SULLE ORME DI SAM PECK – SCISCIAÙ (STORIE DEL RIO JAUAPERI) – BRASILE, AMAZZONIA (III)

di GIANCARLO LUPO ♦

Testi di Giancarlo Lupo e Alfonso Prota

demarca paragrafo

 Ronson sta preparando il fuoco. Ronson è un ragazzo ben piazzato di diciannove anni. Dietro la schiena muscolosa ha scritto Jesus Christo. Ha i capelli crespi, gli occhi sono fessure, all’orientale. È nato in una favela di Manaus. A dieci anni maneggiava armi. I genitori l’hanno salvato mandandolo qui, nello Xixuau. Parla (poco) del suo passato, nella favela di Gloria. Circolava tanta droga, pericolosa, pesante. «Per i gringo non c’è pericolo,» dice, «se vieni da cliente. Se vieni da commerciante ti ammazzano.» Oggi è il nostro cuoco. Ci ha preceduto con una barca e con una scatola piena di viveri.

Ronson dispone quattro rametti a forcella. Ne poggia uno su un lato, uno su un altro lato, e ancora, perpendicolari. Crea una specie di reticolo, una griglia. Quando cucina sta accovacciato e rimesta la padella con forchetta e cucchiaio. Soffrigge olio di soia e riso in una marmitta, aggiunge acqua di fiume, salsicciotti e verdure varie. Allarga la base della brace e mette una padella con olio di soia. Ci butta qualche piranha.

Il Giaguaro è un’apparizione improvvisa. Immobile, col corpo teso in ogni muscolo e pronto a spiccare il balzo sulla preda. Per qualche interminabile istante rimane fermo senza staccarmi gli occhi da dosso, flagellandosi i fianchi nervosamente con la coda. Poi sente un lieve brontolio e il giaguaro fugge, nel fitto della foresta.

È solo un sogno. Mi sveglio nella mia prigione di stoffa. Non è facile vedere animali qui.

Sento battere l’acqua sulle foglie. Ma l’acqua non arriva, le fronde sono così fitte che riesco a ripararmi. La pioggia è più robusta. Le nuvole scaricano tronchi d’acqua. Le foglie attenuano la violenza. La pioggia scivola tra il fogliame, scorre lungo i rami, si insinua tra i detriti. Il suolo ristagna di paludi.

La Luna è addormentata, si vede a tratti, si riflette. Quando le nuvole la oscurano, scompare. Tutto è indistinto, i grovigli si trasformano in liane, scendono in acqua, i rami si spezzano nei riflessi di toni di verde primario. Quando il cielo è sgombro, la luna è un machete poggiato a terra. La luna nostra invece è una falce, dritta, in piedi.

Gli uomini di qui si innamorano. Se la famiglia di lei non approva, l’uomo si apposta fuori casa, aspetta l’innamorata per “rapirla”. Si allontanano in canoa, anche duecento chilometri. Indietro non si torna. Soprattutto quando ci sono figli di mezzo.

5.20. Alba. Ghedi dorme sulla panca all’angolo del portico.

La raccolta delle noci è dura. Anche per chi riesce a remare a quel modo per un giorno intero. Si fa da dicembre a marzo, dentro i mesi delle piogge. Levata alle 6:00, calata alle 18:00. E al rientro, ottanta chili di noci a sacchi si sommano ai corpi, affondano i piedi dentro la Foresta sferzata dalla pioggia battente.

La Francese e il suo cane sono andati via sabato scorso. Alisei, ventiquattro anni, è stata a Moura cinque giorni. Ha affittato una barca e con il cane si è avventurata nel fiume per raggiungere la comunità Xixuau. Ha portato con sé riso e una canna da pesca. Ma non basta avere voglia di pescare. Dopo due giorni di fame è arrivata a Itaquera, a quaranta chilometri da qui. L’hanno portata nella comunità, affamata. Chiedeva continuamente informazioni sul villaggio indio dall’altro lato del fiume. I waimiri atroari sono indigeni bellicosi, hanno un buon rapporto con lo Xixuau, condividono battaglie. Ma decidono loro quando e come entrare in contatto. Il Governo ha ingaggiato battaglia con i waimiri atroari. Ora sono più di mille, ma in alcuni periodi sono stati decimati. Alisei non ha demorso, ha riprovato a entrare in contatto coi waimiri atroari, ma l’hanno bloccata all’ingresso del villaggio.

Gli occhi iniettati di fuoco del caimano strisciano lentamente, mentre io imputridisco nel pantano di foglie marcite.

Non è facile vedere animali qui.

«Tutto è fatalità.» Emanuela ci racconta di Nadia, la moglie di Alessandro. Era incinta. Una bambina, lei e la figlia che aveva in grembo. Dal battello, un’altra figlia di un anno, cadde in acqua mentre giocava con un fratellino. Nadia non poté far altro che buttarsi. Ma la pancia non le permise di andare a fondo. Francilane ha ritrovato il suo corpo. Morto.

Xixuau è una comunità senza fondatori. Ci sono i vecchi come Joao, che si è ritirato nella Foresta, perché non sopporta le folle – il villaggio è abitato da circa settanta persone. Era pescatore.

Torniamo a Manaus, un mercato all’aperto. Tende, baracchini, negozi, chioschi. Amache, artigianato fasullo, cibo, coltelli. In mezzo allo squallore di pietra e vetro annerito si vedono palazzi coloniali non del tutto saccheggiati. Lungo le strade scorrono fogne a cielo aperto. La piazza è illuminata da luci giallognole e circondata di alberi maestosi, un verde paradiso. Sulle panchine le coppiette amoreggiano.

I due Fiumi non si uniranno mai, fuori e dentro il Teatro Amazonas. Il teatro è stato costruito in diciassette anni, e di questi, otto di immobilità. A lavori fermi è stato usato anche come campo da gioco per i ragazzi. La prima teatrale è avvenuta nel 1896. Dirimpetto al palco, al primo piano, c’è la lussuosa loggia del governatore, ai lati quelle dei ricchi padroni del caucciù. Il nume tutelare del teatro è Carlos Gomez, il grande compositore, vanto dei brasiliani. Al primo piano ci sono gli affreschi. In uno di questiè raffigurata una scena di Guaranì, la prima opera, un Romeo e Giulietta delle amazzoni, un indio innamorato di una ricca figlia di un possidente portoghese.

Usciamo fuori.

Il pavimento della piazza è a ciottoli bianchi e neri, fatto di onde di pietra che ricordano i flutti del Rio Negro, caldo e scuro, e del freddo e cremoso Rio Solimões.

I due fiumi non si uniranno mai.

Sono come gli spettatori e gli attori sul palco, come i viaggiatori e il paesaggio che li circonda. Solo a tratti, visti dall’alto, sembrano procedere e viaggiare assieme.

Poi vediamo una mendicante, seduta sul ciglio della strada, raccoglie acqua di fogna con straccio e catino, si insapona e si sciacqua con quella. Forse la beve. L’acqua cade lurida, nera, cade sui capelli bianchi e stopposi della mendicante.

GIANCARLO LUPO