IL SOLE NERO
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Vivere male.
Vivere male nel disagio d’aver poco, nel demerito della società, nel degrado dello spazio. Vivere male, perché l’impietoso compagno dell’esistenza non ti concede tregua.
Di converso, privilegio di pochi intelletti era, un tempo, non il vivere male ma il “mal di vivere”. Contaminato dall’umor nero il genio d’arte soffriva non del disagio del vivere una vita sgradevole ma del languore, del tedio, dell’accidia della “bile nera”. Melanconia: misura, vanto, e privilegio degli eletti dal momento che tutte le loro opere immortali dovevano il loro essere al taedium vitae.
Ma questo è il passato, sia prossimo che remoto. Oggi nulla di tutto ciò s’avverte.
Persiste il disagio causato dal vivere male acuito dalla globalizzazione. Ma, svanita è del tutto è la genìa dei nati sotto il segno di Saturno. La tecnologia, la frenesia del quotidiano, l’economicismo dilagante da tempo hanno presentato alla riscossione il loro amaro conto. Al mal di vivere di una ristretta aristocrazia intellettuale si è sostituita una forma “pan-demica” che converte i predicati saturnini del languore, del tedio, dell’accidia, dello spleen in corrispondenti modulazioni fisiologiche: la pesantezza del cuore, lo scoramento, il torpore, l’inerte trascorrere del tempo, l’apatia. La malinconia come “stato d’animo”, lo Stimmung, viene sostituita dalla malinconia come “malattia”. Semplicemente una triste stella che riesce con morbosa esaltazione a tingere il sole di nero, comprimendo i demoni all’interno dell’animo. Nessuna genialità, solo ripiegamento su se stessi. Il Rinascimento è lontanissimo.
Tragico castigo, questo, per il marketing dominate che vede il suo obiettivo primario compromettersi poiché in luogo di disporre di “imbecilli felici” si trova ad aver tra le mani depressi e pessimisti che disgregano il fronte consumistico sempre animato da una incessante azione pubblicitaria che pretende solo sorrisi e voglia frenetica di vivere alla moda e desiderio infinito. Ma, ecco che, subitaneo, si fa avanti il rimedio: trasformare in business l’avversa costellazione sicché, di colpo, la nemica potenziale viene, la meschina, trasformata in una ghiotta occasione di vendita di antidepressivi (happy pills, ormoni della felicità!). Si cura con merce, solo e soltanto con merce, ciò che dovrebbe esser curato anche con il sociale. Meglio ebeti ghiotti di felicità che demoni depressi!
La società produce il male che potrebbe esserle di ostacolo ma, con l’estrema scaltrezza della sua razionalità, lo converte al suo dominio.
Una analisi poco rispettosa del male depressivo?
Nessuno vuol porre in dubbio il fatto che gli anti- depressivi siano essenziali per la rimozione delle cause seconde. Ciò che si vuol dire è semplicemente il fatto che essi non scalfiscono minimamente le cause prime che in taluni casi sono determinanti ed in altri si pongono come fattori di rafforzamento dei malesseri soggettivi.
In verità, come società avremmo bisogno non d’esser felici consumando ma d’esser consapevoli agendo. Agendo con le scelte che facciamo, scelte non di prodotti ma scelte dei livelli di democrazia e di civiltà necessari al sistema. E le vicende politiche attuali sono l’ esempio oltremodo evidente.
La depressione è certo un drammatico problema soggettivo, sintomatologico, legato alle vicende dei singoli .Depressione come realtà clinica, come Gestalt clinica. Ma, come già detto, sussiste anche una dimensione sociale, legata ai ritmi di vita, alle relazionalità, agli ideali posti in essere dalla comunità . In una parola, al mondo-della-vita , il lebenswelt della psichiatria fenomenologia. In una società disincantata come la nostra dove” gli antichi dei sono fuggiti, i nuovi devono arrivare”, dove molti sono i valori posti in discussione, la depressione non può che trovare terreno fertilissimo. Il legame fra depressione e senso della vita è molto più forte di quanto si creda.
