I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.
di EZIO CALDERAI ♦
Capitolo 15: La nascita della polis, strumento divino per l’affermazione della civiltà greca.
Siamo nel VII secolo a.C., lo spirito d’iniziativa e il coraggio dei greci dell’epoca sono formidabili.
La Grecia è un paese impervio, l’acqua è scarsa, mal si presta all’agricoltura. Già intorno al 1200 a.C. i greci si spingono sulle sponde dell’Asia Minore, sulle isole dell’Egeo e nel Mar Nero, fondano colonie, che rimangono fortemente legate alla madre patria.
Chissà, forse la guerra di Troia non fu la reazione di un marito tradito per una storia d’amore che offese tutti i greci, ma la spedizione, o preventiva o punitiva, contro una città che aveva le chiavi per aprire le porte verso il Mar Nero e l’Anatolia.
Questa prima colonizzazione non ebbe successo per ragioni che non si conoscono, forse i greci ancora non avevano la capacità di padroneggiare il mare. Troppo lontana la madre patria e troppo difficoltoso mantenere i contatti. Forse ancora immaturi i coloni per governare istituzioni pur minime.
Come vedremo tra poco la seconda colonizzazione fu tutt’altra storia.
***
Nel VII e VI secolo il progresso delle arti e delle tecniche sarà tumultuoso, ma già nel secolo di Omero i greci prendono il destino nelle loro mani.
Lo faranno in modo originale.
I commerci, grazie in particolare alla crescita vertiginosa dei traffici marittimi, rendono le contrade sempre più ricche e forti. La lingua, favorita da una elaborazione durata tre secoli, è un potente strumento di circolazione di idee, iniziative e conoscenze. La popolazione cresce impetuosamente specie in centri già molto attivi e popolati; dalle campagne i contadini portano derrate nelle città, ma, con l’aumento della domanda, non bastano mai. Le famiglie contadine sono numerose, degli uomini in età di lavoro molti si fermano nelle città attratti dall’opportunità di fare maggiori guadagni e da una vita migliore.
L’intenso e improvviso inurbamento determina problemi giganteschi. Già prima, i servizi, specie quelli igienici, erano praticamente inesistenti, ora, con popolazioni a volte triplicate nelle città, garantire servizi essenziali, come la fornitura dell’acqua, fognature almeno rudimentali, viabilità, diventava una necessità. Senza quelle misure le epidemie avrebbero potuto decimare gli abitanti.
I greci o meglio i cittadini delle varie città greche, da Atene a Sparta, da Tebe a Corinto, un po’ dappertutto, furono ispirati: trovarono un modello di amministrazione inedito.
I liberi cittadini, o, se volete, le loro èlites, avevano capito che una città è un meccanismo complesso che può funzionare solo se tutti i suoi pezzi si muovono armoniosamente, con regolarità e continuità; avevano capito, inoltre, che nessuno può far funzionare il meccanismo meglio di chi nella città ci vive e ci abita.
Il segreto del successo fu la decisione di scegliere gli uomini preposti al comando in pubbliche assemblee. Quegli uomini avrebbero avuto il compito di decidere i lavori da fare, per poi affidarli ad artigiani esperti nel trattamento delle acque, ad operai altrettanto esperti nella costruzione delle strade, dei templi, dei porti, delle mura di protezione dai nemici.
Organizzare e decidere, cioè amministrare.
Forse, senza averne coscienza, i greci a cavallo dell’VIII e del VII secolo a.C. avevano inventato la democrazia, anche se molte città erano rette da monarchie, che oggi diremmo costituzionali.
Era nata la polis, massima espressione del genio greco, che porterà alla democrazia, gioia e dolere di ogni comunità organizzata, la peggiore tra le forma di governo fatta eccezione per tutte le altre fin qui sperimentate, come disse in un discorso al Parlamento Britannico Winston Churchill.
Il percorso sarà ancora lungo, ma la polis, le poleis, la città, le città, spiegano l’inconciliabilità dei greci con l’idea di nazione. Essi preferivano l’ordine in casa propria e ne erano estremamente gelosi.
In particolare, volevano che i servizi funzionassero bene e i servizi presuppongono un’ottima amministrazione, un governo che poteva essere affidato solo ai concittadini, persone che incontravano per strada e che avvertivano in modo molto forte le responsabilità che il potere comporta.
Non a caso Aristotele così definiva la polis: “Una città nasce per dare ordine al caos della natura e dell’uomo ed è un ambiente artificiale integrato che soddisfa tutte le esigenze degli uomini”.
Non si potrebbe dire meglio e, ai nostri tempi, gli amministratori delle grandi città se aggiungessero una parola a quella definizione, o soltanto la pensassero, commetterebbero un delitto.
EZIO CALDERAI (CONTINUA)