Per non dimenticare

di ENRICO IENGO ♦

E’ notte, quaggiù nella stiva il buio è fitto e riempie l’ambiente. Si intravvedono solo occhi, occhi di paura,  di disperazione.  L’odore forte di vomito, di urina e di feci è qualcosa al quale alla fine ci si abitua. Non ci si abitua al pianto dei bambini, continuo, incessante, col passare del tempo più flebile, interrotto qua e là da rigurgiti acidi, senza sostanza.

Il mio vicino, col quale condivido una coperta stracciata, sta pregando, come tanti altri. Lo sento dire: “Dio degli Ebrei, dei Cristiani, degli Islamici, perché tutta questa sofferenza? Cosa c’è di umano in questa vita? Perfino Giobbe avrebbe dubitato della tua Giustizia!”

Anche lui come tanti di noi è fuggito da casa. Inseguito dai bombardamenti, dalla fame, da una esistenza senza vita. Chiede semplicemente questo: vivere con dignità perché senza questa è inutile vivere.

Chissà se ci capiranno. Se capiranno che la disperazione porta perfino a correre il rischio di morire insieme ai nostri cari, perché non c’è alternativa, perché una vita o vale la pena di essere vissuta o non è vita: è solo una morte anticipata alla quale assistiamo inermi.

Sono giorni che siamo stipati in tanti, senza aria, il puzzo dei materiali organici si confonde con quello, altrettanto acre, della nafta. Si esce a gruppetti per pochi minuti di aria fredda e poi si scende giù nell’inferno. Già l’inferno, il Jahannam: possibile che sia peggiore di questo? Nessuno di noi aveva previsto che lo avremo incontrato in vita, con tre demoni armati di bastone e pistola.

Il mare si sta facendo sempre più grosso, ad ogni onda tutti noi sussultiamo, accompagnando il salire e scendere della barca a sospiri e lamenti; qualcuno piange, sommessamente, singhiozzando, nel vano tentativo di nascondere i propri sentimenti.

Sopra si sente l’urlo del vento, mescolato al fragore delle onde che si abbattono sul legno fragile e alle grida, alle bestemmie dei marinai.

Stringo forte con le mie mani mia moglie che piange e accarezzo il mio bambino che dorme di un sonno innaturale, fatto di spossatezza, di fame e di sete.

Qualcuno grida: “La costa è vicina. Coraggio! Ce l’abbiamo fatta.”

Ma il movimento oscillatorio della nave aumenta, accompagnato da sinistri cigolli del legno; sta entrando acqua nella stiva, siamo tutti bagnati, infreddoliti e disperati. Il pianto degli adulti si accompagna a quello dei bambini, quasi seguendo lo spartito di un concerto surreale.

Le preghiere si alzano con più vigore, in competizione con le urla di terrore.

“Calma!” qualcuno grida. “Ci verranno a prendere, ci salveranno. Siamo in Europa, la culla della civiltà, dei diritti: primo fra tutti il diritto alla vita”. “E’ vero!” risponde un altro “Come faranno a permettere che una barca piena di donne e bambini possa affondare. L’opinione pubblica non lo consentirebbe!”

Siamo in Europa, La terra dove è nata la democrazia, dove gli uomini sono tutti uguali, senza distinzione  di razza, di credo e di genere. E una vita è una vita, qualcosa che va tutelata  e rispettata. La barbarie che ci siamo lasciati dietro non è di questi luoghi. Ci salveranno. In democrazia la vita è sacra. E’ per questo che siamo qui, è per questo che abbiamo fatto il viaggio della disperazione, ma anche della speranza. Basta aspettare. Non c’è dubbio verranno a salvarci, altrimenti affogherà con noi una storia secolare fatta di conquiste di diritti, di libertà e di principi umanitari, primo fra tutti la solidarietà.

Intanto arriva un’onda più grande, spaventosa: la barca si piega su un fianco, i bambini smettono di piangere, gli adulti di pregare. Ormai è inutile pregare. L’Europa ci ha osservato da lassù e, come un Dio ingiusto, si è voltata dall’altra parte.

ENRICO IENGO

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