LO SPORT ED I SUOI CONTENUTI EDUCATIVI

…. prima cosa: l’entusiasmo

di STEFANO CERVARELLI ♦

Recentemente ho parlato, seppur brevemente, della maleducazione sportiva di molti genitori (una maleducazione che, ultimamente, si sta manifestando anche in altri campi) quando assistono alle competizioni agonistiche dei propri figli.  Di riflesso, mi sembra naturale parlare di come porsi nei confronti dei ragazzi, proponendo una chiacchierata, spero utile, sui contenuti educativi dello sport.

Un tema, questo, che mi auguro stia a cuore a chi, per qualunque titolo, si trovi ad operare nel mondo dello sport, ma ancor di più a chi vive in prima persona, direi in presa diretta, quotidianamente, il rapporto con i ragazzi.

Lo farò avvalendomi un po’ della mia modesta esperienza e un bel po’ invece delle capacità di un mio “antico” maestro: Dan Peterson. Chi non lo conosce?

Allenatore di Basket, telecronista dal linguaggio nuovo, originale, con lunga esperienza sia nel mondo dello sport giovanile sia in quello professionistico, vincitore di scudetti e coppe europee, in possesso di due lauree, una in psicologia ed educazione, l’altra in educazione fisica, Peterson ha pubblicato – come dire? – una serie di lezioni-relazioni proprio sui contenuti educativi dello sport.

Indubbiamente quelle che sono linee guida, suggerimenti ed esperienze devono poi trovare applicazione nella realtà quotidiana che è diversa per ognuno, a seconda del tessuto sociale e delle fasce d’età in cui si trova ad operare.  Una sfida che comunque non deve spaventare né essere ignorata, consapevoli dell’enorme importanza che assume il ruolo dell’allenatore-educatore, per i suoi giovani allievi.

Sebbene Peterson si rivolga principalmente agli operatori di base, non manca di far notare che alcuni atteggiamenti hanno trovato esito positivo anche in campo professionistico; egli sebbene si trovi in Italia da molti anni, ha ricevuto la sua educazione sportiva e sociale negli Stati Uniti e proviene quindi da una cultura assolutamente diversa dalla nostra; questo gli ha offerto l’opportunità di fare paragoni molto interessanti e di non essere- come dire? – troppo condizionato.

Il primo argomento, di una serie di articoli, riguarda L’ENTUSIASMO, ossia, la benzina che serve a chi deve comunicare. Già: comunicare, dialogare con i giovani, azionare le molle che facciano scattare il loro entusiasmo, rappresenta oggi una preoccupazione per ogni genitore e per ogni educatore, allenatori compresi.

Si ha a volte l’impressione di una incomunicabilità che va oltre al “gap” generazionale. Sembra che si parlino lingue diverse. Non sarà anche colpa del fatto che si parli da posizioni diverse? Genitori ed istruttori, magari, dall’alto verso il basso?

Una soluzione potrebbe essere magari quella di coinvolgere il soggetto destinatario del dialogo nel progetto di costruzione e realizzazione di qualcosa in comune, e un veicolo per arrivare a questo può essere senz’altro l’entusiasmo. Entusiasmo che nasce proprio dal sentirsi partecipe di un progetto. Per fare questo più che le parole contano gli esempi.

E, proprio per parlaci di esempi, Peterson attinge alla cultura sportiva del suo Paese, raccontando di due personaggi, un giocatore ed un allenatore, che sono rimasti nella storia dello sport americano proprio, non tanto per le loro doti tecniche- anche se rilevanti-, bensì per come abbiano saputo azionare la leva dell’entusiasmo.

Il primo, Pete Rose, era un giocatore di baseball; il secondo, Gerry Faust, era invece allenatore di football americano.

Il primo ha giocato fino a 43 anni, raggiungendo record secondi solo a quelli del grande Joe di Maggio. Giocare per tanto tempo e raggiungere molti record indica la sua grandezza.

Una volta fu chiamato a parlare ai ragazzi di una scuola media, maschi e femmine, intorno ai 13-14 anni, età in cu generalmente non si ha tanta voglia di stare per un’ora fermi ad ascoltare parlare qualcuno, anche se si tratta di un campione. Ed invece…invece …  Pete Rose ha saputo tenere viva l’attenzione dei ragazzi per quasi due ore!!! Di questo episodio un giornalista della maggiore rivista sportiva statunitense – Sports Illustrated – scrisse che Pete Rose era riuscito in quell’”epica” impresa parlando sullo stesso livello di quei ragazzi e non dall’alto in basso.

Il segreto? Il suo spirito era tornato ad essere quello di un 14enne. Era diventato uno di loro e questi erano rimasti colpiti dal suo entusiasmo. Per la maniera in cui trasmetteva la sua” lezione”: senza mai assumere toni ed atteggiamenti professionali, ma riuscendo ad entrare nel loro modo di comprendere.

Passiamo al secondo esempio.

In America l’allenatore, sia a livello più basso che a quello più alto, è considerato come prima cosa un insegnante; nei vari gradi di scuola e nelle università viene ingaggiato come un professore e non solo come coach.

Notre Dame, per la sua squadra di football americano, scelse Gerry Faust proprio perché con le sue qualità desse una nuova carica a tutto l’ambiente. Lui riuscì nell’impresa avvalendosi proprio della sua capacità di creare entusiasmo nei gruppi con i quali lavorava. Ma come?  Coinvolgendo l’intera università, parlando con i ragazzi, sempre, in ogni momento, in ogni luogo, andandoli a trovare persino nei loro dormitori, facendoli sentire partecipi, tutti, di un progetto: persino gli studenti-supporters.

Da qualche tempo, devo dire, che nelle nostre scuole si sta assistendo a qualcosa del genere, timidi, sporadici tentativi, lasciati alla buona volontà e sensibilità del professore di Educazione Fisica di avvicinare sempre più i ragazzi allo sport all’interno, bisogna dirlo di un rapporto scuola-sport alquanto deficitario. Quindi nella nostra cultura sportiva i primi a dover trasmettere entusiasmo restano gli allenatori ed istruttori delle società.

Dunque, con queste brevi parole abbiamo visto come l’entusiasmo sia un forte propellente ed aiuti ad entrare in sintonia e, di conseguenza a comunicare meglio, a far rendere di più gli atleti ed i ragazzi in genere. Ma dove deve attingere entusiasmo, energia l’allenatore, l’istruttore, l’educatore? Proprio dal suo lavoro, dal vedere gli sforzi che compiono, l’impegno che mettono, i progressi che effettuano i giovani affidati alle sue cure. Una specie di circolo vizioso insomma, che mette sullo stesso livello chi deve istruire e far capire e chi, invece, è chiamato a capire.

E la prima cosa che un ragazzo capisce è quando l’adulto sta lavorando con lui e per lui.

STEFANO CERVARELLI