Di questi tempi. Una riflessione personale.

di SILVIO SERANGELI

I tricolori ai balconi sembrano stracci, sgualciti dal sole e dall’umidità della notte. I canti, e annessi tentativi decisamente stonati, il fragore dei coperchi delle pentole festosamente mostrati ai dirimpettai, sono momenti da ricordare, storie di ieri e dell’altro ieri, che qualcuno ha catturato coll’immancabile cellulare.

Qui, almeno qui, Roma Portuense-Santa Silvia, non applaude più nessuno. Ci si affaccia alla finestra, al balcone per ammazzare il tempo, nella ricerca di qualche rara automobile che scorre velocemente, dei bus per indovinare se sono ancora vuoti o c’è qualche coraggioso passeggero. Qualcuno fuma, si stendono i panni, in silenzio, lo sguardo rivolto alla desolazione che ormai si è impadronita di un paesaggio smorto. Si campicchia, come diceva Totò.

Il parco sotto casa, in tempi normali gremito di  carrozzine e bambini a caccia di scivoli e di altalene, è deserto: la fontanella, il “nasone”, continua a fare il suo mestiere, ma nessuno si abbassa per bere. Ogni tanto un cane traina una ragazza con mascherina. E gli altri? Le persone del quartiere? I pochi che scorgo si muovono per una spesa veloce in quella che era panetteria, tavola calda, bar. Le sedie a gambe all’aria sui tavoli, spariti cornetti e cappuccini, vuoti i contenitori con gli invitanti piatti pronti. Fila rapida con mascherina per pane latte e poco altro. Si fanno le scorte al supermercato, si congela anche il pane. Al fruttivendolo egiziano, di solito indaffarato a servire decine di clienti vocianti, si avvicina ogni tanto qualche anziana signora con carrello e immancabile mascherina. L’emporio cinese è chiuso da tempo.

Teste basse e passo veloce, alcuni con le mascherine bene prezioso e introvabile, magari ordinate via internet, e che non arriveranno mai, altri con la sciarpa tipo passamontagna. Ieri, tre persone in fila a debita distanza fuori dalla banca, oggi non scorgo nessuno. Non si vedono nemmeno i ciclisti e i corridori. Da noi il portiere si è messo in quarantena. Come dire che, in pochi giorni, è finita la spinta adrenalinica del celafaremo, riconquistiamo il gusto della lettura, rivediamoci qualche vecchio film in televisione, ritroviamoci in famiglia, come invitano i volti noti e rassicuranti dei beniamini cine-tv-sport. 

Più che pessimismo, mi sembra sincero realismo, perché, almeno a me, in questo, come anche per altri casi, quello che dà fastidio è l’ondata di ipocrisia che ci sommerge, il buonismo da quattro soldi urlato e messo in rete, questi  messaggi col il sorriso rassicurante dei Vip. E mi domando: per me e per mia moglie la lettura è un’abitudine giornaliera, qualcuno dice un vizio, delle repliche consigliate dei film in tv non ne posso più: Franco e Ciccio, i film polizzioteschi, Angelica alla corte del Re Sole, me li sono visti al cinema Isonzo  e, dopo qualche inquadratura,  provo un po’ di tristezza. Altri tempi con i cartocci di semi e le risate degli amici.

Posso dire che della mia vita di qualche settimana fa non mi manca molto: non ho mai corso, andavo in bicicletta diversi anni, lungo gli argini del Po. Dopo la poco lusinghiera stagione della Roma, il calcio mi interessa poco e niente. E allora? Allora è cambiato il contesto, intorno a me sento l’odore aspro della terra bruciata. Perché qui non si sa quando finirà. E, intanto, giorno dopo giorno, vedo come si stia esaurendo il nazionalismo urlato: un po’ come i tricolori sgualciti, stesi ai balconi. Sono tornati i lumbard con il loro complesso di superiorità,  che strapazzano il governo centrale e chiamano vecchi attrezzi della mitica era del cavaliere per il faso tuto mì. E lo stesso cavaliere,  nell’esilio dorato con badante per l’ennesimo patetico bunga bunga,  torna a dividere, dona qualche suo spicciolo per l’ennesima campagna elettorale.

