I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI ♦

Capitolo 16: Il mediterraneo, dalle colonne d’Ercole al mar Nero diventa un lago greco.

Per quattro secoli il modello polis consentirà alla Grecia di primeggiare nel Mediterraneo.

Abbiamo detto che tutte le città, indipendentemente dalla forma di governo, sono organizzate in polis, ma nessuna raggiungerà le vette raggiunte da Atene.

Atene disciplina il corso delle acque, ma adorna la città con capolavori di architettura e scultura che sfideranno i secoli e i millenni; Atene sarà maestra nella costruzione delle strade, ma i suoi poeti si segnaleranno per le loro opere e rimarranno immortali.

Lo dico per la seconda volta, ma i tifosi, si sa, fanno così. Non voglio, però, anticipare il finale della mia modesta storia, che ha il solo pregio di essere stata ispirata da una sconfinata ammirazione e gratitudine per quello che i greci hanno fatto e ci hanno donato.

Ci torneremo, tra poco, ora lasciamoci guidare dal decorso dei secoli.

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Tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI a.C. in Grecia irrompono prepotentemente la scienza, la filosofia, nuovi generi letterari. Le fortune della scienza e della cultura sono legate al miglioramento delle condizioni di vita e alla ricchezza, che arriva grazie alle prime forme di specializzazione della produzione, alle esportazioni ed ai commerci, e raggiunge, nei suoi rivoli, anche ceti modesti.

Allo sviluppo e alla ricchezza contribuisce la seconda, riuscita, colonizzazione, definizione impropria poiché i greci non occupano terreni con le armi, ma scelgono tra le estensioni sterminate le aree più adatte ad essere sfruttate per l’agricoltura. Certo quei territori immensi, specie quelli orientali, appartengono a Re e satrapi, ma in genere questi neppure se ne accorgono o, quando se ne accorgono si accontentano di modesti balzelli. In ogni caso i greci sono pronti a difendersi.

Sono passati quattro secoli dalla prima esperienza e le poleis sono padrone del mare, hanno navi potenti che governano con maestria, sono grandi e possono trasportare grossi carichi.

L’espansione si dirige verso l’Asia Minore, il Mar Nero e questa volta si volge anche verso occidente. La Sicilia, le coste italiane, francesi, spagnole e africane.

Siracusa diventerà una città fiorente, tanto forte e ricca da poter fondare a sua volta altre colonie, come saprà fare sulle coste francesi Marsiglia, che si spingerà fino alla Spagna dei nostri giorni.

Poco a poco le coste italiane e dalmate, dal tirreno all’adriatico, saranno colonizzate dai greci, che arriveranno in Africa, nella Cirenaica. Fino al IV secolo il Mediterraneo sarà un mare ellenico, nel senso che ogni polis avrà la sua colonia e una formidabile flotta mercantile.

Come spiegare quel successo, davvero straordinario?

I fondamentali sono gli stessi, una lingua, una religione, legami di ferro con la polis d’origine.

Questa volta, però, i coloni sono diversi, non più guerrieri senza arte né parte, ma agricoltori esperti che trovano terreni che in patria si sognavano, tecnici idraulici, operai e capomastri che vengono dalle stirpi che hanno costruito l’Acropoli e le mura di Sparta, marinai che hanno solcato tutti i mari.

Ecco parte del segreto della crescita economica e dello sviluppo culturale della Grecia.

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Contemporaneamente i cantastorie avranno un’evoluzione.

Da secoli sono amati da tutto il popolo senza distinzioni di classi, età, sesso.

Anche nei villaggi più inaccessibili li aspettano con ansia. Sanno che verranno e quando arrivano li accolgono con gioia.

Qualcosa, però, sta cambiando.

Personalmente non credo che i cantastorie, camminatori eroici e instancabili, frequentatori di città e di villaggi sperduti tra le montagne, protagonisti delle feste dedicate agli Dèi, specie a Dioniso, si siano fermati, solo che alcuni sono poeti già affermati, cantano storie antiche, ma anche opere originali che essi stessi hanno composto, li chiameranno aedi. Altri contano solo storie di altri, ma lo fanno così bene da aver conquistato la fama, li chiameranno rapsodi.

Grazie anche alla ricchezza sempre più diffusa si creano piccole e sempre più numerose famiglie aristocratiche, che ospitano stabilmente aedi e rapsodi, liberandoli dalla fatica di girare in lungo e in largo la Grecia per procurarsi da vivere.

Si tratta di aristocrazia del denaro e del commercio, ma in genere è composta da gente colta, che non vuole ostentare la ricchezza mettendo in mostra il poeta di moda, ha sentito e conosce i poemi di Omero e di Esiodo, di molti altri che purtroppo il tempo ha cancellato, è felice di raccogliere intorno a sé categorie diverse, anche gente modesta, funzionando da moltiplicatore della cultura.

