Roma immobile non è un destino
di GIULIO BIZZAGLIA ♦
1. Il referendum consultivo sulla gestione di Atac, rinviato al prossimo autunno, ci offre l’occasione per una riflessione collettiva intorno al tema della mobilità nella nostra città, nella prospettiva di disegnare un avvenire diverso da quello, assai preoccupante, al quale stiamo andando incontro. Compito difficile, materia delicata, scottante, perché tocca nervi scoperti, evoca mancanze politiche, errori gestionali, assenza di visione: tutto con una grande sofferenza da parte della cittadinanza. Roma e mobilità, insomma, stanno insieme a fatica, e non da oggi (Cederna, Benevolo, Fioravanti, Erbani).
Intanto iniziamo con lo specificare meglio i termini: la questione Atac è una questione di trasporto pubblico, riguarda l’organizzazione e il funzionamento del servizio nelle sue diverse diramazioni. I sistemi dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni configurano i servizi primari, infrastrutturali dei quali una città si dota perché i cittadini possano accedervi con regolarità e frequenza, con agio; servizi che devono essere a basso costo perché sono i motori della crescita (comunque la si intenda).

(R. Doisneau)
Più ampio è il significato di mobilità, perché ingloba i trasporti, li comprende, ma si estende concettualmente fino a considerare ogni modalità, ogni forma di spostamento delle persone nello spazio cittadino. Ecco allora che parliamo, in questa prospettiva, di ciclabilità (anche qui attenzione: non si tratta soltanto di piste ciclabili) e bike sharing; di pedonalità o, meglio, di camminabilità; di tutte le altre modalità di trasporto motorizzato: car pooling, taxi e ncc, automobili private, scooter e moto, anche nella modalità sharing. Un sistema di infrastrutture ad alta complessità che costituisce, nel suo insieme, il punto cruciale, il cardine della città stessa, la sua struttura portante. Una città-sistema che si pone come una piattaforma abilitante, capace di far colloquiare gli attori della produzione economica e culturale, del commercio, creando lavoro, ricchezza.
Quando ci riesce diviene un polo di attrazione delle risorse e degli investimenti: orizzonte obbligato per Roma, che è il 7° mercato europeo (Sole 24 ore) e aspira a vestire gli abiti della smart city, sapendo bene che le città sono sistemi complessi che agevolano lo sviluppo di attività creative. Senza dimenticare che la pietra angolare della città è la solidarietà, necessaria a contrastare il rischio dello scollamento tra città smart e città periferica, marginale. Il trasporto pubblico e il cammino come modalità di interconnessione possono essere il mezzo, lo strumento, la matrice della solidarietà, nella direzione della città porosa (alle persone), vissuta dai cittadini, da tutti i cittadini. Camminare, muoversi, promuove la socialità, è una misura anti-gentrification. Camminare è però uno strumento, ha bisogno di un ambiente, di un’officina per lavorare: l’officina del cammino è la città camminabile da tutti, senza necessità di una qualsivoglia idoneità. Per questo i cittadini sono i migliori progettisti della camminabilità.

(New York, High Line)
2. Se immaginassimo Roma come un organismo vivente (come è, in effetti, al pari di ogni altra metropoli), non potremmo che riconoscere come il sistema della mobilità costituisca il suo apparato circolatorio: dalla sua funzionalità, dalla sua salute dipende immediatamente la salute, il buon funzionamento dell’intera città. In questi termini, immaginare la città costituisce un esercizio indispensabile prima che utile, se si vuole contenere e battere il rischio di dare ancora spazio ai tanti, troppi non-luoghi che contrassegnano il lascito industrialista novecentesco. Immaginarla è il primo, importante passo, e chi può farlo siamo noi, sono i cittadini stessi (K. Linch, 1960), perché una città è materializzata dal costruito, ma è vivificata da chi la abita. Senza l’intervento delle persone, senza la cura necessaria, la città è negata, ridotta a poca cosa, perché priva di identità. Diventa il luogo ideale per coltivare il disagio, cioè esattamente com’è, oggi, in troppe periferie (e diciamo pure che se lo fosse in una sola sarebbe già troppo). Allora pensare la città in funzione delle persone nel loro stato (dai giovani adulti ai soggetti fragili, ai bambini, agli anziani), deve essere l’inizio di ogni riflessione, di ogni progettualità. Nel caso contrario, perdurando la mancanza di un pensiero sul futuro, potremmo solo registrare il perdurare di una aridità cognitiva, prima che umana, e con essa il fallimento di ogni misura emergenziale-burocratica.