Ma quale tricolore, ma quale celafaremo scritto sul pannolino dell’ignaro neonato? Qui, cari amici vicini e lontani, non è cambiato nulla, a parte la gente che si angustia perché ha dovuto abbassare le serrande e non ha più il lavoro e quando non è stata costretta dalle ordinanze si fuma pacchetti di sigarette in attesa di qualche improbabile cliente.

Questo pesa, e mi pesa tanto. Ce la faremo. Quando e come? Ma, intanto, provo un grande fastidio a vedere la rigogliosa primavera mediatica che viene propinata giorno e notte con gli opinionisti di tutte le razze a blaterare e parlarsi addosso. Prima in studio, ora da casa, sempre con il taglio giusto dei capelli, il trucco vistoso, la bella cravattina. Questo mio dover riempire in qualche modo la giornata,  mi porta a vedere anche i canali tv che in tempi normali non vedo mai. Così scopro, per fare un esempio, che la Sette, dalle sette del mattino fino a notte propone lo stesso balletto: cambia il conduttore, ma gli ospiti opportunamente riciclati e sistemati in varie fasce orarie, sono sempre gli stessi: un po’ come nei vecchi circhi dove scoprivi che il domatore era anche l’uomo che passava poi con i lecca lecca e le noccioline, e ti sorprendevi di vedere la bella trapezista a fare poi le acrobazie in piedi sul dorso dei cavalli bianchi, e il clown che strappava anche i biglietti e dava da mangiare agli animali nelle gabbie. In tv è la stessa cosa, ma con una differenza sostanziale: in quei circhi faticavano, lavoravano, qui propinano ovvietà, fingono scontri e si insultano a comando e, soprattutto, molti sono proprio senza alcun ritegno: cambiano opinione come banderuole che si muovono vorticosamente al vento.

Ovviamente parlo della  Sette, perché la attraverso con il telecomando, ma non è l’unica: l’esercito dei sapientoni a paghetta si schiera su tutti canali. Per dire: ma la Parietti, ma cosa ha mai fatto tranne l’innominabile film “Il macellaio”?; indorata e gambe stagionate in bella vista, per sparlare di sport, di euro, di migranti e, ora, del virus. Qui finisce la nazione, il tricolore, il celafaremo; perfino il papa viene sbeffeggiato per la sua passeggiata,  per aver citato Fazio, per aver puntato l’indice contro chi non paga le tasse e toglie risorse alla sanità.

Per questo circo fasullo, questa acqua alta della comunicazione non c’è remora, ogni buon proposito viene cancellato. Gli ascolti si fanno con queste caciare, anche di questi tempi. Provo sincero disgusto quando gli stessi opinionisti che attaccavano fino all’altro ieri gli sprechi della sanità e perseguitavano dei medici per qualche errore veniale, ora definisco i camici bianchi eroi. E gli attacchi alla casta? E le campagne a testa bassa a spalleggiare  e rendere protagonisti incontrastati i  No Vax e con loro i No Tav, i No qui i No là. E prima dicevano tutto aperto, ora dicono tutto chiuso con il conduttore, più spesso la conduttrice, che sembrano tanti maestri/maestrine.

La situazione è molto più seria di quanto pensavamo solo qualche giorno fa e si parla di nuove, necessarie restrizioni. Stiamo in casa. Va bene. Così siamo convinti che ce la faremo. Noi. Ma a questi signori con il sederino sempre sulla sedia girevole e il telefonino a portata di mano, unghie smaltate e completini d’autore, chi metterà la sordina? Chi li manderà finalmente a casa? In tempi come questi, con le immagini del corteo dei camion militari con le bare dei morti, tutti si devono dare una regolata: non più corse sui prati, va bene, ma neppure gilettate sconsiderate, per non parlare delle Iene del Grande Fratello mediaset che, vedo su Blog, sono più che mai eccitate e stanno dando il meglio del cinismo di parte. Altra è la libertà di stampa, altra la giostra mediatica che questi tempi bui dovrebbero almeno rallentare.

SILVIO SERANGELI