Il demone che, vittorioso, ha infisso la sua cupa insegna nel profondo dell’animo, sfugge al controllo dell’osservatore esterno e rende capace colui che lo ospita di simulare abilmente tranquillità ed operosità, laddove esiste solo resa incondizionata al presente e perdita di slancio verso il futuro. “Non ci sono progetti, non ci sono attese in questo tempo che striscia lentamente e faticosamente e che non è se non una successione monotona e scontata di ore che passano senza lasciar traccia nella interiorità” .
In tale stato ogni introspezione esterna sembra destinata a fallire. Il demone si sottrae e “l’ora non ha più sorelle”. Un impietoso presente allungato che erode come un tarlo il futuro.
E, tuttavia, non sempre le ferite del demone sono il male assoluto.
Il mal di vivere, a volte, potrebbe rivelarsi come la sola ragione per vivere.
Ma…….. il più delle volte, quel demone non riesce ad uscire, non può, non vuole.
La sua voce penetrante diviene allora insopportabile e la risposta dell’ospitante raggiunge il vertice della disperazione e la fine sopraggiunge inquietante: “ Perché mi stai chiamando in modo così assillante? Calmati, sto arrivando…”
. . .
Alla memoria di Bruno.
(citazioni da Borgna, Minois, Kristeva)
CARLO ALBERTO FALZETTI
Carlo, il tuo è un contributo che tocca, è il caso di dirlo, nervi sensibili, almeno per me. Aggiungo a quanto hai detto una riflessione sulla Psichiatria. Questa specialità è quella più ancorata e quindi più condizionata dai mutamenti della società. La Psichiatria attraversa una fase di evidente crisi di identità, legata a mio avviso alla distanza sempre maggiore che la separa dall’approccio jaspersiano e all’abbraccio mortale con le esigenze di una società neoliberista che guarda all’efficienza piuttosto che al benessere psichico dell’individuo. L’abuso farmacologico quale scelta che sostituisce il rapporto con il paziente, entità unica, non incasellabile in etichette diagnostiche anonime ne è l’esempio forse più clamoroso.
Enrico
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Caro Carlo.
Trovo prezioso e vero fino alla crudezza il tuo contributo…Per restare nell’ambito in cui fino a pochi mesi fa ho lavorato ( vissuto), ho assistito alla melancolia che pian piano ha avvolto giovani studenti, sempre più numerosi, sempre più inavvertitamente. Un ladro di notte , silente ed impietoso. Il covid si è detto, era fin troppo facile addossare al virus ( una panacea al contrario) ogni responsabilità. Io credo che il covid sia una concausa non LA causa. Il covid ha forse accelerato ciò che per molti era in nuce: il ritiro dalla vita reale, agita , in cambio del virtuale- non virtuoso, passami il fin troppo facile calambour.
E subito la ricetta: lo psicologo a Scuola, che ogni Scuola se ne doti. Per carità, è lodevole tentare di trovare una formula di aiuto,ma…Già: ma…Se non si prova a ridare senso alle “cose”, alla vita, a ridare un “nome” ( nomina nuda tenemus…) ai sentimenti, all’agire, agli interessi, alle relazioni vere, cosa può fare uno psicologo alla cui porta accedere durante l’ora di storia, di matematica, di latino…? Ho visto e so di genitori che , di fronte all’insuccesso scolastico, hanno tirato in causa il covid esibendo certificazioni che davano come certo il rapporto causa-effetto. Ma c’è qualcosa di più lubrico e meno certo del “male oscuro”?
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Sarà banale.. ma “Platone é meglio del Prozac”
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Enrico, Maria, Paola non avrei mai scritto sul tema che consideravo piacevole in quanto argomento dotto dell’iconologia della scuola di Warburg e del neoplatonismo fiorentino.