3. La mobilità a Roma è di pessima qualità, l’apparato circolatorio soffre pesantemente, i cittadini-utenti sono costretti ogni giorno a constatarne la insostenibilità. La rappresentazione plastica di questa insostenibilità la si ha ogni mattina, quando oltre ottocentomila (800.000!) pendolari entrano in città superando (si fa per dire) il GRA. Gli stessi pendolari che, a sera, viaggeranno faticosamente sullo stesso percorso ma in senso inverso. Si produrrà inquinamento, si sprecheranno risorse di ogni tipo, le attività conosceranno rinvii, si brucerà tempo. Il tempo, la risorsa più preziosa, quella che può caratterizzare uno stile di vita piacevole, agiato, quando ne disponiamo; lo stesso che, quando manca, ci fa provare disappunto, disagio. Intanto in troppe occasioni, all’interno della città così come nelle mille periferie, il traffico veicolare conoscerà ingorghi, rallentamenti, ritardi. Spesso dei veri e propri blocchi.
Tutto questo perché le strade sono in pessime condizioni; gli autobus sono pochi e malridotti; la metropolitana è ampiamente, storicamente insufficiente; l’anello ferroviario, quello della “cura del ferro” di rutelliana memoria, non è ancora “chiuso”; il servizio taxi è carente nei numeri, caro nel costo, quindi fuori portata per gran parte dei cittadini; l’integrazione tra i sistemi di trasporto è ampiamente migliorabile; il car sharing, il bike sharing, lo scooter sharing, sono sistemi in progressiva diffusione che patiscono non pochi problemi. In breve, la risposta pubblica al bisogno di mobilità espresso dalla cittadinanza arriva a coprire un esiguo 20% della domanda. A carico dei privati cittadini resta, per scelta e/o per forza, un devastante 80%: una percentuale assurda, alla quale corrispondono due milioni di automobili, mezzo milione di scooter e simili: la risposta privata all’insufficienza pubblica. Siamo il Paese europeo con il più alto numero di auto in relazione agli abitanti (Roma 71/100), e non è un indicatore felice, anzi: nelle città più avanzate la mobilità privata corrisponde a circa 1/3 del totale, quella pubblica ai 2/3. A Roma, questo rapporto è invertito: 2/3 privata, 1/3 pubblica (Parigi ha come obiettivo, per il 2020, l’83% degli spostamenti con il trasporto pubblico). Questo dato, da solo, denuncia quanto grave sia il problema della mobilità della Capitale, un problema che ingessa tutto, su tutto grava: le attività lavorative registrano un ritardo nella concorrenza con ogni altra città; l’inquinamento dell’aria peggiora ogni anno che passa; si disperdono risorse umane, si perdono milioni di ore; il tempo di vita bruciato nel traffico corrode il tempo della sfera privata, della convivialità. Lo stile di vita arranca.

