“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – LA MAGLIETTA ROSSA
di STEFANO CERVARELLI ♦
Quanto era strano sentire caldo a dicembre.
Abituarsi al clima dell’emisfero australe non è certo semplice, ma neanche un grande problema, né questo era costituito dalle migliaia di tifosi avversari che stavano già riempiendo le tribune, non era un problema neanche la pressione per l’imminente gara, una gara davvero speciale. Tutto faceva parte del gioco, di quel gioco al quale non si erano sottratti.
Adriano entrò nello spogliatoio, quando Paolo già vi si trovava; senza dir niente aprì la borsa e tirò fuori due magliette rosse. “Oggi giochiamo con queste” disse rivolgendosi al compagno seduto sulla panca, con tono che non ammetteva repliche.
Paolo non era certo il tipo di rivoluzionario. Giocava bene a tennis, aveva avuto alti e bassi finché non si era messo a giocare in doppio con Adriano, e la storia era cambiata.
Adriano era il tipo di giocatore talentuoso, che vinceva tornei importanti, ed era pure bello; questo dava modo a Paolo di pensare come il destino si diverta ad elargire i suoi doni in modo iniquo.
Quel giorno caldo di dicembre, fuori da quello spogliatoio, davanti ad un numerosissimo e caldo pubblico, c’era l’appuntamento più importante della vita sportiva di Paolo, dire che era molto teso e concentrato è dir poco; Adriano l’aveva trovato già cambiato anche se mancava ancora un po’ all’inizio dell’incontro.
Lo guardò affettuosamente, gli rivolse un sorriso e gli disse tranquillamente: “Oggi giochiamo con queste. Paolo lo guardò incredulo, quasi sbalordito, sorpreso da quella affermazione. “Tu sei matto!” fu la sua risposta e depose la maglia azzurra aperta sulla panca, pensando che quello era uno scherzo del compagno per alleggerire la tensione.
Qualche tempo prima, non lontano da dove si trovavano, lo stadio Nacional si era trasformato in un campo di concentramento.
Luogo di transito, detenzione, tortura ed esecuzione delle migliaia di oppositori al regime di Pinochet. Molti di loro senza nemmeno curarsi della vergogna di un simile eufemismo, vennero definiti dal regime desaparecidos; alle madri che chiedano supplicanti notizie dei loro figli fu risposto che erano “scomparsi”.
Quello stadio, divenuto luogo di sofferenza e di morte, allungava la sua ombra anche sullo stadio del tennis dove, da lì a poco, Paolo e Adriano avrebbero giocato la partita più importante della loro carriera, quella che attribuiva il premio più agognato di un tennista: la Coppa Davis.
Ma come detto non era il clima infuocato che incombeva fuori dello spogliatoio a rendere pesante l’attesa dei due italiani.
A pesare erano stati i mesi precedenti passati in Italia. Il terremoto del Friuli, la scarcerazione di Kappler, le minacce, gli insulti rivolti a Nicola Pietrangeli e ad Adriano, “Pinochet sanguinario, Panatta milionario” si urlava nelle piazze: ed era la frase più leggera.
La partecipazione alla finale di Coppa Davis era divenuta un vero affare di Stato, il Governi non decideva, i partiti di opposizione non volevano che i tennisti andassero dall’altra parte del mondo per fare, certo senza volerlo, passerella mediatica a un dittatore. “Non si giocano volèe con il dittatore” proclama Pajetta inferocito, le piazze erano in rivolta. Poi un giorno a Paolo arrivò una telefonata da parte di Adriano: “Paolo si parte, Berlinguer ha detto che dobbiamo andare a giocare, che non dobbiamo dargliela vinta. Vedrai gli daranno ascolto”.
Adriano porse a Paolo la maglietta rossa, lui la prese ma non l’indossò: non ancora, si sedette con aria assorta, con il pensiero che tornò alle offese subite nella sua Patria.
“Ma che ne sanno di quello che aggredisce l’animo di chi si trova in mezzo a queste storie. Ma che credono che, siccome siamo famosi, qualcuno pure ricco, viviamo in un altro mondo, chiusi, insensibili ai problemi e alle difficoltà della gente? Ma anche noi siamo gente, anche noi leggiamo i giornali; anche noi abbiamo brutte giornate e non certo per le sconfitte sul campo, quelle rimangono sul campo. Ma fuori, dentro le case, in mezzo ai nostri amici, quando ci poniamo domande che nascono dai momenti epocali che attraversiamo, in questo cosa ci differenzia dagli altri ?
La storia la conosciamo pure noi, giocatori di tennis, sappiamo del colpo di stato dell’11 settembre, della morte di Salvador Allende, del regime militare, della gente torturata, uccisa. La sappiamo la storia e ci fa male, anche se ci considerano semidei che non si preoccupano delle miserie umane, dentro di noi la vita brucia e noi ci dobbiamo convivere, come tutti gli altri”.
