“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI – IL COLORE DELLE ANIME
di MICHELE CAPITANI ♦
«Ah sì, “what time is it” la conosco!»
«E come mai?»
«Perché da ragazzino lo dicevo ai turisti, per poi strappargli l’orologio»
La collega di inglese ce lo racconta, ancora ridendo.
Mario ha trent’anni ma è dietro le sbarre da più di quindici, in quanto affiliato alla camorra. O almeno lo era, tanto tempo fa…
Ha già la terza media? Può essere, dice lui, ma il diploma, sempre che ce l’avesse, forse è finito in Tirreno quando l’hanno trasferito; cioè, durante uno dei molti trasferimenti.
Dice di aver iniziato l’esame all’Aquila al minorile, anni fa, carcere minorile che però non esiste più. Quindi a chi chiedere per saperlo con precisione? Al provveditorato di laggiù? Al Ministero? Alla segreteria della scuola che forse era sede della scuola carceraria?
Poi Mario stesso aggiunge che può essere che l’avesse già conseguito anni addietro in Sardegna (in detenzione, va da sé); peccato che nel viaggio di ritorno, sul traghetto, a un certo punto prese la borsa e gettò in mare tutti i fogli che aveva, le fotocopie, e forse, appunto, anche il diploma.
Ma come può essere che non si ricordi? Oddio, considerando da quanti anni sta dentro, può essere eccome che i ricordi si aggrumino e inspessiscano, senza gerarchia di importanza, o viceversa gli si dileguino dalla memoria. Anche perché, vai tu a capire in che condizioni ambientali, sociali, mentali (o farmacologiche) si trovava in quel determinato periodo…
Mario ha memoria e immaginazione fallace, e opinioni fantasiose: per esempio è convinto che Saviano parli male della camorra in cambio di cocaina. Ma tanto per dirne una.
Che studente bizzarro, questo giovane uomo: interessato e supponente, concentrato ma smemorato, narratore franco ma lacunoso, e certamente non iscrivibile in nessuna tipologia nella quale un insegnante, dopo qualche anno, può suddividere idealmente gli alunni che ha conosciuto.
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Prima di finire definitivamente in carcere Mario era l’amante della moglie di un boss, solo che, dopo che il marito venne rinchiuso, paradossalmente non si poterono più vedere perché lei veniva controllata a vista. Solo trovandosi una volta in parlatorio, fianco a fianco, si guardarono in continuazione…
Qui, adesso, si consola pensando alle sue ammiratrici, alcune delle quali a volte ancora vengono a trovarlo.
O almeno così egli asserisce.
A una recita in carcere fa conoscenza con una brasiliana, e ci instaura un breve ma fattivo carteggio, tramite canali imperscrutabili e inimmaginabili, dato che fra loro si ergono grate, inferriate, pareti in cemento armato, porte in ferro spesse tre dita, distanze fra le sezioni… nulla vale, a quanto sembra! Da quella “collega” si farà spiegare per benino tutto il Sudamerica, per rivelare infine, candidamente, che ha idea di mettere su un traffico di cocaina via nave.
Due cuori una polverina.
E beninteso, sa già che, una volta uscito, uscirà tornerà a Napoli per riprendere il suo posto; poi, quale sia il suo posto, e perché la camorra dovrebbe aspettare proprio lui, questo resta non chiarito.
Inoltre, perché mai venire a scuola, se per rientrare nell’organico degli affiliati non c’è da esibire titoli di studio? Certo, tra un po’ occorrerà il diploma per tutto, ma tu andresti a scuola se sai di reinserirti in una delle poche “attività” in Italia che non ne necessita?!
In lui tutto è scollegato dalla realtà, al punto da diventare impalpabile, teorico. Un alunno singolarissimo, che a volte esprime curiosità sincera, altre mette davanti a sé quella sua barriera fatta di tracotanza senza oggetto né destinatario, e opinioni bislacche, propositi e idee prive di qualsiasi fondamento e addentellato col reale. In Mario, il vero, il possibile e il fantastico sono sempre intrecciati in un groviglio intestricabile, in un fumo ingannevole e denso.
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Di alcuni criminali si dice che sono delle “anime nere”. Può anche darsi che sia metafora valida, poiché in alcuni non si intravede neppure lontanamente un barlume di luce. Non oso poi nominare la parola “pentimento”, ma, come dire… un lontano bagliore di una vita almeno possibilisticamente differente, lo si vorrebbe immaginare, anche se è difficile anche solo pensare che certi criminali sono stati, in un’era remotissima, dei bambini come tutti.
