I numeri della pandemia a Civitavecchia
di CORRADO BONIFAZI ♦
I numeri dell’epidemia di Covid-19 nella nostra città si fanno sempre più preoccupanti. Il bollettino del 4 aprile segnala undici nuovi casi che portano il totale dei contagiati a 171, con 17 decessi. Il 3 aprile sono risultati positivi 4 neonati, immediatamente ricoverati al Bambin Gesù, dove fortunatamente appaiono in buone condizioni. Intanto un messaggio anonimo su WhatsApp si sparge in maniera virale per la città, denunciando un presunto tracollo dell’ospedale locale e spingendo la direzione dell’ASL Roma 4 a precisare che al San Paolo «sin dall’inizio dell’epidemia, poi divenuta pandemia, si sono applicati tutti i protocolli e le direttive nazionali e regionali di volta in volta adottate»[1] e a preannunciare una denuncia.
[1] http://www.civonline.it/articolo/coronavirus-caos-laudio-virale-sul-san-paolo
Al di là del rispetto dei protocolli, che francamente appare un atto dovuto, quello che interessa ai cittadini, e soprattutto dovrebbe interessare chi si trova a governare la sanità locale e la città in questa crisi epocale, è la situazione complessiva dell’epidemia, l’andamento dei contagi e l’efficacia delle strategie di contenimento. Per farlo, anche in forma molto approssimativa come viene fatto in questa sede, è necessario andare almeno un po’ al di là della semplice contabilità dei casi e soprattutto cercare di confrontare quanto avviene nella nostra città con altre realtà, per avere dei termini di paragone il più possibile obiettivi. Uno strumento in questa direzione, largamente utilizzato negli studi epidemiologici, è il tasso di incidenza che rapporta i casi di una malattia al complesso della popolazione a rischio.
Nel nostro caso si sono calcolati e confrontati i tassi di incidenza del Covid-19 a Civitavecchia dal 20 marzo al 4 aprile, con i valori per lo stesso periodo registrati nel Lazio e nella Lombardia[2] (Fig. 1). I motivi sono evidenti: il Lazio è la nostra regione e la sanità è, tra l’altro, materia di competenza regionale, mentre la Lombardia è l’area dove il contagio è più elevato e quindi rappresenta di fatto l’estremo negativo della distribuzione. La situazione di Civitavecchia con questi dati appare decisamente preoccupante. Il 20 marzo l’incidenza del Covid-19 era già pari al 79,7 per 100.000 abitanti, un valore che nel Lazio ancora non è stato raggiunto, visto che il 4 aprile si è arrivati a 63,9. La forma della curva, inoltre, ricorda più quella della Lombardia che non quella del Lazio, dove evidentemente le forme di distanziamento sociale sono riuscite a contenere la velocità di diffusione dell’epidemia e le sue dimensioni. Lo stesso non può purtroppo dirsi della nostra città che sconta un avvio del contagio anticipato rispetto al resto della regione, con valori che il 4 aprile sono arrivati al 324,4 per 100.000, praticamente lo stesso tasso della Lombardia il 25 marzo. Appena dieci giorni fa.
[2] I dati relativi a Civitavecchia sono ripresi da Civonline e dovrebbero riportare quanto pubblicato nei comunicati ufficiali della ASL RM4; quelli di Lazio e Lombardia sono invece del Ministero della Salute e sono pubblicati sul sito della Protezione Civile. I dati di Civitavecchia per il 21, 23 e 26 marzo sono frutto di una interpolazione lineare.
Fig. 1: Tassi di incidenza da Covid-19 a Civitavecchia, Lazio e Lombardia (valori per 100.000 ab.)
Fonte: vedi nota 2.
È evidente che questi valori sono sicuramente influenzati dal numero dei tamponi effettuati, un aspetto che l’ASL farebbe bene ad approfondire con analisi puntuali e dati più dettagliati di quelli utilizzati in questa nota, ma difficilmente può da solo spiegare un andamento di questo tipo. In effetti il 20 marzo il tasso di incidenza a Civitavecchia risultava già 4,6 volte superiore a quello regionale, un rapporto che è cresciuto nei giorni successivi sino ad arrivare a 6,8 il 22 marzo per poi scendere e stabilizzarsi attorno a 5 volte. Un livello iniziale così elevato non può che essere il risultato del focolaio sviluppatosi all’interno della RSA Madonna del Rosario, di cui sarà bene chiarire modalità, sviluppi e conseguenze.