L’evento di Bruno Astorre mi ha sconvolto. La convivenza nella stessa persona di due nature m’era sempre apparsa nella sua luce teologica riferita a Nostro Signore. Qui si tratta di due nature umane in conflitto che lottano per distruggere la persona. Bruno era un politico di nascita avvezzo alla lotta dura, sfacciata, disincantata. Governare il PD romano significa essere d’una certa pasta ( come certo vale per gli altri Partiti). Tutto si può dire fuorchè timore e tremore, categorie che non possono sopravvivere nell’agone politico.
Eppure il male oscuro sussiste coesistendo con la tracotanza.
Cupio dissolvi glaciale, risoluto, implacabile.
Telefonare agli amici, sbrigare esiti di normale quotidianeita, esibire tranquillità, avvolgersi di una nube che nulla o poco lascia emergere all’esterno.
Poi, ubbidire senza alcuna pietà al demone. Non in un luogo privato, celato all’altro, un luogo umbratile ove consumare l’atto più soggettivo.
Ma un luogo pubblico, in una giornata banale, senza una ragione immediata.
Quando gli Dei decisero di celare qualcosa che non doveva essere trovata rifiutarono gli abissi, rifiutarono le vette, rifiutarono i deserti e le selve. Era l’animo dell’uomo il luogo dove mai si poteva cercare e trovare.
Questo terrorizza.
Sede del fondo dell’anima dove la mistica pone Dio. Ma anche sede dove regna il nemico di Dio.Il conflitto cosmico tra il Bene ed il Male si svolge in questo luogo.
Ecco perchè conoscere noi stessi è la prova più difficile, quasi impossibile. Noi moriremo avendo conosciuto poco o tanto del mondo ma su un’aspetto della vita saremo rimproverati perchè negligenti nel conoscere.
Per tutta la vita si convive con un estraneo.A volte i sogni tentano di far emergere l’estraneo ma noi non riusciamo a capire. A volte qualcuno ci indica l’estraneo che è in noi ma noi non riusciamo a percepire.
Sfondare lo spessore compatto dell’io per entrare nel grande castello della interiorità è l’impresa che rifiutiamo più di tutte.
Forse perchè ci terrorizza. Forse perchè non siamo attrezzati. Forse perchè dovremmo aver incontrato il Virgilio della situazione. Meglio, allora, ubriacarsi di quotidianeità, stordirci con l’esterno, vegetare in tranquillità.
Ultima amara considerazione a mò di confessione: tutte queste considerazioni provengono dal leggere, non una è il risultato di un colloquio con il profondo di me stesso.
Purtroppo.
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La conoscenza di sé è l’incontro più difficile da realizzare, probabilmente impossibile.
“Conosci te stesso”…una conoscenza da far “tremar le vene e i polsi”.
Credo che lo “specchio” sia uno dei luoghi simbolici della mente più inquietanti ed affascinanti al tempo stesso.
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Vero, Carlo. Dodds , che ha letto Plotino in modo psicologico, rileva parallelismi tra la psiche anima di Plotino e la moderna psicologia del profondo. Ed è neoplatonica l’ idea espressa mediante la figura di Proteo, l’ immagine più usata nel Rinascimento per rappresentare la natura dell’uomo. Proteo era l’ eterno fluire della psiche, mai cristallizzata in una immagine.
E’ la duale immagine che lascia Bruno ( ma anche mio zio, tanti anni fa).
Ficino e Paracelso osservavano le stelle: Bruno entusiasta, naturalmente espansivo, forse indulgeva alle ambizioni, con buon senso e sagacia. Bruno con grande senso civico e altruismo si metteva alla pari con i commensali alle cene sociali. Ma come Proteo si trasformava in una natura incline all’ autodistruzione. Gioviale ( Giove),è stato trascinato via da Saturno, con la diminuzione dell’ interesse per la vita.
La prodigalità e la gaiezza possono nascondere l’ autodistruzione ( lo dico per esperienza).
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