse per etnia, religione e costumi: i Serbi ortodossi, i Croati, gli Sloveni cattolici ed i Bosniaci musulmani. Tali gruppi iniziarono ben presto a scontrarsi tra loro.
In data 6 aprile 1941, tale regno venne invaso su tutti i fronti dalle potenze dell’Asse: prioritariamente dalle forze tedesche, supportati dai loro alleati italiani, ungheresi e bulgari. Il 17 aprile 1941 i rappresentanti dell’esercito jugoslavo firmarono la resa.
Il Regno di Jugoslavia si trovò diviso fra le potenze belligeranti vincitrici: ungheresi e bulgari estesero i loro confini con l’incorporazione di Prekmurje e parte della Vojvodina per l’Ungheria e la Macedonia per la Bulgaria, gli italiani e i tedeschi, oltre ad annettere porzioni dell’ormai ex regno (Provincia di Lubiana e il Governatorato di Dalmazia per l’Italia), fissarono una linea empirica che tagliava in due il Paese dalla Provincia di Lubiana a nord, fino a quelle terre jugoslave unite al Regno d’Albania a sud, dividendo così le rispettive zone di occupazione militare. Nelle attuali Croazia e Bosnia-Erzegovina venne inoltre creato lo Stato Indipendente di Croazia, capitanato dal movimento filo-fascista degli ustasha (“insorti”) di Ante PAVELIĆ (1889-1959).
TEATRO OPERATIVO JUGOSLAVO
A seguito della suddivisione del paese, il fronte iugoslavo divenne ben presto teatro di una feroce guerra civile a sfondo etnico e politico: gli ustasha croati, i cetnici (partigiani monarchici) serbi di Dragoljub “Draža” MIHAILOVIĆ (1893-1946), i partigiani comunisti del croato Josip BROZ (1892-1980), gli eserciti di Roma e di Berlino: tale situazione intensificò maggiormente le ostilità già presenti tra i vari gruppi etnici del Paese, intrecciandosi con violenti contrasti di tipo politico.
L’occupazione del territorio, condotta dal contingente italiano, fu decisamente diversa dal corrispettivo tedesco. Infatti, non vi furono episodi di sistematica pulizia etnica e l’”italianizzazione” condotta nelle zone annesse ( parte sud-occidentale della Slovenia e quella nord-occidentale della Banovina di Croazia, parte della Dalmazia e la zona delle Bocche di Cattaro) per quanto odiosa e abietta possa apparire ai giorni nostri, aveva presupposti linguistico-culturali e non razziali.
ECCIDI E CIRCOLARE 3C
Gli eccidi riportati su vari documenti custoditi presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito e le dichiarazioni rilasciate dai testimoni oculari forniscono un quadro agghiacciante inerente alle atrocità inferte ai militari italiani morti, feriti o prigionieri da parte dei partigiani titini e da i loro sostenitori. Di seguito alcuni esempi inerenti al periodo 1941-1942:
- 1941: settanta soldati italiani della 18a Divisione di fanteria “Messina” fatti a pezzi” e infilati in canali di scolo in Montenegro;
- 1942:
- feriti e prigionieri del 4º Gruppo “Valle” della 6ª Divisione “Alpi Graie” torturati e strappati denti, cuore e occhi in Montenegro;
- tenente cappellano Don Giovanni PETTENGHI di Pavia che, durante un attacco contro l’autocolonna militare su cui viaggiava in direzione Fiume, ucciso con parecchi colpi di pugnale nel petto e un colpo di arma da fuoco alla tempia (nonostante avesse ben visibile il segno della croce rossa sul petto della giacca);
- militari appartenenti al 5° Raggruppamento Guardia della Frontiera (G.A.F) uccisi e i loro corpi rinvenuti nudi ed in parte bruciati a Cerquinizza (Sussak) in Croazia;
- militari italiani della colonna del tenente colonnello RAFFAELI martoriati e seviziati anche dalla maestra elementare Vukusova SAKOTIC, accusata come principale autrice e reo confessa, a seguito della testimonianza fotografica fornita da PETROVIC di Vilus in merito a evirazioni e ai crimini compiuti anche sui cetnici, presso Lastva (Trebinje) in Bosnia Erzegovina;
- salme di militari del 4° Bersaglieri (con crani fracassati, membra mutilate, ecc.) rinvenuti a Mosko in Bosnia Erzegovina, a seguito della confessione della citata SAKOTIC;
- pattuglia della G.A.F. assalita e sopraffatta i cui feriti denudati e sgozzati lungo la linea ferroviaria del tratto Javornik (Croazia)-Rudopolje (Slovenia);
- un centinaio di militari italiani della 1^ Divisione celere feriti, denudati, seviziati, privati degli occhi, evirati e sgozzati da donne e ragazzi presso Perjasica in Croazia centrale.
