Mio padre non mi ha insegnato niente
di VALENTINA DI GENNARO ♦
“Avrei voluto fargli male. Ucciderli magari. Padre e madre. Farli soffrire come avevo sofferto io. Ora so che è stato solo un cattivo pensiero. Durato per tutta l’adolescenza. Mi sorprendevo a pianificare il come. E provavo vergogna. Cercavo di scacciare la furia che mi portavo dietro. Come un esorcismo. Eppure tornava. Un rimuginio. Ossessivo. Alla fine sono guarito. Quel pensiero violento è svanito. Andato via d’improvviso così come era venuto. Ma non ho provato né sollievo né altro. A un certo punto, stremato, ho semplicemente smesso di pensarli. Da vivi e da morti. Non faceva una grande differenza.”
Quando ho conosciuto Massimiliano Smeriglio, parlamentare europeo, dirigente della sinistra italiana, ho subito avuto chiaro che fosse un visionario. I piedi piantati a Garbatella ma uno spirito corsaro. Ha saputo creare una narrazione piratesca, avventurosa, del saper costruire vertenze territoriali che fossero anche globali. Conoscevo solo quindi la sua parte militante, politica.
Questo libro, “Mio padre non mi ha insegnato niente”, edito da FuoriScena, mi ha fatto scoprire l’infanzia di un bambino, l’adolescenza di un ragazzo.
La sua autobiografia, o quella almeno di un bel pezzo della sua vita.
Nella storia di Emme il mare è richiamato più volte. Il Tirreno davanti a Ostia. Un po’ foce del Tevere, un po’ mare. La sua rimane però inevitabilmente una storia urbana.
Una storia urbana, che per radici familiari, si dipana tra le Fosse Ardeatine, dove viene ucciso il bisnonno, la solida tradizione operaista delle sezioni dei partiti di massa e del PCI. E poi i movimenti, l’Università, la Pantera.
L’amore tossico per Roma. Roma che è famiglia, ma anche affrancamento e libertà dalla famiglia.
Di come la mancanza di un amore genitoriale e di una famiglia accogliente siano stati sostituti dall’appartenenza a qualcosa di più grande, ad una comunità politica.
Una madre anaffettiva che svolge il suo ruolo di accudimento ma non di amore.
Che però si rompe la schiena e la dignità nello svolgere i lavori più umili.
Un padre, che semplicemente, non c’è. Non insegna. Non presenzia. Non indica. Non adotta.
Per Biancamaria Frabotta, Civitavecchia è “una sgarbata parentesi tra apocalisse e paese”. Questa piccola città è il mio di amore tossico.
Ma il mare di Smeriglio è diverso dal mio. Il mio è abissale e salino. La mattina, dell’acqua alta, è blu. Tempestato dal libeccio ci insegna a camminare scalzi sugli scogli.
Il mare di Emme è sabbie nere, mare e foce del Tevere. Anche la sapidità è diversa.
Perché ad un certo punto è fiume e poi nello è più.
Ma un mare da cui tutto ha inizio, che ha saputo consolare lo stesso. Che è stato evasione e momenti felici di una grande famiglia allargata.
Per Goffredo Bettini Emme fa come il giovane protagonista dei “400 colpi”, il capolavoro di Truffaut. 

Ma Antoine Doinel ci mette i piedi dentro, vestito, vede il mare e lo sente per la prima volta mentre scappa e guarda dritto in camera.
Le sabbie nere di Emme, sono un luogo dell’anima bambina, cresciute insieme a lui.
Questo romanzo di Massimiliano Smeriglio arriva dritto al cuore.
Parla a tutti i bambini e le bambine che siamo state. Alle bambole e ai giocattoli che abbiamo o non abbiamo ricevuto o con cui non abbiamo giocato. La famiglia tradizionale e quella d’elezione, delle lotte e delle rivendicazioni collettive.
VALENTINA DI GENNARO

Nelle estemporanee ricerche che conducevo tra colleghe coetanee mi risultavano madri “gendarmi” o “carabinieri”, cosi definite per indicare una tipologia anni Cinquanta abbastanza diffusa e che percio ci ha aiutato non poco nella ribellione sessantottina!! Quel che si leggeva come anaffettività era spesso un eccesso di senso della responsabilità educativa affidata allora alle madri. Alla distanza, pur avendo avuto un rapporto privilegiato con mio padre, non vedo più solo gli aspetti di intransigenza materna che poi l’avanzare degli anni – suoi e miei- hanno mitigato. Vedo la cura quotidiana e la presenza costante senza smancerie. Altre madri rispetto a quelle d’oggi, che talvolta per contrarium coccolano troppo i figli talora viziandoli e deresponsabilizzandoli.. Ogni generazione ha le sue madri.
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Cara Valentina,
mi piace la tua intensa interpretazione del romanzo di Massimiliano Smeriglio, mi torna in mente il bel titolo di un vecchio film di Calopresti, “Preferisco.il rumore del mare”.
Ho conosciuto personalmente Smeriglio, venne anche al Galilei per un evento legato alla Scuola. Per motivi di lavoro avemmo anche un duro confronto poi risolto. Ricordo che ai miei studenti disse:” La vostra preside sembra fragile, ma vi assicuro che è tosta quando vuole qualcosa per voi e per la vostra Scuola”.
Hai ragione, un visionario, uno con cui ci si può confrontare a viso aperto.
Maria Zeno
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