EX PROPRIETÀ ANTONELLI – ATTUALE PARCO DELLA RESISTENZA – “Ricordi”
di LUIGI DE PAOLIS ♦
I ricordi sulla ex proprietà Antonelli, attuale “Parco della Resistenza”, risalgono agli anni tra la mia fanciullezza e la mia adolescenza: gli anni del dopo guerra. La mia famiglia aveva ottimi e cordiali rapporti con la famiglia Piroli, mezzadra degli Antonelli; frequentavamo quotidianamente l’azienda, oltre per rapporti di amicizia, perché ci si comprava il latte fresco dalla Sig.ra Zelia, moglie di Eugenio, titolare della mezzadria. Ciò fino a quando il mercato del latte, all’uopo disciplinato dal Consiglio Comunale, fu “monopolizzato” dalla SLAIC (diretta dalla dott.sa Stefanini), società che, per disposizioni comunali, acquisiva tutto il latte prodotto sul territorio, lo pastorizzava, lo imbottigliava e lo commercializzava. Delimitata da “alti” muri in pietra e da grandi cancelli in ferro, la proprietà Antonelli racchiudeva un mondo agreste affascinante e misterioso da scoprire. Oltre alle coltivazioni di grano e di ortaggi, l’azienda era “arricchita” dalla presenza di alcuni animali: un’asina, che trainava il carretto per portare le verdure di produzione al mercato, da una vitella e da una mucca da latte. Concludevano la dotazione animale un cane nero “tipo lupo” ed un maiale. Coadiuvava il titolare, Eugenio, nella conduzione familiare, un bracciante di nome Salvatore, che alloggiava nel magazzino degli attrezzi limitrofo alla stalla, e che aveva la caratteristica morfologica di essere piegato perfettamente a novanta gradi, tanto che doveva camminare con l’indispensabile ausilio del bastone. Gli ingressi alla proprietà erano due, quello su via Montanucci, normalmente chiuso, e quello su viale Baccelli, sempre aperto e abitualmente utilizzato, adiacente all’allora rinomata “Trattoria del Gobbo”, con tanto di insegna luminosa con la scritta e l’effige di un omino gibboso. Ogni pomeriggio c’era il rito dell’“abbeveraggio”: a turno gli animali (asina, vitella e mucca) venivano portati fuori dalla stalla (attuale locale archivio dell’Ufficio Urbanistica) per bere al fontanile che era situato in aderenza al muro ovest della stalla stessa, lungo il camminamento (attuale V.le degli ex Internati) che dal cancello su via Montanucci (come detto, solitamente chiuso con catena e lucchetto) portava, in linea retta, a quello che oggi è l’ingresso da V.le Togliatti dove, all’epoca, in una piccola stalla, viveva e si ingrassava un maiale che, annualmente all’inizio della stagione fredda, veniva “sacrificato” e trasformato in leccornie alimentari. Il camminamento divideva il terreno in due aree con vocazioni agricole ben distinte: a valle solitamente seminato a grano, a monte coltivato ad ortaggi. Ammirevole, specie all’occhio di un fanciullo-adolescente, era l’attività della “gigantesca” mietitrebbiatrice nel periodo di raccolta del grano. Le attuali sedi degli uffici comunali erano la casa del mezzadro (primaria sede Urbanistica), la stalla, i magazzini e la casa padronale; quest’ultima usata al piano superiore dagli Antonelli per le vacanze estive e, al pianoterra, locata alla Famiglia Pinti. Antistante al caseggiato e corrispondente all’attuale parcheggio degli uffici, verdeggiava un’area “fresca”, delimitata da una siepe di pitosforo ed ombreggiata da pini ed eucalipti ed arricchita da un raro albero del pepe. Sul retro del caseggiato, verso sud, era presente un bunker anti aereo, residuo bellico, utilizzato a magazzino. L’azienda, oltre a grano e ortaggi ed alcune piante da frutto, produceva anche mandorle, di cui erano presenti numerosi alberi che regalavano uno spettacolo magnifico durante la fioritura e un lavoro occasionale per giovani dopo la raccolta per lo schiacciamento e l’estrazione del frutto che veniva commercializzato. Nell’ambito della azienda erano presenti almeno tre pozzi alla romana, due rispettivamente presso gli ingressi di viale Baccelli e di via Montanucci (già all’epoca asciutti), il terzo, attivo e munito anche di vasca, era a servizio dell’ortaglia. La vasca era dotata della pompa a leva (però già in disuso all’epoca) per emungere l’acqua dal pozzo e che, all’inizio degli anni ’70, con i lavori di adattamento e riconversione ad ufficio, fu installata ai piedi della scala della primaria sede dell’Ufficio Urbanistica. Molto caratteristico e “seducente” appariva il camminamento sopra accennato, che “tagliava” l’area aziendale e che, sviluppandosi da nord a sud, con il senno di oggi, richiama il “cardo” romano, intersecato da quello che potrebbe configurarsi come “decumano”, il percorso, all’epoca carrabile, che dall’ortaglia (area ad est) portava all’ingresso su viale Baccelli (fronte ovest). Tale camminamento era delimitato su entrambi i lati da una serie di pilastri in muratura, quasi completamente senza intonaco, cadenzati ad intervalli pressoché regolari, collegati a terra tra loro da piccole aiuole. Tali pilastri, a sezione quadrata culminante in testa a forma piramidale, quasi alla sommità erano muniti di fori passanti sui quattro lati, da cui spuntavano ancora vecchi assi di legno intersecanti tra loro, su cui si adagiavano residui di tralci di vite; testimonianza di antico pergolato in abbandono. La frequentazione, inizialmente quotidiana, andò diminuendo non avendo più la motivazione del latte, pur rimando il rapporto di cordialità che portava, comunque, a fare visite di cortesia alla famiglia Piroli. Anche l’attività aziendale andò scemando fino a cessare completamente con il ritiro della Famiglia Piroli e la successiva cessione delle aree “convenzionate” al Comune che, purtroppo, per un periodo di tempo non se ne prese cura, lasciando che avanzasse il degrado e si “perdessero” alcune peculiarità.