La Circolare 3C fu emanata dal generale Mario ROATTA, Comandante della II Armata Italiana di stanza in Jugoslavia, il 1° marzo del 1942 in 1^ edizione e aggiornata successivamente il 1° dicembre. Il documento è articolato in: Premessa (Concetti basilari), Parte I (Servizio informazioni), Parte II (Misure di sicurezza e protezione), Parte III (Organizzazione del territorio e dei presidi), Parte IV (Operazioni), Parte V (Trattamento da usare alle popolazioni e ai partigiani) e vari Allegati. In particolare, la Parte V trae fondamento giuridico dalla Legge Italiana di Guerra, approvata con regio decreto 8 luglio 1938, n.1415 (ancora in vigore nella Repubblica Italiana in quanto non abrogata), che al Titolo Primo Disposizioni Generali Capo I al paragrafo (Ritorsione) cita testualmente: […] Gli atti di rappresaglia o di ritorsione, in quanto consistano in operazioni belliche, possono essere disposti anche dal comandante supremo, o, quando sia necessaria una azione immediata ed esemplare da ogni altro comandante.
Frequentemente dalla circolare 3 C vengono estratte dal loro contesto delle affermazioni di particolare impatto, quali per esempio “Il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula: “dente per dente” ma bensì da quella “testa per dente””, citata in Premessa, ma non riportando quanto si precisa successivamente nella Parte V:
- paragrafo 254: […]”Alla distruzione di interi villaggi si procede solo nel caso che l’intera popolazione o la massima parte di essa, abbia combattuto materialmente contro le nostre truppe, dall’interno dei villaggi stessi, e durante le operazioni in quel dato momento in atto”;
- paragrafo 261: “Il saccheggio delle abitazioni, comprese quelle da distruggere, deve essere impedito con misure preventive e, se occorre, con repressioni draconiane”;
- paragrafo 264: “Nel trattamento da usare verso le popolazioni, gli edifici, villaggi e beni, e verso i partigiani, è assolutamente necessario di attenersi alle norme permanenti o contingenti in vigore. — Inasprimenti alle medesime, praticati senza un’assoluta necessità (atti di ostilità armata — tentativi di fuga), sarebbero indegni delle nostre tradizioni di umanità e di giustizia, e costituirebbero altresì — nei riflessi delle popolazioni — un’arma a “doppio taglio”.
Inoltre fu ritenuto opportuno che, considerate la severità e la durezza riservate agli insorti dalla Circolare 3 C, non era da applicarsi universalmente. Infatti, in data 7 aprile 1942 fu inviata un appendice al documento in questione dal titolo “Trattamento da usare verso i ribelli e le popolazioni che li favoriscono” in cui si specifica: i ribelli, colti colle armi alla mano, e gli individui di cui al comma a) del n. 1 della Ia appendice alla circolare 3C, saranno immediatamente fucilati sul posto. Faranno eccezione: i feriti, i maschi validi di età inferiore ai 18 anni, le donne che saranno deferiti (i primi una volta guariti), ai tribunali di guerra competenti”
Dalla lettura completa della Circolare 3C e dai successivi documenti, emerge che le misure prese, per quanto drastiche, erano avulse da scopi quali la pulizia etnica dell’elemento slavo, ma volte esclusivamente alla repressione della guerriglia partigiana. Infatti, lo scopo era di fornire direttive di carattere tecnico-tattico alle unità dipendenti nella conduzione delle attività di contro- guerriglia.
