IL NUMERO DI DIO

di BRUNO PRONUNZIO

La prima cosa che mi colpì, quando all’età di 18 anni e mezzo lasciai Civitavecchia per iniziare a frequentare l’Università a Siena, fu un manifesto funebre. Rimasi colpito non tanto dalla forma o dai caratteri utilizzati, quanto dalla presenza di un lungo acronimo. A distanza di qualche decennio non ricordo esattamente la posizione, se sopra o sotto il nome del defunto, ma quella serie di lettere intervallate da uno strano segno di punteggiatura entrò nella mia testa come un tarlo fino a quando, forse prima dell’avvento di Google, riuscii a decifrarlo.

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Di Massoneria ne avevo sentito parlare ai telegiornali. Licio Gelli e la Loggia P2 erano usciti dall’aura di riservatezza ed erano entrati prepotentemente nelle case di tutti gli italiani, ma quell’acronimo, presente in tutte le logge, non lo avevo mai visto. Finalmente svelai l’arcano:

Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’Universo

Lungi dal dare un’interpretazione alla figura del Grande Architetto Dell’Universo, se più o meno coincidente con un’idea di Essere divino, le mie sinapsi si sono subito collegate alla figura di Albert Einstein e alla sua risposta al collega Max Born:

“La teoria dà buoni risultati, ma difficilmente ci avvicina al segreto dell’Anziano. Sono del tutto convinto che Lui non stia affatto giocando a dadi”

Quindi se per i framassoni esiste un Grande Architetto e per Einstein Dio non gioca a dadi, mentre per i fisici quantistici ci gioca eccome, allora è lecito associare la Creazione e l’Evoluzione di tutto ciò che ci circonda, dall’atomo ai buchi neri, a formule matematiche o fisiche.

E andando per gradi, se Dio si serve di relazioni e regole che poi noi riusciamo in qualche modo a formalizzare e a ridurre in formule e teoremi universalmente validi, è possibile associare un numero a Dio?

Per secoli il π è stato considerato un numero divino. Usato fin dall’antichità per misurare l’area del cerchio e la lunghezza della circonferenza, il pi greco richiama, forse a causa del numero infinito di decimali, l’incommensurabilità. Anche Dante fa menzione di tale caratteristica nel Convivio, laddove definisce impossibile “quadrare il cerchio”, ovvero determinare il pi greco in modo finito:

lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto

Nel XXXIII Canto del Paradiso, Dante associa l’impossibilità di descrivere la visione della Trinità alla ricerca del numero irrazionale che consentirebbe la quadratura del cerchio:

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond’elli indige,

tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l’imago al cerchio, e come vi s’indova

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Dalla letteratura all’arte, passando per la natura, incontriamo un altro numero di Dio: il PHI, detto anche numero aureo, sezione aurea o rapporto aureo.

Dal punto di vista numerico il PHI o ϕ è uguale a 1,6180339887…

Anch’esso, come il π, è irrazionale e deriva dalla seguente proporzione:

   AC : AB = AB : BC

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che si può sintetizzare come il rapporto che esiste tra i due segmenti AB e BC reso uguale al rapporto tra la somma dei due segmenti (AC) e il più lungo dei due (AB).

Ai profani questo numero non dice molto, ma ai matematici fornisce una serie di strabilianti proprietà. Il quadrato di ϕ è 1+ ϕ: 1,6180339887² = 2,6180339887; il reciproco di ϕ è ϕ-1: 1/1,6180339887 = 0,6180339887; ϕ è il limite del rapporto tra due termini consecutivi della Serie di Fibonacci; ϕ è il rapporto tra due bracci consecutivi della spirale logaritmica e così via.

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La Serie di Fibonacci è una successione di numeri interi i cui primi due elementi sono 1 e 1, e ciascun altro elemento è uguale alla somma dei due termini precedenti:

1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, …

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Ma la Serie di Fibonacci e la sezione aurea che questa esprime non sono importanti soltanto in matematica. Le grandezze che generano tale rapporto aureo sono state utilizzate da sempre nella pittura e nell’architettura per dare maggiore armonia alle opere d’arte. Esempi della specie si trovano nella Piramide di Cheope, nel Partenone, a Castel del Monte, nella facciata di Notre Dame, nella Gioconda, nell’Uomo Vitruviano, nella Venere del Botticelli.

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Serie di Fibonacci, sezione aurea e spirale logaritmica sono presenti anche in natura: nella formazione di alcune galassie, nella sezione della conchiglia Nautilus, nella disposizione dei semi di girasole, delle squame delle pigne, etc.

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Tuttavia i primi ad associare un numero a Dio sono stati gli ebrei. Sappiamo che per gli ebrei era ed è fatto divieto assoluto di pronunciare il Tetragramma biblico יהוה, il nome di Dio, che viene traslitterato in caratteri latini con Jahvè o Yahweh.

La legge ebraica (Halakhah) prescrive che al suo posto venga pronunciato Adonai o la forma impersonale HaShem (Il Nome).

Ma per trasformare il nome di Dio, per cui vige divieto assoluto di pronuncia, in un numero, è sufficiente utilizzare il sistema di numerazione ebraica, secondo il quale a ogni lettera dell’alfabeto corrisponde un numero:

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Per cui il Tetragramma biblico יהוה vale 10 (Yod) + 5 (He) + 6 (Waw) + 5 (He) = 26

È noto che l’ebraico si legge da destra verso sinistra, ma se disponiamo le quattro lettere in verticale otteniamo un’immagine antropomorfa. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Genesi 1, 27).

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La conferma della sacralità del numero 26, che a questo punto è più degli altri titolato a essere considerato Numero di Dio, l’ho avuta facendo una ricerca certosina all’interno della Bibbia. Grazie allo strumento informatico, ho cercato le ricorrenze di ciascun numero – dall’1 in poi – all’interno del Libro Sacro. Ebbene, fino al 25, ciascun numero viene citato nell’Antico Testamento una o più volte, mentre il numero ventisei è completamente assente: un altro modo, ben più sottile e nascosto, di rispettare il divieto di pronunciare il Tetragramma biblico.

BRUNO PRONUNZIO