Che l’epidemia sia partita in anticipo rispetto ad altre realtà laziali è confermato anche dai dati sulla mortalità complessiva resi disponibili dall’Istat (Fig. 2). Confrontando infatti i decessi medi del quinquennio 2015-2019 con quelli del 2020 appare evidente che se i primi due mesi hanno visto una diminuzione della mortalità, nello spezzone di marzo considerato si è registrata una impennata nel numero dei morti: 46 contro 33[3]. Un dato che il comune potrebbe (e dovrebbe) aggiornare con continuità attraverso i dati anagrafici, e che permetterebbe anche di tener conto della eventuale mortalità per Covid-19 non accertata e del possibile aumento dei decessi per altre cause, dovuto alle difficoltà del sistema sanitario impegnato ad affrontare gli effetti della pandemia.
[3] La differenza resta anche considerando la deviazione standard pari a 5,9.
Fig. 2: Decessi a Civitavecchia da gennaio al 21 marzo, valori assoluti
Fonte: elaborazioni su dati Istat.
In definitiva, per Civitavecchia suona decisamente stonata la considerazione dell’Assessore regionale alla sanità D’Amato di qualche giorno fa, secondo cui «il caso dei due cinesi a Roma a fine gennaio, i primi due malati di Covid-19 in Italia, ci ha dato un vantaggio di 40 giorni sulle altre regioni. Ci ha allertato e ci ha permesso di organizzarci e di non farci cogliere di sorpresa»[4]. Questo vantaggio sicuramente a Civitavecchia non si è visto, anzi è accaduto esattamente il contrario. Eppure non era certo difficile immaginare che il più grosso porto croceristico del Mediterraneo e uno dei principali porti passeggeri del paese fosse uno dei punti critici principali della regione. Anzi, viste queste caratteristiche la sanità locale sarebbe dovuta essere una delle più preparate ad affrontare una emergenza di tipo epidemico che ha, inevitabilmente, negli snodi principali del sistema dei trasporti i punti più a rischio. Così, in tutta evidenza, non è stato. Dalla situazione attuale, purtroppo, non si esce con i messaggi anonimi e con le denunce e con i processi sommari via social. Sono, invece, necessari, competenze mediche e scientifiche, chiarezza nella comunicazione, un clima di fiducia tra popolazione e decisori che devono confividere obiettivi e scelte per supportare al meglio un personale sanitario che sta sostenendo uno sforzo immane. E, probabilmente, non guasterebbe anche un ruolo più attivo da parte della regione. In caso contrario, rischiamo che la curva dei contagi continui a crescere e ad allontanarci dal resto della regione, rendendo ancora più pesante le conseguenze di una pandemia che già ora si sta configurando come la peggiore tragedia che abbia colpito la nostra comunità dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ad oggi.
[4] https://roma.corriere.it/roma/ intervista del primo aprile.
CORRADO BONIFAZI
Mi sembra una relazione chiara perfetta e che finalmente da indicazioni e numeri precisi.almeno si toglie spazio a polemiche fuorvianti .
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Mi sembra una relazione chiara perfetta e che finalmente da indicazioni e numeri precisi.almeno si toglie spazio a polemiche fuorvianti .
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Contributo di grande qualità scientifica e purtroppo di stringente attualità. Rappresenta un prezioso punto di partenza per analisi mirate, necessarie a predisporre difese idonee. Dovremmo riuscire a comprendere, ad esempio, se il contagio si è localizzato in contesti più o meno ristretti (le RSA), in ambienti ad altissimo rischio e a elevato potenziale di diffusione (reparti ospedalieri), per effetto di “Covid-migrazioni” a raggio territoriale (p. es. pazienti provenienti da RSA del comprensorio o bisognosi di trattamenti specifici nell’ospedale di zona).
Nicola
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Ho letto con attenzione l’articolo e pur trovandomi
d’accordo su tutto volevo evidenziare 2 aspetti.
Credo che il grosso dei nostri contagi (e quindi la
Impennata delle percentuali) derivi dai 2 focolai che
si sono creati in città: a)alla Madonna del Rosario, su
cui è sceso il silenzio totale (spero perché il contagio
sia stato bloccato); b) all’ospedale da cui prende spunto
questo articolo (vorrei far notare come nella giornata
in oggetto si siano verificati ben 8 contagi ospedalieri
su 11 e che il giorno dopo Allumiere ha registrato ben 5
nuovi casi che nessuno ha pensato di ricollegate ai
parenti stretti di uno dei neonati in questione). Insomma
Civitavecchia, avrebbe potuto essere perfettamente in media
Con il resto della regione, se qualcosa di particolare non
fosse accaduto. Ora credo occorra accertare cosa sia accaduto
sia per non ricaderci ancora, sia per uscire prima possibile
da questa situazione. Proprio la presenza di milioni di
croceristi ci mette a rischio di qualsiasi tipo di patologie da
dover essere sempre pronti ad affrontare in emergenza ed invece,
nonostante i “40gg di preavviso” la struttura si è fatta trovare
impreparata. Nessun processo quindi ma chiarezza negli interventi
del personale dirigente ASL (credo che un semplice comunicato di
smentite e una minaccia di denuncia sia un po’ pochino per
tranquillizzare una comunità). Stamattina bonifica dei reparti, pare già
prevista, ma allargata ad altri padiglioni (una mezza affermazione che
qualcosa non va). Certamente alla fine di tutto non si potrà evitare di
tirare le somme. Nel frattempo noi possiamo solo collaborare stando a casa.
