DUE VECCHI COLLEGHI

di BRUNO PRONUNZIO

«Accomodati Giuseppe che pure quest’anno mangiamo il panettone»

«Hai visto. A Natale ci sei arrivato e lavori ancora»

«Eh no è. Se il Capo mi licenzia non è una bella notizia. Mica posso fare come hai fatto tu: quattro parole e hai rimesso il mandato»

«Embè, mica sono stato il primo a farlo. E poi l’ho detto papale papale, anche se in latino. Va be’ Giorgio, era una battuta. Ma ti ricordi quante risate ci siamo fatti quella sera della finale?»

«E come no. Ancora rido se ripenso alla faccia del cameriere quando gli hai chiesto di portarti una tedesca bionda. Ce n’è voluto prima che capisse che volevi una birra»

«E tu invece, quando gli hai confessato che tifavi per la Germania, perché l’Argentina il Mondiale lo vince ogni morte di Papa… A proposito di Natale, c’è una storia che volevo raccontarti.

Tanto tempo fa tra le montagne della Baviera viveva un boscaiolo con la moglie e tre bambini. Conducevano una vita grama ed erano tutti molto magri perché avevano poco da mangiare. Durante l’inverno il padre accendeva la legna nel camino, quella per fortuna non mancava, e faceva scaldare un pentolone pieno di acqua nel quale metteva a bollire delle castagne e qualche radice trovata nel bosco. I genitori avevano educato i figli nel rispetto della natura e del prossimo, anche se non avevano grandi occasioni per stare insieme ai ragazzi della loro età.

Le uniche possibilità d’incontro le avevano la domenica, quando si recavano nella chiesa del paesino che distava quasi un’ora di cammino. Non ne perdevano una di domenica! Non c’era neve, pioggia o vento che li potesse fermare, quando cominciava la Messa erano tutti e cinque lì, nel penultimo banco a destra. Di domenica nel piccolo borgo confluivano diverse famiglie come la loro e tutti ne approfittavano per acquistare le cose di cui avevano bisogno. Sulla via di casa, poi, si fermavano a mangiare i crauti caldi e le salsicce arrostite che le persone del posto preparavano per i forestieri. Anche questa era un’occasione per scambiare due chiacchiere con i contadini che, come loro, vivevano isolati. Al ritorno i loro vestiti puzzavano di salsiccia ma i loro visi erano raggianti di felicità.

I ragazzi sognavano di trasferirsi nel borgo e vivere una vita normale ma non osavano chiederlo ai genitori, si limitavano ad affidarlo nelle loro preghiere a Gesù Bambino. Sapevano che le condizioni economiche non glielo avrebbero mai consentito.

Il giorno della vigilia di Natale faceva molto freddo. Le nuvole avevano iniziato fin dal mattino a scaricare neve. In casa, la mamma aveva preparato la polenta con il maiale, mentre i bambini avevano sistemato tutte le statuine nel presepe, mancava soltanto il bambinello. Ogni anno il papà costruiva un nuovo personaggio, lavorando con abilità il legno dell’albero che aveva tagliato nel giorno di Venerdì Santo. Quell’anno aveva realizzato la lavandaia, con tanto di secchio pieno d’acqua. La famiglia stava per iniziare a cenare quando il silenzio venne interrotto da alcuni rumori provenienti dall’esterno. Era la voce di un uomo. Subito il boscaiolo, allarmato, prese un’accetta e aprì la porta. “Vi chiedo scusa” disse l’uomo “ma sono stato disarcionato dal cavallo e ho smarrito la strada. Ho visto del fumo uscire dal camino e mi sono avvicinato. Ora stanno calando le tenebre e vi chiedo ospitalità. Non me la sento di proseguire al buio nel bosco”. Il padre squadrò quel forestiero ben vestito, il viso gentile e le mani curate non sembravano appartenere a un malfattore. Diede una rapida occhiata alla moglie che con un cenno della testa acconsentì a farlo entrare. “Se si accontenta di un po’ di polenta può mangiare con noi, questa è la notte di Natale e sarebbe un grave peccato rifiutare una richiesta di ospitalità. Qui in casa non abbiamo posto per farla dormire, ma la legnaia è asciutta e ben riscaldata”. La cena non durò molto e l’uomo stette quasi tutto il tempo in silenzio. Quando si alzò aprì la sacca che aveva con sé e tirò fuori un bambinello di legno che diede ai bambini. Poi prese della farina e, rivolto verso la moglie del taglialegna, aprì un tovagliolo. “Questo è lievito madre, ma io lo chiamo speranza. Ogni giorno lo accarezzo e lo accudisco come un pulcino, poi ne prendo un po’ e lo impasto con la farina. Domani metta a cuocere l’impasto nel forno e avrà dei biscotti speciali”. Furono le ultime parole che udirono da quell’uomo. Il mattino dopo trovarono la legnaia vuota. Sul pagliericcio soltanto una coperta di seta intessuta con fili d’oro. I bambini ebbero la grande sorpresa di trovare, accanto alla statuina di Gesù Bambino tre Re Magi in oro massiccio. Il loro sogno si sarebbe realizzato. Mentre il boscaiolo a stento tratteneva le lacrime, la moglie stringeva al cuore il tovagliolo ricolmo di speranza».

«Davvero bella questa storia Giuseppe, ma… si è fatto tardi, dobbiamo scendere in piazza a mettere il bambinello»

«Sì Giorgio, il bambinello e… tanta speranza».

BRUNO PRONUNZIO