(Roma, via Battistini)
Un modello insano, industrialista, novecentesco, dallo sguardo fortemente rivolto al passato, quindi fallimentare, in ogni prospettiva di crescita e confronto con i processi di globalizzazione. Un modello che genera tanto sofferenza economica quanto disagio sociale. La prima è certificata dal Cresme, che rileva come, in un indice di competitività che vede in lizza 72 città, Roma si collochi al 67° posto, dichiaratamente a causa dell’insufficiente offerta di servizi, quindi dei maggiori costi e degli sprechi. D’altro canto, già da anni piccole e grandi aziende (ad es. Sky, Mediaset) hanno lasciato Roma. In quanto al disagio sociale non possiamo che registrare un arretramento nella erogazione dei servizi – dalla sanità alla raccolta dei rifiuti, dalla crescente insicurezza agli aiuti agli ultimi – e una crescente, sgradevole constatazione, relativa ai trasporti, che i ceti medi e popolari hanno dovuto fare: anche a causa del downsizing operato da Atac sul sistema dei trasporti, spacciato per rimodulazione dei percorsi, la qualità della vita dei romani è sensibilmente peggiorata.
4. L’emergenza della immobilità della città ha un nome, si chiama cittadinanza. Una cittadinanza lesa, disarticolata, evaporata, in particolare negli ultimi dieci anni, che riflette l’affanno della città. Restituire cittadinanza ai cittadini, ai romani (a ogni titolo lo siano), riorganizzando i sistemi infrastrutturali in modo organico, significa assumere una visione della città, per la città, che sia ambiziosa, risolutiva, possibile. Tanti esempi, tanti spunti di intervento, a partire da una misura di garanzia e civiltà per tutti: zone 30 nelle strade di quartiere, nelle piccole vie dove il limite di velocità posto a 50 km/h è inutile, pericoloso, insostenibile; a Parigi (ancora), le zone 30 coprono un terzo delle strade, in attesa di passare al 90% entro il 2020.
È chiaro a tutti come il problema mobilità sia intrecciato strettamente alla conformazione urbanistica della città, al suo tracimare fallimentare, insensato (se non per la speculazione edilizia che l’ha prodotto), fuori GRA, lungo filamenti urbani che sono e saranno un problema di ardua soluzione, in quanto a collegamenti sostenibili; il ferro, per dirla in breve, non ci arriverà. Ancora, si dovrà affrontare la questione abitativa, a partire dai 180.000 appartamenti sfitti, vuoti, dotandoci di nuove politiche dell’abitare, oggi cristallizzate intorno al nulla dell’edilizia popolare (ERP). Dobbiamo prendere consapevolezza della realtà: Roma è una città-regione non più assimilabile a quell’insieme di caratteristiche geografiche, storiche e simboliche che fino ad ora hanno identificato qualcosa come una città (R. Esposito).
Sarà indispensabile realizzare davvero la Città metropolitana di Roma Capitale, per potersi muovere secondo il principio della concertazione pianificatoria, tra i Comuni della Città metropolitana(compresi i Municipi attuali) e tra la Città metropolitana e la Regione Lazio, in modo da affrontare con tutta la forza necessaria il nodo mobilità, un nodo di visione, di modello, che potrà essere sciolto solo condividendo un pensiero sul futuro. Un futuro nel quale riuscire a conciliare i tempi di lavoro e studio con i tempi della sfera privata, degli affetti e della convivialità, sia una pratica accessibile a tutti, senza esclusioni.
5. Da cosa si vede, come si capisce, quali sono gli indicatori che ci dicono che una città – Roma, per esempio – funziona? Quando possiamo pensare la città come un tessuto vivente in cui linguaggi, storie, mondi diversi vengono comunque a contatto (R. Esposito); quando le contaminazioni non sono viste come un pericolo ma come necessarie alla stessa sopravvivenza della città. Una città che funziona in quanto produce senso, quando consente a chi la abita di dare significato alla propria esistenza. Il declino di Roma (perché questo è quanto sta già avvenendo) si arresterà quando la città sarà in grado di funzionare meglio perché le sue parti, le sue infrastrutture, funzionano. A patto però di sconfiggere, prima, i preponderanti interessi dei pochi a danno dei moltissimi. Allora, per ogni intervento in città, adottare il paradigma shard che rovescia schemi urbanistici desueti: la “scheggia” disegnata da Renzo Piano, un alto grattacielo che marca lo skyline londinese, dispone di 60 parcheggi per l’handicap e nessuno per tutti gli altri. Si intuisce bene il perché, riflettendo sulle apparenti distonie, senza schemi precostituiti, su come si crea la domanda (di mobilità), e non soltanto sull’offerta. Domanda e offerta che sono storicamente determinate e non certo frutto di un destino cinico e baro.