Restano i cantastorie a girare la Grecia e le feste dionisiache. Amati da tutti.

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Tra gli uomini del VII secolo la palma spetta a Talete, filosofo, matematico, astronomo; Aristotele lo considera il primo greco che abbia incontrato la filosofia.

All’epoca, a dimostrazione della passione che avevano per le arti e la sapienza, i greci raccoglievano in diverse occasioni i nomi degli artisti, filosofi, scienziati più in vista per scegliere i sette uomini più saggi della Grecia. Non sappiamo quante liste venissero compilate, non sappiamo da quali ambienti venissero, ma la cosa straordinaria è che Talete fosse sempre il primo di ogni lista.

È probabile che i cantastorie narrassero su Talete cose serie, come i consigli che dava ai re, e alle personalità più importanti dell’epoca, e cose divertenti. Un aneddoto è giunto fino a noi. Di notte, come al solito, Talete camminava per le campagne per studiare, occhi al cielo, le stelle e … cadde in un pozzo, per fortuna senza conseguenze. Credo che quell’episodio per i cantastorie sia stato una manna.

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Un altro uomo straordinario, Esopo, inventa un nuovo genere letterario, la favolistica. Innumerevoli le favole composte, cantate da lui e dai cantastorie. Per questi ultimi erano il soggetto ideale.

Relativamente brevi, le favole attraevano i bambini, ma erano amate da tutti. Attraverso la natura, gli animali, le acque, le piante cantava il mondo degli uomini con i loro pregi, pochi, e i loro difetti troppi, la loro astuzia, la loro vigliaccheria, la loro generosità, la loro avarizia.

Ogni favola aveva una morale immediatamente percepibile, tante piccole perle di saggezza, insegnamenti che sarebbero rimasti, anche ai bambini, che ascoltavano le favole a bocca aperta e con il sorriso sulle labbra.

Piccoli capolavori, che si leggono ancora ai nostri giorni.

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A stupire, tuttavia, è la poesia lirica. Tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI poeti finissimi aprono strade mai battute.

Gli eroi, gli uomini d’arme, le guerre, le rivalità, le vendette sanguinose lasciano il posto ai giorni e alle ore della gente comune, le gesta esemplari lasciano il posto alle passioni, all’intimità, all’amore.

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Il primo e tra i più grandi poeti greci di ogni tempo è Archiloco, uomo sanguigno, insieme guerriero e poeta giambico capace di tenerezze e di grandi e violente passioni, divideva i suoi favori tra le donne e le armi. La sua poesia è alimentata da una vita avventurosa, probabilmente sregolata, nessuno prima di lui aveva messo al centro della sua poetica sé stesso, l’amore di cui parla è quello che ha fatto un attimo prima, per la donna che gli viene negata è pronta l’invettiva, gli avversari sono aggrediti dai suoi versi. A volte sembra anticipare Orazio e il carpe diem, prendi l’attimo, goditi la vita, poi però un attimo dopo riprende animo, incita il proprio cuore a superare le avversità, capisce che i sentimenti di gioia o di dolore debbono essere temperati.

La tecnica di Archiloco è stupefacente. Non si sa chi sia stato il suo maestro e dove abbia imparato.

Gli studiosi ci dicono che parlava il dialetto ionico e che, come Omero ed Esiodo, era nelle cetre dei cantastorie, che ne apprezzavano la versatilità, capaci di rendere lievi i suoi versi con la musica, di comporre favole un secolo prima di Esopo, di sperimentare tecniche e schemi originali.

Pochi decenni dopo arriveranno Alceo e Saffo entrambi di Lesbo, e chissà quanti altri di cui si è persa memoria.

Di essi sono rimasti pochi frammenti, anche se la storia ci dice che nella Biblioteca di Alessandria avevano raccolto in libri, rotoli, le opere dell’uno e dell’altra.

Del resto, i romani, specie i poeti, li conoscevano e grazie a loro ne abbiamo un’idea più precisa.

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Alceo è un uomo pieno di interessi, alterna la poesia alla politica.

Viene da una famiglia nobile. Di natura passionale, la politica gli procurerà gioie e dolori, tra cui l’esilio, ma il suo talento poetico finirà per garantirgli un porto sicuro. Sarà tra i preferiti delle famiglie più in vista di Lesbo, principalmente a Mitilene, al tempo tra le città più importanti dell’antica Grecia, snodo di traffici verso oriente.

La sua tecnica è sopraffina, le sue storie esaltano l’amore e gli intrighi, mentre con gli anni si fa strada una delicatissima vena di rimpianto e nostalgia.

È amato da Orazio e questo è un passaporto per l’immortalità.

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Saffo con i soli frammenti che sono rimasti potrebbe rivaleggiare per la palma di poeta più grande di tutti i tempi.

