LE DUE VITE DI “TUMPY”
di GIORGIO LEONARDI ♦
La vita può essere così crudele da decidere di far venire al mondo una creatura con un marchio d’infamia già stampato sull’atto di nascita. Era quello che capitava alla fine dell’Ottocento ai neonati del Social Evil Hospital di St. Louis, nello stato del Missouri, lungo il fiume Mississippi. Quale fosse il “male sociale” da cui l’ospedale traeva il nome è facilmente intuibile. Chi nasceva al Social Evil Hospital era perlopiù il frutto del ventre di una donna affetta da malattie veneree, normalmente una prostituta. La struttura sorse nel 1873 proprio allo scopo di isolare lo scandaloso contagio, creando una sorta di lazzaretto, un ghetto di anime perdute. In un secondo momento venne convertita in un comune ospedale femminile, ciononostante la sua fama rimase poco onorevole. Fino al 1915, quando l’edificio venne raso al suolo. Ora, dove si ergeva la sua austera mole, si stende un ridente e ameno spazio di verde pubblico, il Sublette Park, con campi da tennis, di calcio e giochi per bambini.
Ma non sto scrivendo una guida turistica.
Il 3 giugno del 1906 un’umile lavandaia afroamericana di nome Carrie McDonald partorì una creatura tra quelle tristi pareti. Una bimba, quindi, il cui esordio nel mondo non era illuminato da una buona stella. Venne battezzata Freda Josephine ma i familiari la chiamavano più semplicemente “Tumpy”. Se la nascita non era stata un granché, l’infanzia di Tumpy fu anche peggio. A casa non c’erano soldi per il cibo, le cimici però non mancavano, e bisognava spesso dormire per terra. La piccola seguì la madre a servizio da una donna che per sbrigare faccende domestiche inadatte alla sua età le dava solo pochi spiccioli, la picchiava, la lasciava senza vestiti e le dava da mangiare nella stessa ciotola del suo cane. Poco dopo fu “ceduta” a un uomo anziano, che naturalmente la usò sessualmente. A 13 anni, nel tentativo di sfuggire a quella morsa esistenziale, Tumpy sposò un operaio metallurgico, ma il matrimonio fallì dopo pochi mesi. Carattere difficile il suo, ma sapeva cosa voleva fare nella vita: ballare. S’intrufolava nei teatri di varietà per assistere agli spettacoli, e lei stessa allestiva ovunque capitasse un palco improvvisato con alcune panche… e, con il sacro fuoco della danza nelle vene, si agitava come una forsennata per qualsiasi pubblico non pagante che la applaudiva e, al tempo stesso, rideva di lei come di un fenomeno da baraccone. Poi però iniziò a farsi strada nei teatrini di quartiere a St. Louis. Per farla breve, a 16 anni debuttò a Broadway, e iniziò da lì una carriera mondiale. Ci voleva però un nome adatto a una stella: Tumpy non andava bene, si fece chiamare Josephine Baker. In realtà non ballava solamente, ma cantava, provocava, scandalizzava. Nel 1925 agli Champs-Élysées si esibì completamente nuda, a coprirla solo qualche piuma di struzzo. Era sinuosa, selvaggia, sensuale e persino, all’occorrenza, pornografica: la quintessenza di un eros sfacciato che ostentava nei suoi balli irriverenti, dionisiaci e tribali al ritmo di “ragtime”. Offriva inoltre il suo corpo con voluttà, senza riserve, a uomini noti (come Georges Simenon o il principe ereditario Gustavo Adolfo di Svezia, dei quali fu amante) e anonimi sconosciuti. Il sesso indiscriminato era per lei una pratica abituale, priva di ogni tabù. Ciononostante era idolatrata e venerata dagli uomini di mezzo mondo. E questa fu la sua prima vita.
Poi arrivò il fatidico anno 1939: il mondo cambiava, in peggio. La follia armava gli uomini, la Guerra cadde sul Continente come una notte senza luna. Josephine aveva 32 anni, era ancora bella, ma la bellezza adesso non serviva più. La fama però sì. Quando anche la Francia, sua seconda patria, venne assoggettata alla Germania di Hitler, lei riuscì a far passare ripetutamente oltrefrontiera importanti comunicazioni della Resistenza gollista francese, nascoste tra le pagine degli spartiti musicali dei suoi spettacoli. E ogni volta sapeva di rischiare la vita. Quindi, invisa dal regime per il colore della sua pelle, andò in esilio volontario. Dal Marocco si adoperò personalmente per salvare intere famiglie ebree dai rastrellamenti.