6. Come proposta per un deciso cambio di indirizzo, proviamo ad immaginare una città-parco, nella quale tutti (tutti!) gli spazi pubblici – strade, piazze, parchi, giardini, terreni incolti (Roma ne è piena), costruzioni in disuso, uffici, laboratori (e anche metro, autobus, taxi), cinema, teatri, scuole, università – siano riconsiderati come luoghi di produzione della socialità, prima ancora che strutture e infrastrutture. Questa la proposta di massima, la chiave interpretativa: leggere la città, il “libro di pietra”, coglierne i bisogni (di mobilità in primo luogo), attraverso la dilatazione dei diritti di cittadinanza di tutti, nessuno escluso, per poter formulare soluzioni idonee al superamento delle difficoltà. Una città-parco solidale che consideri ogni suo spazio degno di tale qualifica semplicemente perché agibile, percorribile, camminabile: mobilità in sicurezza. Una città che restituisce centralità alle persone, combattendo e ridimensionando i pesanti interessi che da sempre la soffocano. Una città vecchia e insieme nuova, che vogliamo declinare come antica e moderna nel suo essere pensata, immaginata dai cittadini; una città capace di produrre benessere, quindi relazioni solidali.

(Shared space)
7. Quali misure possono migliorare la mobilità, in particolare la assai scarsa mobilità di Roma? Proviamo a fare delle ipotesi, che naturalmente non vogliono essere esaustive, ma solo materiale di discussione, assieme ad altre ipotesi che potranno essere presentate :
- agire sulla leva della sicurezza dei cittadini, quindi rendere meno pericoloso (per chiunque si trovi in città) il traffico automobilistico limitando la velocità nelle strade di vicinato, interne ai quartieri, istituendo ampie e ramificate zone 30;
- ampliare la e-governance (G2C, cioè government to citizens e G2B,ovvero government to business), magari integrandola con uffici di servizio sui territori (come la rete Caf). Questo si traduce nell’ottimizzazione dell’impiego delle risorse e nell’adeguamento dell’offerta alla variabilità della domanda (dell’utenza);
- iniziare a ridurre la causa della abnorme domanda di mobilità che scaturisce dall’abitare periferie sempre più lontane, a causa delle dinamiche impazzite dei prezzi delle abitazioni, in particolare i) regolando/agevolando il mercato degli affitti e ii) mediante il sostegno a una forte ripresa dell’edilizia residenziale pubblica, da rigenerazione, oggi inesistente.
- studiare i) piani tariffari che comprendano la gratuità del servizio di trasporto pubblico per le fasce di popolazione più fragili e ii)la verifica dei titoli di viaggio basata sulle tecnologie digitali;
- riprendere il controllo (democratico) degli spazi pubblici oggi preda di appetiti controculturali e criminali, anche attraverso la diffusione di shared spaces;
- migliorare programmaticamente la camminabilità della città in quanto vera, inesplorata risorsa, capitale sociale, bene comune, primo strumento di connessione tra tutte le modalità di spostamento nella città;
- Operare sulla integrazione dei sistemi(infrastrutture, mezzi, organizzazioni, lavoratori) trattando l’insieme problematico come una grande opera, sotto il profilo tecnico e di governance. In questa declinazione, Atac ricopre un ruolo fondamentale (vedi punto 9). Tra le molteplici misure da considerare:
i) chiusura dell’anello ferroviario ed eventuali integrazioni con le diverse reti;
ii) corsie preferenziali/strade verdi (strade dedicate ai soli mezzi pubblici);
iii) nuove tecnologie (car e bike-sharing, car-pooling, mobility manager…);
iv) piste ciclabili e percorsi pedonali;
v) il controllo della legalità dei comportamenti da rendere effettivo attraverso la dotazione all’amministrazione di agili strumenti di legge e risorse adeguate (la formazione del personale costituisce, in questo senso, un capitolo essenziale). Ad esempio: turismo (pullman), traffico veicolare (doppia fila, parcheggio selvaggio), commercio ambulante, ristorazione (dehor e camion bar).

