Stravaganza, necessità!
di ANNA LUISA CONTU ♦
Non amo molto la parola queer, perché non amo l’uso e l’abuso dell’inglese nella nostra lingua, avendolo insegnato per tantissimi anni. Queer, dal suo originale significato di stravagante, poi, ha assunto , sia in inglese che in italiano, una connotazione sessuale, per indicare una identità di genere e un orientamento sessuale che non vogliono essere costretti in categorie limitanti.
Per questo è una parola che desta inquietudine e provoca subitaneo irrigidimento, come dimostra qualche reazione all’articolo di Valentina.
Anche lei, poi, tenta di torcere il significato di queer e riferirlo alle relazioni che si creavano nei partiti di massa, idealizzandone il senso di comunità e dimenticandone i difetti che, col tempo, li hanno uccisi: la competizione interna, le aggregazioni concorrenti alle elezioni, il partito -chiesa che guarda con sospetto diversità di opinioni e dissenso, la guerra delle tessere, il mortifero intreccio tra politica e affari,
E, però, quella parola, queer e la filosofia di vita che esprime è diventata una necessità nella nostra società.
La famiglia mononucleare , l’organizzazione familiare che il capitalismo maturo o decadente ci consegna, genera isolamento ed individualismo, ciascuno asserragliato nel proprio appartamento che è un fortino, l’egoismo della propria esistenza/sopravvivenza diventata il metro della mancanza di relazioni sociali; tutto è guardato con sospetto, ognuno è un possibile nemico.
Immaginiamo la vita di una persona che perde il coniuge, i pochi figli andati via da tanto, la vecchiaia che incombe, il corpo, e sempre più spesso la mente, che si disfa, la fragilità, la solitudine.
Forse esagero ma, man mano che diventiamo una società di vecchi c’è necessità di una diversa organizzazione sociale, non più basata solo sulle relazioni parentali, i cui legami sono sempre più sfilacciati , con figli che non fanno figli, che vivono e lavorano altrove.
C’é bisogno di un nuovo e diverso stato sociale. La società familiare che descrive Michela Murgia può costituire un modello che può essere riprodotto in un quartiere, in un condominio con locali e spazi comuni, come mense, biblioteche/ludoteche, sale laboratori per insegnare/apprendere gli antichi mestieri, giardini/orti( ma questo implica anche inventarsi un altro modo dell’abitare). Aiutare a crescere i figli di qualcuno, prestarsi ad accompagnarli a scuola, trovare aiuto nella malattia e in momenti di fragilità , i problemi di uno problemi di tutti.
Poi, ancora più triste il destino delle aree interne con i paesi che stanno morendo, con i giovani che vanno via e i vecchi soli in case inutilmente grandi, i centri storici abbandonati e le case in disfacimento, come nel mio paese. E i migranti costretti alla clandestinità, quando potrebbero ripopolare quelle aree se si desse loro opportunità e dignità.
È utopia ? Non credo. Un diverso modo di vivere, scambiare relazioni umane empatiche è stravagante ( come sono stravaganti i personaggi di un film, per me stupendo, “ Nomadland”, nomadi per scelta, per fuggire relazioni egoistiche e competitive) ma necessario.
Certo tutto questo non possiamo chiederlo al governo di destra in carica cui l’isolamento,
l’egoismo, l’individualismo sono funzionali, ma non può diventare un’idea di società e parte di un programma autenticamente riformista e di sinistra?
E allora ben venga la parola “queer” , io continuerò ad auspicare che la stravagante famiglia di Michela/Kelledda diventi la normalità nella nostra organizzazione sociale.
ANNA LUISA CONTU

Parole di saggezza.
Nessuna politica ha questo anelito. Il “villaggio”è una utopia se pensato come opera scaturente dall’alto. Credo che in qualche luogo della Terra si pensi a ciò che tu auspichi. La Chiesa, non il partito cattolico, dovrebbe, potrebbe ma sembra non volere perchè distratta da altro.
Ho parlato spesso della terza e quarta età. Età di forti potenzialità ove la salute regga e il cervello non venga contaminato dal negativo.
