Ma ‘ndo vai se il balcone non ce l’hai
di ROSAMARIA SORGE ♦
Diciamo la verità, a noi architetti il balcone non è mai piaciuto tanto, lo abbiamo sempre visto come un elemento che deturpa l’armonia della facciata, come qualcosa di appiccicato e di cui non sentivamo la necessità; magari se lo realizzavi all’interno dei prospetti e da questo poi aggettante con una minima sporgenza, potevamo tollerarlo, spesso aggiungevamo inutili fioriere che nella stragrande maggioranza dei casi sarebbero finite con piante rinsecchite ben lontane dall’orto verticale di Boeri, per non parlare di chi le piante le avrebbe messe finte e riconoscibili anche ad un chilometro di distanza.
No decisamente il balcone era tollerabile nelle chiostrine, o pozzi di luce, nei prospetti posteriori di minore importanza dove diventavano spesso verande chiuse, sgabuzzini colmi di tutto, come gli stanzini delle scope.
Anticamente i balconi non si facevano, tutta l’architettura classica ne sconosce l’uso, ed è solo nel Rinascimento che comincia a essere concepito come spazio esterno attrezzato in cui vivere parte dell’anno, più terrazza che balcone come la “Casa sulla cascata di Wright“ ma anche questi spazi aperti nell’architettura moderna sono concepiti come alternanza di vuoti o pieni nella logica di volumi complessi.
A conti fatti se proprio dobbiamo fare una scelta preferiamo i Corsi con palazzi umbertini che nella reminiscenza di un barocco, dimenticano il balcone ma aprono la strada al liberty dove invece il balcone diventa elemento importante della facciata, in cemento o in ferro battuto , ancorandosi e sovrapponendosi alla parete da protagonista; ma il balcone rimane un elemento delle architetture meridionali, nei grandi boulevard parigini gli edifici non hanno balconi, e così in tutte le costruzioni del nord Europa , diventano bow Window in alcuni casi particolari, come nelle soluzioni d’angolo, integrati progettualmente e non improvvisati con orrende chiusure in alluminio come spesso si vede dalle nostre parti, le famose verande sicuramente utili ma tanto brutte. Poi se ci fai caso e io ce l’ho fatta, sui balconi non c’è mai nessuno, spesso nemmeno in estate e allora a che servono, meglio una bella facciata vetrata come nei grattacieli di tutte le metropoli del mondo.
E invece poi succede qualcosa che ne rivaluta l’importanza; in tempi come quelli che stiamo vivendo, costretti a stare in casa in solitudine il balcone diventa un luogo frequentatissimo, il luogo sociale per eccellenza: per illuderci di non essere completamente isolati dal resto del mondo, il balcone assume il ruolo di protagonista delle nostre relazioni con il mondo esterno,dove prendiamo il caffè chiacchierando a debita distanza con i vicini, dove facciamo giardinaggio riscoprendo un’arte per troppo tempo poco praticata, dove ci esibiamo con flessioni e piegamenti e andando avanti e indietro ci muoviamo un poco; ma l’aspetto più interessante sono i continui appuntamenti che, rimbalzando sui social o su Whatsapp, organizzano flash mob sui balconi a rappresentare un simbolico abbraccio con il mondo, quell’abbraccio che ci è vietato fare. Esiste un calendario preciso su Internet degli orari e delle canzoni o di altre manifestazioni come accendere le luci del cellulare o ballare. Qualche volta qualche vicino meno socievole si risente, ma fondamentalmente sono diventati appuntamenti graditi alla maggior parte delle persone che in questi appuntamenti quotidiani ritrovano una unità e la forza per resistere.
Conviene abituarsi ad amare e gestire al meglio questo spazio esterno, ultima speranza per una fratellanza e socialità che non sarà mai più probabilmente come la conosciamo, magari evitando di cantare a squarciagola ”uno su mille ce la fa” che in questo momento non pare tanto appropriato, conservando il sogno di immaginare un mondo diverso per non mandare sprecata una esperienza come questa.
ROSAMARIA SORGE
Contingenza a parte, mi sono sempre chiesto perchè mai in alcuni luoghi del paese a differenza di altri, i balconi sono popolati da piante e fiori ed altrove sono squallidi vuoti con l’armadietto per le scope. Anche nel complesso nel quale vivo, tornando a casa, a volte alzo lo sguardo e vedo tanti balconi “tristi”, credo che il mio sia il più “verde” di tutti o forse il secondo di tanti. Ho l’impressione che più si va al nord più i balconi si colorano di fiori restituendo piacevoli sensazioni. Spesso mi chiedo se questa cosa sia legata al clima o anche a qualcosa d’altro.
L’uso pseudosociale, di questi tempi, non mi entusiasma gran che, certo che, la normalità tornerà con buona pace di chi pensa che “tutto sarà diverso”, compresi i balconi.
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Anonimo sono io Luciano Damiani
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Hai ragione perfettamente e la storia dei balconi è un po’ come quella dei pannelli solari, li trovi più al nord dove hanno meno sole che al sud
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Noi studenti di architettura negli anni 60 (a dire la verità anche fine dei 50) i balconi li odiavamo perché figli di genitori e allievi di maestri (non tutti) che da un balcone (per giunta rinascimentale) erano stati fregati. D’altra parte abbiamo visto anche di recente il fascino che per qualcuno ha il balcone – e non era quello di casa Capuleti – ma lasciamo perdere. Indubbiamente i balconi del Trentino o del Tirolo o di tante altre zone in cui c’è clima adatto e amore per i fiori il balcone è prezioso ornamento dei borghi europei. Ripensando agli strategici balconi d’angolo del palazzo dei Diamanti e di tutta la Ferrara erculea, ma anche di Lecce, credo che dal punto di vista architettonico tutto dipende da chi li fa. Poi da chi ci si affaccia. Dipende anche dalla larghezza dei vicoli, calli o carruggi. I tristissimi balconcini striminziti dove si cercava sollievo alla calura notturna dei palazzoni senza poterci mettere nemmeno una sdraio, mi ricordano la povertà dei quartieri romani. Con quel ricordo, negli esami di composizione architettonica (Marino, Quaroni), i nostri progetti d’esame e poi quelli per le Case Popolari hanno cominciato ad avere logge di grandezza e forma decenti. L’uso di questi giorni, compresa l’esposizione della bandiera o di drappi bianchi devozionali, lo trovo una espressione personale su cui non mi sento di dire altro che la tradizione delle conversazioni tra balconi ha nobili e antichi precedenti e che potrebbe essere proprio una buona occasione per trasformarli – se non lo sono già- in meravigliosi giardini o addirittura, come avveniva nel nostro Sud nei secoli scorsi, in minuscole ma ricche coltivazioni di uva da tavola su pergolati.
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