(Bogotà)
8. Il contesto di riferimento della vicenda Atac, per la sua complessità e per il suo radicamento, richiede il suo inserimento nella visione complessiva che si adotterà per mettere mano alla incerta definizione di Roma. La questione, in breve, riguarda tutta la città nelle sue linee costituenti, non soltanto Atac: allora è tutta la città che deve essere coinvolta nella risoluzione dei problemi. Una volta definita e condivisa la visione complessiva, si potrà meglio affrontare la specifica difficoltà di Atac. Per dirla con metafora organica, intendiamo curare il malato, non la malattia.
GIULIO BIZZAGLIA
Riferimenti
Ho abitato a Roma per 5 anni, abitavo nel mezzo del triangolo racchiuso fra la via Cristoforo Colombo, Laurentina e Marconi. Per lavoro giravo per banche con la moto, nel mio giro l’ultima banca era in Viale Libia, quartire Africano. Con la moto ci impiegavo circa 40 minuti ad attraversare la città, sebbene fossi oramai piuttosto “pratico”. Quando mi fidanzai, lavoravo all’EUR e per andare alla stazione trastevere, ero fidanzato a Civitavecchia, prendevo il bus e invece di scendere a estinazione, scendevo a Ponte Marconi ed il resto me la facevo a piedi, arrivavo regolarmente prima dell’autobus.
L’articolo termina con una serie di idee per affrontare il problema, che, sinceramente mi sembrano un po’ “campate in aria” come se fossero partorite da chi Roma non conosce. Ovviamente è una impressione e tale spero venga considerata.
A mio avviso Roma ha un grande problema, nel suo centro si raggruppano decine di grandi istituzioni pubbliche e centinaia di enti e migliaia di uffici distaccati. A questa immensità va associato il gran numero di mete turistiche. Enti, istituzioni e mete turisiche sono elementi che solo Roma ha in questa misura, a tutto ciò si uniscono elementi comuni ad altre metropoli, banche negozi ecc…
L’accentramento di questi soggetti della vita della capitale è ancor più esaltato da un sistema di trasporti con un centro unico ovvero la stazione centrale.
Anche volendo lavorare sulle infrastrutture “circolari” anelli ferrati o non, il problema resterebbe poichè le direttrici sono dalla periferia al centro. Poichè tutto è al centro, ovviamente un centro piuttosto largo ma per il qiale migliaia e migliaia di persone si spostano in modo “radiale”.
Essendo questa la premessa, potremmo anche chiudere le strade al traffico privato ma avremmo comunque un pazzo traffico di bus e taxi. Chi frequenta Roma sa bene che anche nelle ZTL il traffico è così intenso da non lasciare spazio a null’altro.
Assolutamente inevitbile è la necessità di implementare una rete metropolitana minimamente sufficiente, basta paragonare Milano, quelle parigina e londinese sono lontane anni luce e anche Napoli ha una metro migliore di quella romana. Ma la vera differenza la farebbe il decentramento delle istituzioni. Diceva qualcuno, il problema del traffico si risolve togliendolo. Per farlo penso sia necessario spostare le mete, ovviamente per quanto possibile. Rompere cioè il flusso radiale che porta tutti verso il centro e tutti ad allontanarsi dal centro. Le mete turistiche ovviamente non possono essere spostate, uffici enti ecc.. invece si. La creazione di più centri direzionali ben collegati fra loro potrebbe essere una idea.
