Sogni e incubi dell’Europa in guerra
di NICOLA R. PORRO ♦
Forse mai come in questa estate, dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa è tornata a vivere l’incubo di una guerra possibile. Per la prima volta uno Stato sovrano, l’Ucraina, ha infatti subito l’occupazione militare di una parte significativa del proprio territorio da parte di un altro Stato. L’occupazione del territorio è il tema cruciale di cui si occupa quella singolare scienza chiamata geopolitica. Essa si occupa specialmente di eventi di particolare gravità e dagli esiti spesso imprevedibili. Rientrano in questa tipologia tutte le situazioni in cui il diritto lascia il campo e ad esso subentrano le pure ragioni della forza. La materiale occupazione di un territorio rappresenta insomma l’atto fondamentale della guerra, quello che offre la più potente rappresentazione – materiale e simbolica – del conflitto. Occorre però intenderci sul concetto sfuggente e controverso di geopolitica. Il primo a farvi ricorso è stato, nel 1939, un grande quando discusso filosofo della politica come Carl Schmitt. Ispirandosi a quella che definiva visione realistica della Storia, questi aveva immaginato un radicale riordino geopolitico del diritto internazionale che aveva pomposamente battezzato “Ordinamento dei grandi spazi nel diritto internazionale”. Si trattava, di fatto, di una legittimazione ideologica dell’espansionismo nazista, tanto sofisticata sotto il profilo intellettuale quanto terrificante negli scenari politici che disegnava. Schmitt intendeva rifondare l’intero diritto internazionale adattando alla Germania nazista l’operazione – insieme politica e intellettuale – che un secolo prima James Monroe aveva condotto per fornire legittimità ai nascenti Stati Uniti d’America. Monroe, però, aspirava a disegnare un tipo inedito di democrazia mentre Schmitt intendeva tracciare un sistema geopolitico mondiale ispirato all’imperialismo totalitario hitleriano.

Le nazioni europee sarebbero stati cancellate in quanto Stati per essere ubicate in un inedito sistema internazionale: l’ordine nuovo nazista. In coerenza con una visione della Storia dominata dalla missione assegnata alla Germania, veniva “razionalmente” giustificato il ricorso alla forza militare. Nessun atto appariva a Schmitt altrettanto politico quanto la materiale “occupazione della terra da parte del più forte” perché “la forza, e solo la forza, rende pubblicamente visibili le forme del dominio”. Non si tratta purtroppo di rievocare gli eruditi deliri di qualche pensatore. La questione della guerra e del possesso del territorio è tornata infatti di drammatica attualità in questi mesi: in Ucraina, nella striscia di Gaza, in Transnistria. Nubi preoccupanti si addensano in Estremo Oriente dove cresce la minaccia cinese alla sovranità di Taiwan. Alle frontiere orientali della Ue, fra Ungheria e Ucraina, si sono riaffacciate rivendicazioni territoriali che si pensavano definitivamente archiviate. Persino il leader di un Paese Ue, l’ungherese Viktor Orbán, si è spinto a rivendicare la sovranità sulla Transcarpazia, una regione dell’Ucraina dove vivono un milione e duecentomila persone, di cui non più del 13% di lingua ungherese. Siamo in presenza di un anacronistico rigurgito nazionalistico oppure di una ben più preoccupante operazione concertata con Putin? Stiamo forse già vivendo una sorta di “guerra carsica”, innescata da pericolose controversie ai confini dell’Europa centro-orientale? È in atto una sfida non dichiarata tanto alla Nato quanto alla Ue? In questo caso si aprirebbero scenari inquietanti. Lo conferma il generale Roland Walker, capo di stato maggiore della Difesa britannica, dichiarando di “non poter escludere” la possibilità di un conflitto armato fra la Russia e le potenze occidentale nell’arco di tre anni. La questione ovviamente non scalfisce le convinzioni dei pacifisti ”a prescindere”. Sono i cosiddetti pacifinti, tanto sensibili alle ragioni della pace quanto indifferenti al destino di vittime incolpevoli che una resa a discrezione consegnerebbe ai propri carnefici.

A dispetto dei nostalgici di Schmitt quanto dei queruli pacifinti, la questione cruciale è ancora, come sempre, quella di una pace giusta garantita dal diritto internazionale. Sappiamo, del resto, che il ritorno su scala globale della guerra avrebbe conseguenze virtualmente apocalittiche. Attorno al 2050, infatti, la popolazione mondiale supererà i nove miliardi. Per garantire a tutti acqua e cibo sarà indispensabile una razionale, severa e condivisa strategia di impiego delle risorse naturali. La Fao ha ricordato, in proposito, come sul nostro pianeta siano allo stato ancora disponibili per le coltivazioni agricole non più di 2.600 milioni di ettari, largamente insufficienti a garantire nel tempo un fabbisogno alimentare in continua espansione. Come non temere che qualche grande potenza, se costretta dal fabbisogno interno, cerchi di appropriarsi di quanto le necessita ricorrendo alla forza? La preoccupazione è quanto mai giustificata, soprattutto se si sommasse al rischio che prenda forma un’altra controversia cruciale per il futuro dell’umanità: quella che riguarda il controllo dello spazio. Fra il 2024 e il 2032 sono già in programma tredici missioni finalizzate allo sfruttamento delle risorse spaziali. [1] Le “magnifiche sorti e progressive” annunciate dalle conquiste scientifiche possono però trasformarsi – ci avvertono non pochi “futurologi” – in conflitti dagli esiti imprevedibili qualora si scatenasse una competizione per l‘appropriazione di risorse decisive in assenza di qualunque forma di regolazione. Non si tratta soltanto di predisporre per tempo norme giuridiche e strumenti per applicarle. Occorre riappropriarsi di quell’idea di “riforma intellettuale e morale” che Antonio Gramsci aveva invocato un secolo fa, nella stagione dei grandi totalitarismi.