No, anzi per molti di loro vige il contrario: essi spesso ritengono incomprensibile proprio la vita normale di noi non-criminali.
Mi vengono in mente le diverse competenze che Satana (Voland) espone ne “Il Maestro e Margherita”: chi si occupa del male, fa quello; e viceversa. Quasi che non si trattasse nemmeno di rettitudine da una parte e crimine dall’altra, ma proprio di trovare la propria vita in un dicastero oppure in un altro; più un dato organizzativo che etico. Ma il contesto in cui Bulgakov narrava era demoniaco e assurdo di per sé, mentre qui è inimmaginabile porla in questi termini, lo so. L’unica potrebbe essere immaginare che, come per noi il pensiero di delinquere è oltre il limite, per alcuni vale lo stesso, però alla rovescia: la delinquenza è la normalità.
Datemi pure del fatalista e del determinista, non c’è problema (del resto, c’è di peggio); in verità sto solo cercando una via per mettermi nei panni di chi commette abomini che noi non riusciamo, appunto, nemmeno a immaginare di poter compiere.
Anime nere, dicevamo…
Mah. Diciamo anime al negativo rispetto al colore delle nostre, di un colore altro e contrario rispetto a come dovrebbe essere un’anima una volta sviluppata. Come i negativi delle vecchie foto, avete presente?
Ma le anime sono come il mare: prendono il colore, o meno, a secondo che il sole le illumini, o che sopra di lui ci sia nuvolaglia di passaggio, o un oscuro fortunale, o il sole estivo.
Non si nasce anima nera; semmai si diventa anima annerita.
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Quello dei Casamonica che rispettava puntigliosamente le regole carcerarie, tanto da arrivare un giorno a mettere in riga un altro detenuto, quando vide che quest’ultimo stava cercando di prendere confidenza con una collega, ebbene fu lodato da una mia collega: “Ero ammirata perché, pur essendo criminale, rispettava le regole”
Io: “Ma che discorso sarebbe, scusa? Se gli fa comodo per tornare prima possibile a compiere il male verso il prossimo, quale ammirazione dovrei provare?! Che cazzo mi frega che qui si comporta bene, quando so che appena esce torna a taglieggiare poveri negozianti che faticano a reggere la bottega, e a rovinare la vita degli altri?”
Provo mille volte più solidarietà verso i disgraziati, quelli che hanno fatto una cazzata magari spinti dalla miseria e che una volta fuori non la ripeteranno per nessuna ragione al mondo. O gli incastrati dai pesci grandi, che restano fuori a godersela.
E provo un poco di solidarietà anche verso uno come Mario, perché ha questa cosa tutta sua, cioè che perlomeno a scuola ci viene, nel senso che si iscrive ogni anno (anche nei tanti istituti dove è stato precedentemente recluso), e per anni, pur non conclude sempre il ciclo, anche perché viene trasferito perché succede qualcosa, o normalmente non può stare nello stesso carcere con tizio o caio, e magari si dimentica se ha fatto gli esami, e non sa cosa ci farà col diploma una volta uscito (ma quando uscirà?), né se tornerà dentro al primo reato che forse commetterà di nuovo. Eppure viene a lezione, pertinacemente, migliorando con lentezza geologica eppure non insensibilmente.
Nella scuola carceraria Mario c’è, sempre e dovunque.
Chissà cosa gli dice, nel profondo, la parola “scuola”…
Forse bisognerebbe seriamente considerare che questo ragazzo ha proprio dei limiti cognitivi,, che aveva, o che gli si sono acuiti (un po’ per l’ambiente di provenienza culturalmente misero, un po’ per una deprivazione intrinseca e quasi automatica nella vita in detenzione).
E, come d’altronde ho già fatto, bisognerebbe portarlo come esempio a chi non si rende conto della fortuna che ha di poter andare a scuola.
Portare come esempio un camorrista?! Sì: se viene a scuola, per me è già di un passo più avanti rispetto a molte altre persone, specie quelli che la cultura la irridono sfrontatamente, e sono tanti. Anche perché la scuola potrebbe riuscire ad riaccendergli un barlume lontano, tanto da far intravedere un giorno a questo giovane uomo che rientrare nei ranghi delle mafie potrebbe non essere l’unico suo destino.
Dobbiamo provare a crederci, almeno un pezzettino.
Anche se essere fiduciosi è simile all’essere illusi…
.MICHELE CAPITANI