L’idea di strade in “zona 30” a Roma ha oggi davvero poco senso, spesso a piedi si va più veloci. L’affollamento di auto unito al traffico di bus del trasporto pubblico e turistico e dei taxi rende spesso impossibile il solo pensare a strade pedonali e piste ciclabili, bisogna evdentemente ridurre drasticamente i flussi di superficie. Tempo fa vidi una mappa delle vie ciclabili romane, sono tanti chilometri, ma sono tutte vie spezzate, non raccordate fra loro, cosa che ne deprime l’utilità e l’utilizzo, del resto creare piste ciclabili in vie intasate dal traffico è davvero impresa titanica. Alcune cose paiono semplici, ma non si fanno probabilmente per non intaccare alcuni interessi, ma questa è una illazione. Mi riferisco ad esempio al collegamento porto di civitavecchia aeroporto fiumicino. Attualmente è necessario arrivare a Roma Termini ecc, per poi prendere un altro convoglio che porta all’aeroporto. Questa vera e propria deviazione può essere facilissimamente risolta con un diverso instradamento, riduccendo il fastidio del trasbordo, con valige piccole o grandi, e con un risparmio di tempo davvero notevole. , non credo di esagerare nel dire che occorrerebbe meno della metà considerando anche il tempo del cambio. Ma questi sono i misteri italiani.
Grazie per lo spunto, è sempre bello potersi esprimere.
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La questione della immobilità di Roma è talmente vasta che non posso che limitarmi a replicare solo ad alcuni punti del commento di Damiani. È proprio perché conosco (e amo) Roma che, da tempo, mi occupo della problematica relazionandola (naturalmente, dati i miei interessi) con la sfera dei diritti di cittadinanza, con il diritto al corpo, alla città, alla mobilità come presupposto fondamentale.
La proposta di ampliare le “zone 30”, sulla scia delle grandi città più avanzate, ha a che fare con il quotidiano di tutti noi e quindi, magari solo per questo, ha un grande significato. Perché nelle strade di quartiere, quelle piccole, senza marciapiedi, la possibilità di correre a 50 all’ora è, questa volta sì, insensata. Ridurre quindi a 30 km orari è una prima, semplice misura che può fortemente contribuire nel consentire ad anziani, bambini e donne di evadere dagli “arresti domiciliari” ai quali sono oggi costretti. Da qui passa il recupero della città, che conferisce nuova centralità alle persone sviluppando la camminabilità: questa, più che proposta campata in aria, pare essere una misura di grande efficacia, radicata peraltro nella nostra storia comune.
In realtà, la questione mobilità si intreccia fortemente con quella abitativa. Roma è una città piena di vuoti, rarefatta, sbrindellata, densa di abitazioni sfitte, con protrusioni (filamenti urbani) di costruito che si diramano per tutta la regione e oltre. Questo hinterland anomalo è abitato da moltissimi romani (lato sensu) che sono costretti a pendolare a causa delle disastrose politiche abitative che hanno aumentato le distanze tra abitazione e lavoro, peggiorando notevolmente la qualità della vita.
La risposta a questa situazione consiste nel densificare la città, riavvicinando la casa al lavoro, riabitando la città. Allora, modificando la struttura della domanda di mobilità per via di interventi sull’abitare, si potrà pensare a sistemi di mobilità economicamente sostenibili, cosa oggi negata.
Il terzo elemento in gioco è quello del riuso, della rigenerazione urbana come elemento complementare alla densificazione, per quanto riguarda l’interno della città (diciamo del GRA); in parallelo, all’esterno del GRA, valga (finalmente!) il principio dello “zero consumo di suolo”. Programmare interventi sul territorio ispirati a quanto detto, cosa mai fatta prima, è quanto richiesto – da tempo – dalla comunità scientifica.
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