INTERVENTO IN CROAZIA
Nello Stato Indipendente di Croazia, tra la fine di aprile e la prima metà di agosto del 1941, il governo di Ante PAVELIĆ perpetrò un genocidio da numeri impressionanti: 750.000 serbi, oltre 50.000 ebrei, 25.000 rom, il clero ortodosso sterminato e 47 rabbini impiccati. A partire dal mese di maggio del 1941, i reparti militari italiani si trovavano in Croazia come “truppe stazionanti” in territorio di stato amico “indipendente” e le disposizioni che giungevano dal governo centrale avevano un carattere esplicito: disinteressarsi completamente delle questioni interne croate. Le truppe italiane non rimasero impassibili e a partire dal settembre del 1941, appena il Governo approvò una proposta presentata dalla II Armata, procedettero all’occupazione del territorio assegnato e assunsero poteri civili: riuscirono (dati forniti dai rappresentati delle stesse popolazioni salvate) a sottrarre dalla morte numerosi serbi – ortodossi (600.000), alcune migliaia di ebrei fuggiti da Zagabria (il comando italiano si rifiutò, con sotterfugi e tergiversazioni, di consegnarli ai tedeschi) e un centinaio di polacchi.
Gli stessi archivi tedeschi affermano infatti che diversi massacri furono evitati grazie alla presenza delle truppe della II Armata Italiana, asserzioni confermate anche dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito che riporta:
“È dimostrato da una larga documentazione che le rappresaglie più feroci e spietate, gli assassini più atroci, le barbare distruzioni di interi villaggi e di edifici di ogni specie, che ora vengono attribuiti agli italiani, furono invece commessi dai gruppi etnici e religioni in lotta fra di loro. Le nostre Autorità di occupazione ebbero anzi ad intervenire per porre un freno a tali eccessi e per tutelare, come si è accennato, la vita dei militari italiani e della popolazione per assicurarle una vita pacifica” .
NON GIUSTIFICARE, CONTESTUALIZZARE
Il presidio delle forze armate italiane nei territori nella ex Jugoslavia ha dato luogo a delle accuse “generalizzate” che non corrispondono alla verità. Il modus operandi dei reparti militari seguiva, nella stragrande maggioranza dei casi, le disposizioni impartite: accertata la convivenza con i partigiani, le famiglie venivano evacuate e le case venivano bruciate. Peraltro, in molte opere pubblicate si fa riferimento all’elenco nominativo e ritratti di persone passate alle armi nel corso di rappresaglie (attuate secondo le norme allora vigenti) ma non si ritrovano atrocità commesse contro prigionieri o vilipendio sui cadaveri.
Ovviamente, è innegabile che si verificarono episodi in cui le norme in vigore furono violate come quello, tristemente noto, avvenuto a Podhum: il 12 luglio 1942, per ordine del prefetto di Fiume Temistocle Testa, il paese fu rastrellato dai militari italiani e 108 dei suoi abitanti, tutti uomini di un’età compresa tra i 16 ed i 64 anni, furono giustiziati in una cava poco distante: la vera causa della ritorsione è sconosciuta, in quanto la motivazione della “ritorsione” era riconducibile, secondo il prefetto Testa”, all’uccisione di sedici militari da parte dei ribelli locali mentre, per il “Fascio” di Fiume, all’assassinio dei maestri di scuola elementare Giovanni e Francesca Renzi.