LUIGI DE PAOLIS
I suoi ricordi sulla Vigna Antonelli (oppure Villa, Tenuta, Proprietà o Podere che dir si voglia) Gigi me li ha raccontati tante altre volte. Sono importantissimi, perché della “preistoria” dei luoghi che rappresentano oggi entità fisiche ben precise, ma con altri nomi, anzi, in questo caso, sono uno dei parchi pubblici delle città, a distanza di tempo se ne perdono i ricordi, scompaiono fatti, cose, persone e non resta più nulla. Il che è comunque una grave perdita per la collettività. Per lui, per me, questi sono luoghi cari… “Cari luoghi… luoghi ameni”, che ricordano tempi “lieti, sereni, tranquilli” (beh, non solo e non sempre!) ma la musica di Bellini mi risuona comunque nella mente. Da tempo ho preparato altri documenti, altri ricordi ed ho sollecitato giovani amici e amiche, anzi colleghe e colleghi a esprimere le loro impressioni. Ho in programma una “guida” di Civitavecchia che raccolga proprio questo: la preistoria, il medioevo e i fatti recenti dei tanti luoghi della città di cui pochi, ormai. sanno cosa “c’è sotto”, nel senso letterale, di quello che si vedrebbe a sollevare la “crosta” che copre tante cose, a volte solo polvere, altre volte pesanti e ingombranti stratificazioni. Per ritrovare il genius loci. Per vederci meglio. Una volta avevo proposto a Silvio una rubrica che avrebbe dovuto intitolarsi “Collirio” e alcune puntate, in fondo, nei suoi “Album” le abbiamo fatte. Come quella du certi dipinti. Poi, comunque è intervenuta proprio la santa protettrice della vista, Santa Lucia, che ci ha aiutato appunto ad aprire gli occhi su alcuni personaggi e situazioni. Forse se ne è perduto anche lì il ricordo, anzi, si è cercato di cancellarlo, con la cura di chi non vorrebbe lasciare tracce, che invece restano, eccome! Come i famosi cento pilastri della “Aurelia nova” di Traiano. Meno male, caro Gigi, che li ricordi quando avevano quasi completamente perduto l’intonaco: certi esperti credono che li abbiamo costruiti noi… Anzi, volevano “capitozzarli”. Ma su questo torneremo. Grazie, Gigi, per la precisione delle notizie e la freschezza delle immagini. A prendere il latte non c’ero, ma quando ci siamo occupati di quella proprietà eravamo davvero piuttosto giovani. ed abbiamo operato con molto rispetto per tutte le preesistenze, grandi e piccole (ma importanti), come la pompa a leva con la testa di leone, messa a ornamento della scala (moderna) della Ripartizione Urbanistica. Non ce la siamo portata via, come da altre parti si è fatto con reliquie molto importanti. Di quella testa leonina, un caro amico preside di Architettura che la vide mi ha chiesto un calco, che gli feci, per utilizzarlo come sbocco dei “discendenti” in un suo progetto. E ti ricorderai, Gigi, che Luigi Piccimato, Renato Amaturo e Nico Di Cagno (nomi che a noi dicono qualcosa!), ogni volta che venivano per qualche riunione, lodavano il restauro e l’arredamento del casale. Anzi, il professor Piccinato mi scrisse addirittura una lettera di lodi! Certo, un casale insolito, come ufficio, a Civitavecchia, quasi “scandaloso”, senza nulla di burocratico e con sospetti di non so cosa. La “Dacia Correnti”, diceva qualcuno, che forse… ma lasciamo perdere. Bei ricordi!
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Il Gobbo!!
Siamo appena entrati. Mio zio Ettore, il Maestro, mio cugino, io. La tavola è pronta. Grande festa per un ragazzotto di sette anni. La zuppa di pesce è troppo ingombrante per noi adolescenti, meglio la frittura.
Abbiamo terminato io ed il cuginetto. I vecchi signori no! Ed ecco servir loro un formaggio lordo di muffa verdognola. Odore penetrante che lesto si tramuta in tanfo. Come tutti gli effluvi intensi il richiamo ad altro è subitaneo. Ed ecco apparirmi l’immagine dei miei calzini (e di mio fratello) quando vengon cavati fuori dai sudati piedi alla sera, dopo una giornata di gioco intenso.Godono ,i grandi, a gustare quella fonte olezzante, inorridiamo noi.Provano ad offrircelo. Rifiuto netto.
Questo, in breve, il primo incontro con il gorgonzola anni ’40. Il tuo articolo mi ha risvegliato il ricordo. L’attuale baracca un tempo era un piccolo tempio pagano dedicato al gusto. Grazie della illuminazione.
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