Scrive Werner Jaeger[1]: “L’arte suprema di Saffo sta nella sobrietà. Spoglia di sentimentalità come è il canto popolare, e nella immediata verità sensuale dell’interiorità rappresentata. Dove troviamo nell’arte occidentale, giù giù fino a Goethe qualcosa di paragonabile?” Pensate, Goethe!

[1] Paideia, Firenze 2018

Il giudizio finale non può che essere condiviso, ma dubito che quello di Saffo possa essere definito canto popolare. Saffo è una donna dell’aristocrazia colta di Lesbo.

Nasce a Ereso da una famiglia nobile, che i contrasti con il volubile potere politico costringono all’esilio in Sicilia, forse a Siracusa. Tornata alla sua isola, nella città dove è nata le viene affidata la direzione di un «tìaso», una scuola femminile potremmo dire, ma sarebbe solo una semplificazione.

Il «tìaso» è molto, ma molto di più. All’epoca in Grecia ce ne sono tanti e rimarranno per secoli, ma solo quello di Ereso è diretto da Saffo ed ha un’altra particolarità: è dedicato ad Afrodite, dea della bellezza, ed è sotto la protezione delle Muse.

Un po’ scuola un po’ tempio, dove si forma la complessa paideia in preparazione del matrimonio delle fanciulle delle famiglie più in vista di un’isola già all’avanguardia nella cultura e nel commercio.

Le ragazze vengono educate alla poesia, al canto, all’uso degli strumenti musicali, alla grazia e all’eleganza del portamento e dei modi. Nessuna fanciulla nella Grecia antica e fino ai nostri giorni in qualsiasi altra parte del mondo ha avuto una educatrice anche lontanamente paragonabile a Saffo.

La vita nel tìaso è simbiotica.

Le ragazze vivono insieme, cantano e danzano insieme, compongono carmi l’una per l’altra e la stessa simbiosi coinvolge l’educatrice, che ama le sue protette e ne è gelosa, ne è riamata e talvolta respinta, ma tutte intuiscono che non c’è donna in Grecia che stia loro alla pari.

In quella comunità non c’è spazio per sentimenti mediocri o soltanto scialbi. Invidia, egoismo, ipocrisia non vi hanno cittadinanza: se solo si affacciano, anche timidamente, da lontano, basta che Saffo levi il suo canto per dissolverli.

Logico che in queste comunità si sviluppino sentimenti fortissimi, fino all’omoerotismo, tra le allieve e tra esse e l’educatrice, ma questo in qualche modo è previsto, appartiene alla cultura greca.

Le esperienze omoerotiche, fino all’omosessualità, sono considerate propizie per la donna che si appresta con il matrimonio a una vita eterosessuale. Fanno parte della sua formazione e non occorre che l’amore si consumi con un rapporto carnale, quel che conta è vivere spiritualmente l’esperienza.

Parlare della poetica e della tecnica lirica di Saffo sarebbe velleitario.

In un paese maschilista, come la Grecia del tempo, alle donne non è proibito comporre carmi, odi, forse per l’influenza che hanno avuto i cantastorie. Donne, uomini e bambini li hanno sentiti narrare le storie più straordinarie mai accadute ed è naturale che tutti anche le donne le ripetessero e a volte provassero ad imitarle. Purtroppo, di altre donne non è rimasta memoria, per Saffo, invece, sono bastati pochi frammenti per consegnarla all’eternità.

Saffo non canta per le folle, non gira a piedi nudi per la Grecia per cantare le sue poesie, il suo uditorio è esclusivo, le fanciulle che l’ascoltano sono raffinate o almeno lo sono diventate dopo essere state a contatto con il genio universale dell’educatrice.

Non era esclusiva, però, la diffusione delle sue poesie. In Grecia, Solone disse di voler ascoltare un canto di Saffo per poi morire. Platone annunciò che con Saffo il numero delle Muse era cambiato, non più nove, ma dieci. Gli alessandrini raccolsero in dieci libri tutta la sua opera.

Nel mondo romano l’ammirazione per la poetessa di Lesbo è smisurata. Per farle omaggio Lucrezio adotta la sua tecnica in alcune delle proprie opere. Catullo, Orazio ne fanno una Dea, ma soprattutto Ovidio è sopraffatto dall’amore più eterno e universale mai cantato.

In tempi di moralismo Saffo è addirittura oscurata, censurata. Ci penserà Giacomo Leopardi a restituirle il posto che le spetta. Ne seguiranno innumerevoli altri, tra cui Charles Baudelaire, che pure quando pubblicò Les fleurs du mal si trovò in difficoltà per inserire la parte dedicata a Saffo, Gabriele D’Annunzio. Ormai studi e saggi dedicati a Saffo non si contano più.

EZIO CALDERAI                                                                     (CONTINUA)

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