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Grazie, Corrado, hai dato una chiarificazione alle domande che tutti ci poniamo: i numeri dell’epidemia a Civitavecchia si fanno sempre più preoccupanti. La sanità locale e quella regionale sono state assolutamente impreparate ad affrontare la preannunciata emergenza sanitaria. Ciò che dispiace è che nelle paure popolari i nostri medici ed i nostri infermieri da eroi siano passati ad essere i presunti untori, quando, in realtà, sono stati le prime vittime di una malasanità. Tienici aggiornati, grazie.
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Credo che nessuno in città abbia accusato i nostri medici
e infermieri di essere dei presunti untori. Questi professionali
sono stati in prima linea sempre e comunque, anche quando
non avevano disposizioni precise. Non dimentichiamo che il
paziente 1 italiano è stato individuato grazie ad una dottoressa
che si è assunta la responsabilità di fare un tampone che la
prassi burocratica della nostra sanità impediva e lo ha fatto a
costo di pagare di propria tasca il dovuto se non si fosse rivelato
essenziale. Ecco credo che occorra partire da questo episodio per
capire come siamo finiti in questo incubo.
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Appunto, Piero, tu confermi ciò che io ho tentato di dire.
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Purtroppo il ministero della salute la pensa in maniera diversa, civitavecchia è una delle città prese ad esempio: http://www.deplazio.net/images/stories/SISMG/SISMG_COVID19.pdf.
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Corrado, non ho ben capito se tu abbia risposto al mio commento, colgo l’occasione per evidenziare che Civitavecchia è considerata nel documento citato, non perchè sia una cittadina “particolarmente colpita”, ma perchè è particolarmente attenzionata dal DEP (Dipartimento Epidemiologico Lazio) per le motivazioni ambientali a tutti note e perchè il documento è, con tutta probabilità, redatto proprio dal DEP Lazio essendo l’ente che detiene tali informazioni statistiche. Del resto ci sono molte cittadine nel nord ma anche centro sud, più duramente colpite che non sono considerate nell’elenco.
Il documento conforta quanto da me detto relativamente al valore statistico dei dati cittadini, cito il documento:
“Tra le città del centro-sud non si osservano incrementi significativi della mortalità ad eccezione di Civitavecchia (+58%), anche se il dato si basa su piccoli numeri”.
Faccio infine notare che per due giorni consecutivi c’è in città 1 solo nuovo caso positivo, a significare come la ristrettezza dei numeri impedisca ad oggi di fare un qualche rapporto con città che hanno numeri più “corposi”, è evidente che minori sono i numeri maggiore è l’influenza delle molte variabili presenti.
Luciano Damiani
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Statisticamente parlando credo che considerare una qualche curva e paragonarla ad altre, con i numeri di Civitavecchia così bassi: 179 contagiati su una popolazione di 50.000 abitanti più qualche migliaio di residenti non sia corretto. Sono numeri che mi sembrano davvero troppo bassi e troppo condizionati da quelle variabili che rendono poco confrontabili i dati.
Riguardo i decessi in città credo ci sia una media di 2-3 decessi al giorno (2017) per cui i 17 in questi primi mesi dell’anno, attribuiti al virus non mi sembrano, anche in questo caso, un numero significativo statisticamete parlando. Insomma qui da noi di drammatico c’è la incapacità del sistema sanitario di proteggere i propri dipendenti, non l’epidemia, che è drammatica altrove.
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Bisognerebbe ascoltare , ora, su Rai3 Report, il dottor Crisanti e l’Ospedale di Padova riguardo ai sistemi di protezione per il personale dell’Ospedale.
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Sì Luciano, volevo rispondere a te ma la risposta è finita da un’altra parte e temo che lo stesso succeda a questa. Il numero dei decessi è un dato oggettivo, la significatività c’entra poco non stiamo parlando di statistica campionaria. Poi è chiaro che l’incremento del 50% registrato nei primi 20 giorni di marzo rispetto alla media dei cinque anni precedenti potrebbe essere dovuto a vari fattori. Anche se nel caso specifico mi pare difficile attribuirlo ad altre cause. Tutti poi ci auguriamo che in queste e nelle prossime settimane la situazione migliori e i dati degli ultimi giorni fanno ben sperare. I tassi sono utilizzati in statistica e demografia proprio per poter confrontare l’incidenza dei fenomeni in aggregati demograficamente diversi e, anche in questo caso, non si pongono problemi di significatività.
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