SALUTI & BACI, SILVIO. CON AFFETTO E GRATITUDINE
di CLAUDIO GALIANI ♦
Ce l’ho davanti agli occhi, Silvio.
L’aspetto mite, lo sguardo sornione, il flusso pacato del discorso, il gesto flemmatico.
Un quadro rassicurante, ancor più quando custodiva tra le dita il suo toscano, passione condivisa con un amico di altri tempi, il Console Henry Beyle, in arte Stendhal.
Aveva l’aria di un gentiluomo della petite ville, Silvio.
Ma attenti a non mettergli in mano una penna.
Poteva farne un pennello o usarla come un rasoio affilato.
Lo testimoniano le sue perle di scrittura incastonate in questo Blog.
Basti un esempio: lo scrupolo e la serietà accademica con cui arava il campo della storia.
Ma si divertiva a trattarla anche in modo irriverente, costruendo scene d’autore in cui l’uso sanguigno del dialetto tramutava personaggi illustri in attori di una commedia popolare.
Saltellando allegramente tra storia e cronaca, infilzava vizi e difetti.
Si poteva permettere questi giochi, per la conoscenza millimetrica che aveva della petite ville, degli umori della sua gente.
Silvio aveva un legame simbiotico con la città, madre o matrigna che fosse.
Per tutta la vita l’ha esplorata in lungo e in largo; e per coglierne lo spirito profondo ha deciso di attraversarla nel tempo.
Insegnante di professione, giornalista non per mestiere, ma per vocazione.
Era il suo modo di stare in mezzo ai fatti, di partecipare e testimoniare, di usare la cultura come strumento critico e leva di cambiamento.
È stato partecipe dei miti e delle suggestioni della nostra generazione, ma per come ricordo non apprezzava l’eccitazione volatile di molti, slittati dalla sbornia rivoluzionaria all’abile mimetismo politico, quando non alla confessione penitenziale.
Ha conservato con sobria fermezza le sue convinzioni, anche quando l’esperienza storica le ha messe seriamente alla prova.
Rileggere i suoi articoli su Paese Sera e sull’Unità, a cavallo degli anni “80 e “90, ci riporta a tanti momenti chiave della storia cittadina, alle lotte sociali per lo sviluppo, all’emergere della questione ambientale.
Ma fondamentale è stata l’esperienza di TRC.
Una cosa percepimmo presto, all’inizio degli anni ’80, quando ci tuffammo in quell’avventura comune, poveri di risorse ma ricchi di idee e di buona volontà.
Il mezzo televisivo non forniva solo un motore più potente alla comunicazione, consentiva soprattutto di rovesciarne il senso.
La sua organizzazione produttiva faceva dell’atto culturale un’impresa collettiva, basata sulla cooperazione tra le funzioni e sullo scambio delle competenze.
L’ occhio mobile della telecamera, poi, offriva la possibilità di immergersi nel brodo sociale con una pluralità di punti di vista, con uno scambio reticolare di esperienze umane.
Non si limitava a descrivere la realtà, ma le offriva la possibilità di autorappresentarsi.
Si pensi alla sua rubrica Album, allo spazio messo a disposizione di tanti cittadini e gruppi, a cui offriva volto e voce, portando in superficie i tanti fili che compongono la trama sociale.
Era uno stimolo alla crescita del sentimento democratico, della partecipazione comunitaria.
Quell’ esperienza ha maturato il profilo intellettuale di Silvio, l’ha spinto ad affrontare con nuova sensibilità il problema dell’identità e della memoria sociale.
L’immenso materiale raccolto in decenni di produzione televisiva offriva l’ inedita possibilità di conservare le testimonianze di un’epoca, la sua memoria viva.
Di qui la corsa affannosa contro il tempo, l’appello a salvare un patrimonio destinato al deperimento, ordinarlo, metterlo a disposizione.
In parte c’è riuscito, ma non ci rendiamo conto di quanto forse si è dissipato, secondo le abitudini di una città smemorata per disgrazia o per attitudine.
Silvio nutriva un’idea estesa, insieme antica e moderna, di memoria.
Forse si potrebbe riempire un museo con gli oggetti da lui raccolti, complice la sua compagna di vita Elena: cartoline d’epoca, mappe, foto, illustrazioni, filmati, documenti, pezzi artigianali e chissà quant’altro.
Di recente si stava pensando a un progetto di museo cittadino del cinema.
Si presentò con un elenco lunghissimo di tutti i film contenenti scene girate in città, che con pazienza certosina aveva scovato in tanti archivi pubblici e privati.
In questo si poteva quasi scorgere un’ombra di feticismo, ne era consapevole.
Invece era coscienza della dimensione materiale della cultura, della sua circolarità, del suo carattere popolare.
Per questo è stato promotore e attivo protagonista di tante associazioni, come la Società Storica.
Per questo mi viene da definirlo un intellettuale molecolare.
Le sue ricerche storiche sono coerenti con il suo profilo: che parli delle lotte dei portuali, dei battelli a vapore o di Stendhal, al centro di tutto resta la città, la voglia di sezionarla in tutte le sue parti come un corpo vivente, di confrontarla nelle varie epoche.
A questo è finalizzato anche lo stupendo corredo visivo e grafico delle sue pubblicazioni, non cornice, ma parte essenziale del testo.
Silvio si sentiva erede di un filone nobile della tradizione culturale cittadina, con in testa alcuni personaggi: Donato Bucci, Pietro Manzi, Fernando Barbaranelli.
Tutti impegnati nel loro presente, ma attenti alla salvaguardia della memoria.
Sintesi alta di questo rapporto è stata la ripresa degli studi stendhaliani, operazione di valore assoluto che ha concluso il ciclo iniziato da Calisse negli anni “20 e aggiornato da Barbaranelli negli anni “60.
Lo ha fatto à la Silvio, ricorrendo sia alla scrittura che allo strumento audiovisivo.
Nella sua visione è la città a occupare il primo piano nel rapporto con il grande scrittore, costretto a cedere il posto al console, ai suoi resoconti sui traffici portuali.
Beyle, non Stendhal, diviene il testimone di una fase speciale della storia cittadina: l’esplosione del fenomeno dei battelli a vapore, la rivoluzione economica e sociale che essa attiva.
La città, non attrezzata a sfruttare quella congiuntura, perde l’ennesima occasione di un salto definitivo di qualità.
Ma tra le righe del racconto si insinua la domanda nostalgica su un’altra occasione svanita. Se fosse stato lo scrittore Stendhal, non il console Beyle, a parlarci da par suo della città? Se invece di crogiolarsi nella noia si fosse dedicato a sviluppare il Pardo, promettente bozza di romanzo ambientata nel piccolo borgo? Il mondo parlerebbe oggi della Civitavecchia di Pardo invece che della Parma di Fabrizio?
È vietato allo storico porsi certe domande, ma al letterato è consentito sognare.
Chapeau, Silvio. Intelligenza, passione, rigore, ironia.
Saluti e baci. Questa volta la città saprà ricordare.
CLAUDIO GALIANI
https://spazioliberoblog.com/tag/serangeli/page/4/