Già fra il XV e il XVI secolo, del resto, l’Occidente aveva saputo raccogliere la sfida producendo il Rinascimento. Tre secoli più tardi il pensiero europeo seppe interpretare la modernità incipiente. I suoi profeti ci parlano ancora perché elaboravano pensieri alti, capaci di guardare al futuro. Pensiamo al Discorso sulla ineguaglianza (1755) di Rousseau, alla Fenomenologia dello spirito, di Hegel (1807), ai Principi di economia politica di Ricardo (1817), alla Democrazia in America di Tocqueville (1840), al primo volume de Il Capitale di Marx (1867), ai Tre saggi sulla sessualità di Freud (1905), all’Epistolario di Lukacs (1902-1917), ai lavori di Bloch, Buber, Jaspers, Weber, di Gramsci e della Scuola di Francoforte e persino a una figura controversa ma capace di introdurci al “pensiero della crisi” come Reinhart Koselleck. Maestri che ci hanno trasmesso il senso di una missione e la responsabilità di adempievi ben sapendo, tuttavia, che nel tempo della rivoluzione digitale non sarà replicabile il paradigma del razionalismo illuminista. Nemmeno basta, però, limitarsi ad aiutare l’Ucraina e a condannare il prolungamento non più giustificabile della guerra di Gaza da parte di Netanyahu. Il doppio gioco di Orbán e la tattica di Putin, Xi Jinping e Trump, la nuova aggressività militare cinese, il partenariato strategico che si sta saldando fra India e Cina e l’egemonia esercitata da russi e cinesi su un sistema dei Brics che vantano ormai un Pil superiore ai Paesi del G7, stanno disegnando un nuovo ordine mondiale che l’Occidente non potrà più disegnare a propria immagine e somiglianza.
NICOLA R. PORRO

Nicola ci restituisce oggi, in questo stordimento generale aggravato dall’afa, il contesto in cui siamo immersi e lo fa con la solita chiarezza e completezza. Lo sguardo sul futuro e sulla gestione delle risorse del pianeta, tanto realistico da risultare inquietante, si intreccia con la previsione di uno stato di guerra permanente per l’accaparramento delle stesse. I suoi pacifinti come categoria morale e politica ne sono la suggestione più allarmante. E adesso pover’uomo? – griderebbe Hans Fallada… 🥺
"Mi piace""Mi piace"
Nicola, riconosco l’impegno che deve avere la cultura in uno scenario così allarmante. Riconosco l’ammissione in tale scenario di guerra del più forte anche della Striscia di Gaza(che a mio giudizio e di altre milioni di persone è un genocidio, con la conseguenza di portarci ad un’altra guerra, non tanto carica nel Mediterraneo sud orientale e in Medio Oriente).
Perché tu citi Gramsci, e sai quanto si sia appassionato alla nostra questione meridionale, e non è forse il nostro Sud, per cultura millenaria, per economia, per disavanzo tecnologico, più vicino ai paesi che si affacciano sull’altra parte del Mediterraneo?
Riguardo invece al tuo tema di fondo, sono culturalmente d’accordo ne riconoscere le ” missioni” che hanno attraversato l’Europa, riconoscendo in esse anche la Russia degli Zar e di Putin.
La ccostruzione dell’Europa ha incontrato tali difficoltà, che ora in regime di guerra è difficile sanare. Sono dialoghi difficili per i nazionalismi, per le deformazioni storiche, per i due differenti Novecento, la Shoah e i Gulag, e come vengono”narrati”.
Vi ssono più dissonanze che sintonia in Europa.
Ma tra i grandi che hanno permeato la nostra cultura, per considerare la reale prospettiva della guerra atomica e delle “imprese spaziali”, vorrei ricordare gli inizi, che ancora sono il fulcro delle attuali proteste, Campus e accampamenti che dir si voglia: il il Manifesto Russell_Einstein contro la proliferazione atomica e, lasciami dire, all’utopia matura di un mondo senza ” chiese” e senza armi ( e senza gli egoismi dell’Occidente).
"Mi piace""Mi piace"
Carica=carica.
scusa errori battitura
"Mi piace""Mi piace"
certo che i problemi del mondo sono i pacifisti o pacifinti. Mah!
Anna Luisa
"Mi piace""Mi piace"
rispondo ad anonimo non a Nicola.
"Mi piace""Mi piace"
Pur condividendo l’esame inappuntabile e realistico di una situazione preoccupante e caotica.
Solo una richiesta, cosa si intende esattamente per “pacifinti”?
Grata di una risposta, complimenti!
"Mi piace""Mi piace"
Nel gergo giornalistico si chiamano “pacifinti” i sedicenti pacifisti che si accontentano di proclamare le ragioni della pace – quasi fossero i monopolisti dei “buoni sentimenti” universali – senza tuttavia avanzare allo scopo proposte concretamente perseguibili.
"Mi piace"Piace a 1 persona
C’è anche un pacifismo che più che del contingente dove la ricerca della pace può avere derive utili ai più forti, sui quali si deve ragionare, ma si deve anche mettere in piedi un processo culturale (che non può essere breve), che porti a un progresso umano oltre che tecnologico, per poter pensare alla guerra non più come evento inevitabile nella storia dell’uomo.
"Mi piace""Mi piace"