Sempre seduto sulla panca con la maglia rossa in mano, Paolo continua la sua riflessione. “ Ma cosa ne sanno, quelli che ci hanno offeso, quelli che non ci volevano qui, quelli che ci considerano oggetti di pubblicità del regime militare cileno, cosa ne sanno della fatica che abbiamo fatto per arrivare fin qui, cosa ne sanno di quanto significhi per noi, Questa partita, questa finale, ce la siamo guadagnata, nessuno può sapere quanto. Non abbiamo avuto regali da nessuno. Siamo andati a battere gli inglesi a casa loro, abbiamo vinto contro gli australiani grazie ad Adriano che contro Newcomb ha fatto un numero dei suoi.
Anche per lui che ha vinto tanto, e sicuramente continuerà a vincere tanto, questa è una partita importante; non ci capiterà mai più di vincere la coppa Davis. Per me è diverso, domani sarà il primo giorno dopo quello in cui ho avuto l’opportunità più grande della mia carriera. Tutto quello che accadrà tra poco là fuori, sul campo davanti a quel pubblico, potrebbe o giustificare tutto quello che ho fatto o rappresentare una grande delusione, Ma in un caso o nell’altro come potevano, quelli che non sanno, chiederci di non disputare questa partita?”.
Paolo girò la maglietta rossa tra le mani, poi l’appoggiò sulla panca, si alzò in piedi, provò la tensione delle corde della racchetta, ma delle corde non gli importava niente, l’aveva già fatto molte volte mentre era solo nello spogliatoio, ora aspettava, aspettava un’ultima piccola spinta da Adriano che lo convincesse ad indossare la maglietta rossa.
“Allora la metti o no?”. Adriano si rivolse a lui con tono nervoso, ma Paolo ancora oppose resistenza, nella speranza che il compagno dicesse qualcosa che la facesse cadere.
“Tu sei matto Adriano, perché dovremmo indossare queste maglie?” eccola la domanda provocatoria, ma Adriano se l’aspettava.
“Perché è importante, perché lo dobbiamo dire al Governo di questo Paese che non siamo d’accordo con loro, che siamo venuti qui per vincere e anche per ricordare tutti quelli che sono stati uccisi o torturati o che non sono tornati a casa”.
“Io sono anche d’accordo con te, ma non dobbiamo mischiarci con la politica, non in una situazione come questa; Adriano, detto tra noi, io vorrei anche tornare a casa una volta finito qui”.
Paolo sapeva di mentire, sapeva di stare a rovistare tra i luoghi comuni.
“Mi dispiace Adriano, non mi hai ancora convinto, puoi fare di meglio”.
Ed allora Adriano tirò un forte sospiro e rispose.” Ma lo sai chi c’ è la fuori vero? Ci sono Patricio e Jaime, i nostri avversari. Io non so come la pensino su Pinochet, so solo che loro rimarranno qui, continueranno a vivere in questo Paese, dovranno magari mentire a loro stessi, alle loro famiglie per poter continuare a giocare e come loro tutto il popolo cileno dovrà stringere i denti fino a quando il loro incubo non sarà finito. Nessuno di loro potrà indossare una maglietta rossa per protestare, ma noi sì, noi lo possiamo fare. Cosa ci importa di quello che diranno, se abbiamo fatto bene o male, se abbiamo mischiato lo sport con la politica. Io e te oggi dobbiamo rendere onore al nostro sport, alla Coppa Davis, facendola diventare un simbolo di libertà come nessuno prima d’ora aveva pensato di fare; dobbiamo dire al popolo cileno che non è solo, dobbiamo dire a tutto il mondo che sì, siamo solo due tennisti, ma per quanto tempo il mondo vorrà, e potrà, nascondersi dietro di noi?
No, Paolo non era proprio il tipo di rivoluzionario, quindi non si era ancora convinto, ma aveva capito una cosa: che non si sarebbe mai pentito di quello che stava per fare.
Prese la maglietta rossa, la indossò; insieme i due uscirono e si avviarono verso il campo per giocare il doppio.
Quando rientrarono Adriano Panatta e Paolo Bertolucci stringevano forte sulle magliette rosse, sporche, sudate, la Coppa Davis.
Santiago dicembre 1976.
N.B. Della squadra facevano parte anche Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli. Capitano non giocatore era Nicola Pietrangeli
STEFANO CERVARELLI
Che grande ed epico ricordo! Grazie
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Tennis, che passione!
Ora tutto padel…
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Io ero per non andare,ma sbagliavo.
Hanno avuto ragione loro
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