Recensione aperta di “Quella storiaccia di RUPESOVRANA”

di PAOLA ANGELONI

“Quella storiaccia di Rupesovrana” di Simonetta Bisi e Nicola R. Porro, romanzo poliziesco, ha una struttura in cinque fasi: la situazione iniziale, l’evento e l’azione della protagonista, la commissaria Amalia Fuccillo, l’evoluzione della vicenda, la ricomposizione di un equilibrio positivo per la protagonista e la situazione finale. All’ inizio due personaggi introducono il contesto di Ripa Selvaggia. 

I due, più avvezzi al mare, stanno cercando in questa zona della Bassa Maremma, battuta da tombaroli e da cercatori di monete. Si indirizzano verso una strana roccia, annunciata da ombre ventate e aliti rinfrescanti, una roccia sacra, ed inizia il mistero. Il luogo è arido e desolato; allungando gli sguardi i due vedono una chiesa diroccata dal cui tetto svettava un albero frondoso, un borgo e un corpo di fabbrica.

La fabula segue un preciso ordine cronologico, infatti nel secondo giorno l’azione si sviluppa nella cittadina di Tirrenella, cittadina di mare. La protagonista Amalia ed il suo coadiuvante Gianni, ex cronista di nera, si conoscono da tempo e si interrogano su questa cittadina che la commissaria fatica a comprendere. L’azione prosegue con i redattori di Tirrenews, emittente locale, in cerca di scoop e con il medico legale. Essi si trovano di fronte ad un delitto vero, misterioso, con un cadavere… Segue il referto del medico legale e vengono rinvenuti indizi, si chiedono lumi alla Criminalpol riguardo a determinate probabilità statistiche. La fabula evolve con l’ingresso del procuratore Santi Lo Moro e si intersecano vari intrecci, per l’indagine su trafficanti di droga, per il fastidio di trasmissioni nazionali e locali. ”Tutto si svolgeva come nei serial televisivi”, ma gli eventi realmente erano in progress e Gaetano raccontò….

Paola La Farnesiana di Sandro Di Giovanni

Chiesa della Farnesiana – foto di Alessandro Di Giovanni

Nella fabula è presente l’antieroe, il procuratore Lo Moro che, infastidito dalle trasmissioni televisive, ripete il suo mantra, ricalcando il Conte zio dei Promessi sposi: “Sopire, troncare, sopire”. Figure retoriche quali l’ampliamento e la ripetizione connotano l’antieroe, il mattatore nelle aule di giustizia con la sua prosopopea.

La strategia intertestuale viene arricchita dai commenti di varie voci che parlano in dialetto e la stessa cittadina di Tirrenella esce protagonista dalle parole di Amalia: …una centrale, un liquore con il retrogusto di anice, uno scheletro di fabbrica, pericoloso da demolire per le sue polveri assassine, uno scalo, negozi anonimi come si trovano a Barcellona. E poi “sti migranti in giro…”, la città gravata da tante servitù.  Infine, nell’esito finale, i versetti del poeta vernacolare Battichiodo.

“Quella storiaccia di Rupesovrana”: fin dal titolo i narratori si pongono come esterni alla vicenda raccontata. Ciò avviene nella fabula, ma negli intrecci essi entrano in modo soggettivo, partecipando con scelte lessicali che lasciano intendere i loro sentimenti.