Ma senza relazionalità l’isolamento cui si è costretti dal sistema economico non permette di realizzare nulla di positivo.
La vecchiaia, allora, come ho tentato di dimostrare, si traduce in giorni che riempono la vita.
Quando accennavo alla vita che deve riempire i giorni intendevo proprio ciò che tu speri avvenga.
Riempire di vita i giorni.
Concordo sul fatto che non si può fare in solitudine. Concordo sul fatto che la relazionalità dovrebbe essere posta a sistema.
Riempire i giorni di vita non significa vivere come nella seconda età, come qualcuno potrebbe intendere.
Significa continuare ad amare persone e cose, eventi e natura: vivere non essere aggrediti dalla vita divenuta sfacelo.
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Esiste comunque il cohousing che è un modo di vivere quasi queer; il tuo articolo mi è piaciuto molto e penso che si, vanno trovati nuovi modi di relazionarsi. La maggior parte delle famiglie sono piccole famiglie e con il passare degli anni diventano sempre più piccole e ci si ritrova sperduti in una realtà che non riconosciamo più .
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I Io non amo la nostalgia, mi sforzo di vivere il presente con lo sguardo fermo ma leggendo l’articolo di Annaluisa mi risulta difficile. La nostra generazione ha vissuto esperienze di socialità oggi impensabili. Il quartiere, la strada, il condominio erano mondi rassicuranti dove era difficile vivere e sentirsi soli.
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Anni fa ,durante un breve viaggio in Olanda, mi sono trovata a curiosare mentre in gruppo visitava un giardino interno…Tutt’intorno al giardino c’erano casette a pianterreno abitate da anziani chi solo chi in coppia. Mentre una signora invitava me e un’altra curiosa ad entrare, la Guida spiegava che sono case di comunità, ognuna indipendente per coppie o singoli , ma dotate di spazi comuni. Alternativa alle Rsa ed utili per evitare i disagi dell’assenza di ascensori spesso impossibili da installare per la particolare morfologia del Paese. Ho trovato molto interessante la cosa e ottimi i biscotti che la signora mi offrì.
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Grazie per i vostri commenti, Carlo Alberto, Rosamaria e anonimo, aggiungete profondità a un pensiero che da qualche tempo mi sollecita.
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Per vivere le famiglie queer o, comunque anche solo per vivere rapporti più “importanti” con vicini, coinquilini ecc…. occorre che la vita ti conceda più tempo libero e più serenità. Ma neppure basterebbe senza un cambiamento culturale. Mi chiedo se la famiglia queer prenda il posto della famiglia classica o se sia il surrogato di una famiglia che non c’è più, una sorta di ricetta contro la solitudine. Personalmente preferirei un modello sociale che permetta alle famiglie di non dissolversi… la mia per esempio si regge grazie a whatsapp avendo i figli lontani. Quanti ai vicini coinquilini, bastano le riunioni di condominio per impedire avvicinamenti. Insomma… bisogna essere “adatti” per vivere una realtà queer, é una cosa per pochi.
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Infatti, Maria. Intendo qualcosa del genere. Ma non un’alternativa all’ospizio. Un vivere di comunità che non sia segregazione dei vecchi. Ma come dice Carlo, che ci siano giorni che riempiono la vita e non il contrario.❤️
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Giustissimo e gli esempi in Italia non mancano: il record di longevità è della Sardegna dove l’anziano ha un ruolo centrale nella famiglia e nella società.
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Caro Luciano, bastasse whatsapp per lenire solitudine e dolore della lontananza. La famiglia tradizionale, che lo vogliamo o no, è dissolta o in via di esserlo e la politica ha il dovere di pensare a soluzioni che aiutino le persone, giovani o vecchi, a vivere dignitosamente e in armonia. Certo un impegno culturale forte aiuterebbe.
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Caro Luciano, bastasse whatsapp per combattere solitudine e dolore per la lontananza. La famiglia tradizionale è già disfatta o in via di disfacimento. Penso che la politica debba farsi carico di questi problemi e trovare soluzioni anche con un impegno culturale importante.
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