Nell’inverno del 1944, quando Parigi venne finalmente liberata, lei era lì, senza piume di struzzo, con indosso un’uniforme militare, a prestare aiuto ai poveri tra le macerie fumanti della civiltà. E questa era la sua seconda vita. Aveva maturato una nuova coscienza dentro di sé, e forse anche una voglia di rivalsa, perché capì che lei non era solo la divina Baker, la Venere Nera dello spettacolo, ma era ancora Tumpy, la ragazza di colore dei bassifondi, figlia della sfortuna, nata tra le pareti trasudanti miseria dell’Ospedale del Male Sociale di St. Louis, nel Missouri, sulle sponde di quel Mississippi da cui esalava ancora il suono di canti di schiavi e il pulviscolo dei campi di cotone. E lì tornò a combattere le sue battaglie contro le discriminazioni razziali e per i diseredati. Ma i palchi dell’impegno sociale non erano redditizi come quelli del varietà: Tumpy esaurì in breve le sue risorse economiche e ritrovò quella povertà che aveva lasciato da ragazza. Calcò ancora le scene nel tentativo di salvare almeno la sua casa, ma il suo corpo felino era diventato il simulacro di una bellezza ormai sfiorita. Non fu sufficiente a salvarsi dai debiti, venne sfrattata e finì in strada, lei con i suoi dodici figli adottivi. Le venne in soccorso la principessa Grace di Monaco, che le offrì un tetto e la speranza di un rilancio. L’8 aprile del 1975 Josephine ha 68 anni, ma è una donna vecchia più di quanto non dica l’anagrafe. Soffre di cuore, è magra, consunta e nasconde la calvizie sotto vistose parrucche. Non è più l’oggetto del lubrico desiderio della platea maschile, però quando sale sulla scena il carisma c’è ancora. Quella dell’8 aprile sarebbe stata di nuovo la sua serata. Un teatro parigino tutto per lei, un evento celebrativo. La Baker è tornata, è un trionfo: trenta minuti ininterrotti di ovazioni al termine dello spettacolo. Allora forse adesso può ripartire, iniziare di nuovo. C’è ancora tempo, c’è una terza vita da vivere per Tumpy…
No, perché pochi giorni dopo, il 12 aprile, minata nel fisico e nell’animo, muore nella sua camera. E chi ha visto quella scena emblematica se la sarà ricordata a lungo: lei distesa esanime su un letto ricoperto di ritagli di articoli di giornale che parlano del suo ultimo spettacolo. Se fosse stato un quadro, il pittore l’avrebbe intitolato “La morte della diva”. Ma non era un quadro, era la scena conclusiva della sua penultima rappresentazione. L’ultima sarà molti anni dopo, il 30 novembre del 2021, quando il suo corpo, traslato dal piccolo cimitero di Montecarlo dove ha riposato a lungo, farà il suo ingresso trionfale nel Panthéon di Parigi, tra i grandi della storia di Francia.
Tumpy ha dimostrato che c’è un destino che è il frutto delle nostre azioni, che può innalzare la memoria di chi ha vissuto, bene o male. Anche se si è venuti al mondo con un marchio d’infamia stampato addosso, in un disgraziato giaciglio dell’Ospedale del Male Sociale, nei pressi delle tortuose sofferenti rive del Mississippi, dove ancora risuona il ricordo di canti di donne piegate dalla fatica mentre fantasmi di battelli a vapore, alimentati da uomini neri di fuliggine, solcano le sue acque limacciose.
GIORGIO LEONARDI
- in copertina The Social Evil Hospital di St. Louis
Caro Giorgio, conoscevo solo superficialmente la vita di Josephine, ora ho potuto godere di una dolce e pacata lettura, non urlata come accade sui social, quando si trattano tali temi, sfruttamento di bambine, condizione femminile, e direi anche la Resistenza e la Liberazione.
Grazie, amico, per la tua maestria nello scrivere,
qualcuno scrive libri ” a buon diritto”.
Paola
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Grazie cara Paola, te lo avevo già scritto nella chat del gruppo, lo ribadisco qui, affinché resti “agli atti”! 🙂
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Ma che meraviglia di racconto! Grazie Giorgio per aver materializzato e composto in una storia straordinaria i frammenti e i ricordi sparsi di mia madre quando parlava della mitica Josephine…. Ne ammirava, lei così pudica e devota, proprio le coraggiose e disinibite esibizioni. Istintivamente sentiva che combatteva per un riscatto non solo personale, ma di genere. Mio padre ne cantava in francese i pezzi più noti. Leggerti in questa mattina di Pasquetta sorseggiando il primo caffè è stata una delizia! 👏❤️
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Commovente narrazione della storia, ai più ignota di una grande artista.
Grazie !
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Grazie a te per la lettura e il commento. Davvero una vita degna di essere raccontata, quella di Tumpy-Josephine!
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Ma che meraviglia di racconto! Grazie Giorgio per aver materializzato e composto in una storia straordinaria i frammenti e i ricordi sparsi di mia madre quando parlava della mitica Josephine…. Ne ammirava, lei così pudica e devota, proprio le coraggiose e disinibite esibizioni. Istintivamente sentiva che combatteva per un riscatto non solo personale, ma di genere. Mio padre ne cantava in francese i pezzi più noti. Leggerti in questa mattina di Pasquetta sorseggiando il primo caffè è stata una delizia! 👏❤️
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Grazie a te, Caterina, per il tuo apprezzamento! Tutte le esibizioni della Baker erano mosse (magari anche solo inconsciamente) dal suo essere “Tumpy”, la ragazza dei bassifondi neri, e dal sentimento profondo di riscatto/rivalsa che albergava dentro. Sarebbe stato troppo lungo da raccontare per intero ma Josephine fu anche una ragazza molto capricciosa, che ostentava lussi e stravaganze, spendendo cifre astronomiche per la sua vanità, cosa che la rese un personaggio fuori dalle righe. Ma proprio per questo, l’aspetto più significativo della sua storia è che, al momento giusto, nonostante il raggiungimento dell’Olimpo, all’apice della sua folgorante carriera, scelse la strada più scomoda, ricordandosi chi era e da dove veniva… e abbia messo la sua fama al servizio degli altri e delle cause in cui credeva, anche a discapito della popolarità, pagandone le conseguenze. E, come spesso accade in casi simili, il riconoscimento avviene post-mortem. Però il privilegio di riposare nel Panthéon di Parigi non viene davvero concesso a molti! 😉
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