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La storiaccia assume così altre funzioni, propone la realtà di Tirrenella, introduce valori e disvalori del tempo contemporaneo, in particolare sulla piccola borghesia di provincia, ma anche del popolino, tanto che il dialetto è il registro linguistico adoperato dagli abitanti e dalla voce narrante Battilocchio, il poeta vernacolare. Il romanzo è contestualizzato con quadri di riferimento descrittivo: il commissariato, il party, la chat, i crocieristi di passaggio, le ‘ndrine sparse in località ben precisate. Il contesto di fondo è dato dall’ambiente e dal sociale; certo, la forma del romanzo è il giallo, il genere poliziesco con una narrazione ad enigma ed a suspense: si pone l’enigma, si forniscono le circostanze del delitto e nel finale l’enigma è sciolto dalla protagonista. E proprio nella suspense il lettore partecipa emotivamente alla narrazione guidata dalla commissaria, la curiosità rimane sospesa fino in fondo e per ottenere questo effetto gli autori si servono di una rapidità di azione e di colpi di scena. Ma nella struttura fissa del giallo si inserisce un livello riflessivo, fissando l’attenzione sull’interiorità della protagonista, con le sue sensazioni, i ricordi e gli impulsi che la spingono ad agire come donna commissaria. Amalia ricorda la zuppa di pesce di sua madre, riferisce in dialetto napoletano, collega Tirrenella a Pozzuoli, si nomina, quasi per antonomasia, la rezza. Direi che c’è aria di pesce fresco e di ragazze bone. Pertanto il testo impone di “ricordare” e di collegare ciò che viene comunicato volta per volta, implicando il tempo psicologico del lettore nella strategia comunicativa; come se la fabula fosse un gioco all’incastro, fatto di similitudini, innesti analogici, paragoni, metafore, metonimie, ossia  l’insieme delle figure retoriche del discorso che Bacthin chiama “ la prospettiva dialogica”.

Capita in tal modo di sfogliare le pagine del giallo anche indietro o di richiamare la propria competenza enciclopedica per stare al gioco delle citazioni. In questo caso non è più il decorso della fabula, che è accelerato, ma è la dilazione che apre alla conoscenza del mondo del lettore. In un certo senso si esce fuori dal testo: 

…quello della Giara era stato un attentato dimostrativo. Il ristorante ospitava di tanto in tanto incontri tra i boss… Si soffermò soprattutto sulle ‘ndrine della piana reggina.

E ancora:

“Insisteva a chiedere storia romanzata. Romanzi fantasy. Alla fine si rassegnò a propor(re) Dan Brown. Pazienza, bisogna pur vendere, commentò…Il primo libro…fu La vera storia del pirata Long John Silver… Larsson è un autore prolifico”.

Umberto Eco distingue due tipi di lettore, chi è interessato al “cosa” e chi è interessato al “come”; realisticamente si deve tuttavia tener conto di fenomeni quali il consumo, il successo ed il piacere della lettura. E’ indubitabile che ogni artista aspira ad essere letto, magari da un Lettore Modello che sia in grado di capirlo, apprezzarlo ed amarlo. Nell’estetica tradizionale si parla di piacere per la forma e piacere per il contenuto. Dalla scrittura della storiaccia si desume che gli autori non aspirino ad un lettore che apprezzi solo la storia che essi raccontano, vogliono procurare un piacere per la strategia del racconto. Ora, cosa si propone la” storiaccia” in questione?  Ci sarà un lettore di primo livello, come vittima designata delle strategie comunicative poste dagli autori, ed un lettore di secondo livello, il lettore critico, che godrà del modo in cui è stato condotto ad essere la vittima designata. Il giallo di Rupesovrana mira sia al lettore di primo livello che al lettore di secondo livello, il lettore critico, che cerca una finalità estetica nel prodotto. Il Giallo è un’opera ben scritta e forse debitrice di opere di Camilleri. Si rispettano i canoni del giallo poliziesco, ma con una catena di sequenze descrittive e riflessive che hanno il merito di incastrare il lettore di secondo livello:

“ ‘Sta città non era così nel 1922. [Ora] la città perde l’anima. A noi mortali rimangono traffico e inquinamento… e tanti più o meno importanti illeciti. E’ una città abbandonata all’incuria”.

O il flashback che riporta alle elezioni del sindaco: “..il listone con l’occhio rivolto alle riserve elettorali dei quattro personaggi che contavano in città. Il sondaggio d’opinione, il programma, dove tutti trovarono quanto amavano sentire… Non fame di soldi ma di potere”.

Tirrenella è scoperta riprendendo gli stereotipi delle donne e degli uomini che la abitano, la città è tutta quelle cose, ma altro ancora; al lettore rimane il piacere di proseguire la logica delle interpretazioni, e andare a ricercare, a scoprire nuove piste critiche sul proprio territorio.

Per indurre il proprio lettore ad una cooperazione, il testo mette in opera alcune strategie discorsive e stabilisce pianificate confusioni tra ciò che si dice e come viene detto; il lettore deve rincorrere la gag, la parodia e l’iperbole, e, senza che il gioco del giallo sia rovinato, noi siamo presi dalla comicità.

