25 CHILOGRAMMI DI ANIDRIDE CARBONICA …

Può darsi che questo banco possa fregiarsi del bollino di “filiera corta” ma cosa, la lattuga o gli spinaci?
Perché non posso sapere da dove viene la carne? Per il pesce le cose non cambiano, anche se la dicitura “locale” oppure “di civitavecchia” nei banchi del pesce è più frequente che nei banchi di frutta e verdura. Nei banchi del pesce c’è, in realtà, la normativa che obbliga l’indicazione della zona di pesca, ma è anche vero che l’indicazione è fatta con sigle che per i non addetti ai lavori ben poco significano. Parlo dell’etichetta FAO seguita da un numero. Questa dicitura indica la zona di pesca. Se leggete “FAO 37” vuol dire che è stato pescato nel Mediterraneo o nel Mar Nero, se poi al 37 seguono altri numeri la zona viene meglio identificata 37,1.3 indica il tirreno, della Liguria sino alla Tunisia, insomma, oltre ad essere poco delimitante è anche assolutamente opaco per il 99,9% dei frequentatori del mercato, quanti saranno mai coloro che conoscono i codici FAO?. Spesso manca anche la differenziazione fra il pescato e l’allevato, anche qui si va a naso ci aiuta il prezzo e l’aspetto, pesci tutti della stessa dimensione sono evidentemente provenienti da allevamenti. Ma quali? amare? in vasca? Dove? Come?Scommetto che se andassi a leggermi la norma scoprirei che viene spesso e volentieri disattesa dagli operatori. Dovrebbero capire come sia importante fornire l’informazione corretta. Un giorno ebbi quasi una vivace discussione con una rivenditrice di cozze che insisteva col dire che i mitili venivano dalla Sardegna nonostante le facessi notare che l’etichetta riportava la dicitura: “allevati in Spagna e bagnati nel golfo di Oristano”.Ora c’è la legge regionale 151 che si propone di favorire il commercio dei prodotti “locali” sia agricoli che ittici. Alcuni articoli mi hanno colpito, in questi si impone ai comuni di attrezzare mercati riservati ai produttori locali ed una percentuale di stalli nei mercati “normali” riservati a coloro che producono e rivendono i prodotti della propria azienda locale o comunque prodotti biologicamente tipici o di particolare valore dell’agricoltura e pesca locali. Ma cosa s’intende per “locale”?
Così recita la relazione introduttiva:
“Inoltre, sempre nell’ottica di avvicinare il produttore al consumatore e valorizzare le produzioni locali tipiche, nei Comuni viene riservato il 20% dei posteggi nei nuovi mercati al dettaglio proprio per la vendita diretta di prodotti a filiera corta.”
A dire il vero il 20% non appare gran che.

La sigla AF 37, ancorché legittima, non dice in pratica nulla al consumatore che potrebbe comprendere solo che si tratta di pesce di allevamento e nulla più solo per il prezzo troppo basso per trattarsi di pesce pescato.
“Saranno considerati tali quelli destinati all’alimentazione umana “per il cui trasporto dal luogo di produzione al luogo previsto per il consumo si producono meno di 25 chilogrammi di anidride carbonica equivalente per tonnellata”.
La domanda sorge spontanea, “ma che caspita vuol dire?”. Immagino che il “legislatore” abbia chiamato un “tecnico” chiedendogli una definizione valida per esprimere il concetto di “filiera corta”. Concetto certo assai chiaro per il tecnico, ma veramente incomprensibile per il contadino di Pantano. Il ristoratore/commerciante poi potrà fregiarsi, dell’apposito bollino se utilizza per oltre il 50% prodotti “locali”. Ce lo vedete voi il vigile che controlla la percentuale dei prodotti usati dal ristoratore?
L’art. 4 recita:
“…… Alle imprese esercenti.. omissis… che, nell’ambito degli acquisti di prodotti agricoli e alimentari si approvvigionino per almeno il 50% in termini di valore, di prodotti agricoli e alimentari.. omissis.. viene assegnato un apposito logo da porre all’esterno dell’esercizio…..”Ho la vaga impressione che sarà qualcosa assai somigliante a quanto accaduto per gli agriturismi, sarà facile dimostrare di essere “corto” per potersi attaccare l’etichetta della filiera corta e magari lucrare qualche quattrino grazie alle iniziative per le quali sono previsti fondi sia nazionali che europei.Mi chiedo spesso perché la legge debba essere così incomprensibile ed in alcuni casi inapplicabile ed incontrollabile. Io vorrei sapere con precisione cosa è e da dove viene quello che mangio, che senso ha il 50%? Si può dire che si propone cibo a filiera corta se si prende un pesce del posto mentre tutto il resto, pasta verdura frutta, tutto molto meno costoso del pesce viene chissà da dove? Mi domando se questo 50% derivi da qualche calcolo sensato.