Ancora oggi, risulta estremamente difficile fornire un giudizio esaustivo sul periodo in esame, delicato e controverso, che ha dato origine a polemiche accese, a dispute irrisolte, ad interpretazioni difformi e molto spesso diametralmente opposte. Bisogna invece semplicemente restituire tali fatti al loro ben preciso contesto storico: né negare, né giustificare, ma contestualizzare la durezza dell’occupazione e le misure repressive messe in atto dalle Forze Armate italiane in uno scenario di guerra civile dai connotati ideologici, etnici e nazionalistici che portò il fronte jugoslavo a essere probabilmente uno dei più intrisi di violenza di tutta la Seconda Guerra Mondiale.
DANIELE DI GIULIO
Il tuo articolo, come l’altro, tendono a dare un equilibrio al discorso che troppo spesso è utilizzato quale strumento per sostenere la parte a discapito della visione generale (quella che tu chiami esigenza di contestualizzazione).
La guerra è un affare dannato, comunque. Il tema della “guerra giusta” è tema antico. Agostino fu il primo a cedere sul fatto che potevano esser fatte guerre possibili (jus ad bellum) ma a due condizioni: che vi sia giusta causa e che le intenzioni siano rette. Un discorso questo che presta il fianco a tante critiche. Chi può asserire che le intenzioni sono buone? Per ogni contendente la guerra appare giusta!
Dunque, dopo le atrocità della seconda guerra mondiale si è addivenuti ad una più saggia idea: il problema non è la guerra giusta, cioè lo jus ad bellum, ma lo jus in bello, ovvero come ci si comporta in guerra, se guerra sa da fare.
L’aggressione italiana, tu lo dici, è stata aggressione. Nella Grande Guerra si lottava per non essere occupati, Nella seconda il Potere era intenzionato ad aggredire. Dunque, nei termini agostiniani mancava l’intento retto e la causa non era giusta. Ma, detto ciò,viene alla ribalta in ogni caso il modo con il quale si combatte una guerra pur non giusta. Da parte nemica, pur se offesa, non esiste possibilità di giustificazione. Ripeto, pur se è parte offesa. Roatta è stato, giustamente, accusato di comportamenti non umani, rappresaglie non necessarie, atti di violenza, campi di concentramento. Ma se si parla di questo è necessario parlare anche di ciò che tu hai esposto.
Questo è equilibrio. Il fatto che ci si difenda dall’aggressore non giustifica l’atrocità. Se una causa è giusta perchè difendo un idea contro chi mi impedisce di esprimerla, se difendo la mia libertà contro la dittatura di un Tiranno che invade la mia terra se lo jus ad bellum è lecito tutto ciò non autorizza l’atrocità. Esiste il principio dello jus in bello. Se si disconosce questo cade d’un colpo Norimberga, la Carta dell’ONU, la società civile.
Quando taluno si inorridisce perchè si tenta di rendere tutti uguali vittime ed aggressori in nome di un comun denominatore sta ponendo in evidenza il concetto di “guerra giusta” e pretende che sia chiara la distinzione fra chi è aggressore e chi è aggredito, fra chi è per la giusta causa e chi sta sbagliando. E’ un argomento lecito, naturalmente se la causa è riconosciuta giusta dalla Storia.Ma in ogni caso resta irrisolto il problema di cosa sia lecito fare pur se si lotta per il giusto principio. Se non riconosciamo lo “jus in” finiamo per entrare nel dominio della Bestia.
Ogni guerra, comunque, libera la Bestia. La tragedia della guerra è quella di dare libertà alle forze beluine che sono allo stato di latenza in ciascuno di noi. Da questo punto di vista Agostino ha torto, non può esistere guerra giusta, anche se il fine è sublime. La civiltà deve pensare questo fino alla fine, la guerra deve essere estrema ratio.
Eppure stiamo sempre sull’orlo dell’abisso, anche ora con la storia dei vaccini, con l’imperialismo cinese, con l’Africa e l’Oriente dei dittatori, con i fondamentalisti islamici e non islamici. Le forze della Bestia covano potenziali negli animi, pronte ad attualizzarsi, pronte a ripetere quello che tu hai efficacemente descritto, grazie.
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