Il medico legale:” Il professor Maritati di Montboissier iniziò un breve sermone”. ” Ebbene sì, sono un valdadipendente. Ho rinunciato a una cattedra a Baltimora perché negli USA non trovavo le pastiglie Valda!”. E ancora l’amplificazione con la sentenza in latino: ”Incidit in foveam qui primus fecerat illam”.

Il procuratore Lo Moro aveva bisogno di trovare uno dei suoi “magic moments”. ” Mica posso sparare mandati di comparizione a vanvera! “. “Saliva le scale mulinando le braccia tuonando “dopo, dopo” col vocione baritonale”… “pedibus calcantibus “.

Non è consentito di smontare la scrittura del romanzo, ma la storiaccia ha una parte scritta da mani femminili: vi è una similitudine che traduce in parole le immagini di due quadri (“Ekphrasis” si dice in greco): il riferimento al quadro di Hopper viene ripreso dall’espressione “solitudine urbana”.  Si può uscire dal testo ed esplorare che cosa sta ”prima” del testo:

“Amalia si alzò. E la vide. Vide Beatrice e fu colpita dall’evidente disagio della festeggiata… Sembrava uscita da un quadro di Edward Hopper. Una finestra sulla solitudine urbana…nessun sorriso a illuminarne il volto”.

 Intanto la scrittrice che racconta la scena entra in campo con tutta la sua soggettività di donna, autrice, (femminista, come la commissaria Amalia Fuccillo). La donna di Hopper, che è il personaggio di Beatrice, è l’immagine dell’alienazione nella solitudine. Anche in Bea c’è una noia, un’indifferenza. Si applica uno spostamento: Bea è “spostata” nel quadro di Hopper, come è “spostata” rispetto al senso comune del divertimento, della socialità e dell’ipocrisia nel party. La similitudine porta Il Lettore Modello ad un percorso di scoperta personale riguardo alla propria dimensione di solitudine urbana (Che cosa mi rappresenta? Allora sono io!), una specie di terapia femminista di gruppo.

Paola La Farnesiana Vergine di Klimt

La vergine – Gustav Klimt

La figura retorica della ripetizione continua nel secondo quadro: si instaura un’analogia tra Beatrice e la vergine di Klimt (la commissaria incontra Beatrice dopo qualche tempo):

“Correva incontro, sorridendo…sprazzi di sole…fili di luce…capelli ondeggianti…sembrava un’adolescente.. anche gli occhi sorridevano…”. Metafore, sinestesie e climax, per descrivere “come” Beatrice fosse “uscita” dal quadro di Gustav Klimt, una delle vergini del suo dipinto. Di Klimt vien ripreso il floreale, l’estatico, il turbinio di colori per raccontare la metamorfosi di Beatrice, la figlia della vecchia volpe, il sindaco. Ma le citazioni intertestuali, che richiamano la competenza del Lettore Modello, dilatano il piacere della lettura e non bloccano il ritmo della fabula.

Ultime considerazioni:

  1. Il piacere della lettura è legato al consenso ed al successo, quindi: Quella storiaccia di RUPESOVRANA di Simonetta Bisi e Nicola R. Porro, Homeless Book Edizioni, 2020.
  2. Il piacere di scrivere è una lotta contro la banalità del linguaggio, sono le metafore, le sinestesie che lo muovono; si deve avvertire- come si mostra nel romanzo- “la facoltà mimetica” di Benjamin di fronte a cui il lettore deve a sua volta dinamizzarsi ed acquisire agilità mentale.
  3. “Il delitto perfetto non esiste”: sarà lasciata al lettore la motivazione del delittuoso gesto.
  4. Pier Paolo Pasolini, frequentatore delle acque termali della nostra piccola città, confidava che egli iniziava a leggere un romanzo dall’ultima pagina; proprio nell’ultima pagina trovo una perla che è la somma di tutte le congetture e i moventi nell’indagine: ha un’assonanza con l’espressione “la perdita dell’aura”: noi esseri umani irriproducibili nella nostra singolarità: non perdiamo la nostra aura.

PAOLA ANGELONI

* Immagine di copertina: Falesia di Ripa Maiala – fonte Falesia.it