Ma poi alla fine dei conti, se la legge non viene applicata/controllata tutto perde di senso, come perde senso la distanza che c’è fra la norma e la gente. Che senso ha una indicazione FAO 37 se la gente non conosce il sistema di identificazione? Che senso ha il bollino al ristorante o al banco del mercato se poi compro o mangio cose credendole locali ed invece non lo sono? Perché non si può scrivere Tirreno centrale, Mar Ligure, Canale di Sardegna ecc.. ? Quando vedrò l’etichetta al ristorante “filiera corta” entrerò per farmi una bella bistecca pensando ingenuamente che sia “locale” e invece no perché fa parte di quel 49% che non è de qua. Sempre che i “25 chilogrammi di anidride carbonica equivalente per tonnellata” non siano poi così lontani.
Conviene stare comunque in campana e vigilare.
Un’ultima domanda, ma perché mai usare la produzione di anidride carbonica per definire la filiera corta? Ma non bastava la carta geografica? Servirà forse per contrabbandare un “locale” che locale non è? Ma perché la politica deve produrre cose così astruse?La legge, mentre scrivo, ancora non è pubblicata sul sito della Regione ma la trovate qui, probabilmente priva degli emendamenti:http://www.cristianaavenali.it/wp-content/uploads/PL151_Avenali_filieracorta.pdf
Vi terrò informati non appena la legge sarà pubblicata.
Grazie per le informazioni. Cristiana Avenali è veramente in gamba !
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Ancora non ho trovato il testo finale ed ufficiale, ma debbo onestamente dire che mi convince poco. Del resto credo si capisca nell’articolo. Mi sono concesso un po’ di tempo per capire qualcosa di più sui 25kg. di CO2 di seguito incollo la definizione che ho trovato, vorrei tanto sapere che cosa c’entra e, se c’entra, come c’entra con il riconoscimento di “filiera corta”.
Questa la definizione, quasi quasi scrivo alla Avenali per farmelo spiegare, sinceramente credo che l’idea di “filiera corta” non attenga propriamente a considerazioni relative ai “clima alteranti”:
Questa è la definizione:
Tonnellata di CO2 equivalente: è un’unità di misura che permette di pesare insieme emissioni di gas serra diversi con differenti effetti climalteranti. Ad esempio una tonnellata di metano che ha un potenziale climalterante 21 volte superiore rispetto alla CO2, viene contabilizzata come 21 tonnellate di CO2 equivalente. In questo modo è possibile paragonare tra di loro gas diversi, quando si considera il loro contributo all’effetto serra. Maggiore è il GWP, maggiore il contributo all’effetto serra.
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Ho posto la domanda alla consigliere Avenali, conto in una sua sollecita risposta. di seguito il testo del mio post sulla sua pagina FB
”
Gentile Cristiana, ho letto la legge appena approvata ma vorrei che mi spiegasse cosa vuol dire questa parte, ovvero i 25 kg di CO2. Nella pratica come si traducono? Grazie per l’attenzione.
“la Regione definisce “prodotti provenienti da filiera corta” i prodotti agricoli e agroalimentari destinati all’alimentazione umana per il cui trasporto dal luogo di produzione al luogo previsto per il consumo si producono meno di 25 chilogrammi di anidride carbonica equivalente per tonnellata”
“
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Risposta della Avenali:
“La commissione tecnico scientifica prevista dalla legge definirà scientificamente è oggettivamente la modalità di traduzione in km del criterio dei 25 kg di CO2 basandosi anche sui metodi già adottati da altre Regioni.”
Le ho proposto la riflessione:
“Quindi, se io fossi un commerciante di roma e comprassi delle verdure da grosseto sarebbe filiera corta? E se la verdura pesa parecchio? Si accorcia la filiera? non sono battute, ma riflessioni con un certo senso, credo.”
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Giorni fa chiesi all’assessorato competente in Regione Lazio, informazioni relative alla quantificazione in Km del valore di 25 Kg CO2 per tonnellata. Questa la risposta che mi è giunta ad un anno e passa dall’approvazione della legge da che ne viene che essa è al momento mere parole stampate. Evito ulteriori considerazioni.
Buona sera,
in relazione alla sua richiesta di quantificazione in Km del valore di 25 km di CO2 per tonnellata ai fini della definizione dei prodotti provenienti da filiera corta, Le comunico che la struttura competente sta lavorando agli adempimenti previsti in attuazione della legge, ma non siamo ancora arrivati alla quantificazione in argomento.
Resta inteso che le informazioni suddette verranno pubblicate nel sito istituzionale non appena disponibili.
Cordiali saluti
La segreteria
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