Premio Eugenio Scalfari Città di Civitavecchia.

di PAOLA ANGELONI

Una prima edizione entusiasmante che ha assegnato il riconoscimento per il giornalismo a Francesca Mannocchi, per la poesia ad Antonella Anedda e la menzione speciale a Luciana Castellina, per il suo articolo in ricordo del Maestro di giornalismo, Eugenio Scalfari.

Sono tre donne, Luciana, Antonella e Francesca, che rappresentano tre generazioni diverse.

Il Premio si titola: Città di Civitavecchia.

Civitavecchia è la Città delle Donne e la Giuria ha premiato tre Donne. Non a caso anche il giornalista Scalfari, nato a Civitavecchia, lega questo “Luogo” alla figura della madre, il luogo fatto di mare, che è l’essenza di Civitavecchia. Alle tre Donne è necessario aggiungere la quarta, ma non in ordine di importanza: Biancamaria Frabotta, che ha dato il suo nome e la sua poesia per celebrare la “ Poesia di Donne”.

Biancamaria emerge nei nostri ricordi di gioventù, quando veniva a trascorrere le vacanze estive alla Piscina di Largo Caprera negli anni ‘60. Ma emerge in modo altero e imperioso come la spada di re Artù, che emerge dalla roccia. La roccia è quella della nostra costa, la Punta del pecoraro, la secca di San Sebastiano, la Buca di Nerone, luoghi che non esistono più. Invece esiste ancora il nostro Teatro, il Teatro Traiano che ha ricordato Biancamaria dedicandole la sezione Poesia.

Esiste ancora quel popolo variegato, ma con un fondo Tirrenico, Etrusco, come Biancamaria è stata capace di descrivere e di connotare. Quel bel Teatro di un paesone, che puoi comprendere solo se guardi oltre e vedi l’aperto mare e i suoi abissi, che denotano sempre l’apocalisse, un’apocalisse incombente, alla quale si vuol porre riparo, richiamandoci al senso della Comunità: è questo il messaggio che le Donne premiate e ricordate vogliono darci.

La Castellina ci dice che associa Civitavecchia – e le è vicina – per la Rete che i cittadini hanno creato a favore delle nuove comunità energetiche, condannando l’uso del fossile. Antonella Anedda, la poetessa premiata, pur con una composta discrezione, ci invita al cambiamento e noi accogliamo da Lei – nella sua opera “ Geografie”- l’ hegeliano Spirito del Mondo: ogni cosa reale, ogni “ Luogo” è impregnato nella storia del suo popolo, tanto quanto quella dei suoi abitanti.

Queste donne ci interrogano sull’ apocalittico e l’anarchico che permane in noi, si interrogano sul rapporto che la letteratura ha con la politica, ripercorrendo con lirismo femminile la necessità dell’impegno e la responsabilità della letteratura.

Sgretolarsi significa lasciarsi erodere, coagularsi di nuovo. Ricominciamo”. E’ la poesia di Anedda, ma potrebbe essere il monito lasciatoci da Luciana Castellina.

Donne che segnano tre generazioni diverse e che per me potrebbero essere la Madre, la Sorella, la Figlia.

Cosa dire di Luciana Castellina? E’ la Castellina che ci informava sulla Grecia dei colonnelli, che per prima sentì il Soffio di una Nuova Generazione, che captò i segnali della società civile negli articoli su Rinascita, che appoggiò la nascita della Lid (Lega italiana per il divorzio), che scriveva su l’Espresso fino al 1969, poi con la nascita del mensile “il manifesto”. La Castellina ebbe il coraggio di scrivere “Praga è sola”, manifestando il dissenso con Pintor, Rossanda e Natoli e decretando la fine della Rivoluzione Culturale del 1968.

Se Luciana Castellina è stata la Madre, Biancamaria sarà la sorella, delineando, con le sue scritture, i trentenni del 1968 nel 1976: è mutato il clima, non più speranze, non più futuro, non più utopia. E’ mutato il clima culturale. Subentrano Agnes Heller, “Ombre Rosse” e una rivisitazione del marxismo, volta a riscoprire il soggetto individuale, la sua cultura. Tutti sentono i “bisogni” di una psichiatria democratica, si rinnovano i percorsi del movimento femminista ai quali Biancamaria fortemente partecipa. Sono “Spaesamenti diffusi”, ricerca delle radici e Biancamaria con “La Viandanza” tornerà a Civitavecchia.

Allora abbiamo anche un debito con Eugenio Scalfari, per quello che ha dato nel tempo alla mia generazione, ricordando solo i titoli di suoi fulminanti articoli sul craxismo: “Come lavora la banda del capo, 1983; “Questo Stato è fallito sul debito pubblico e la crisi finanziaria”, 1991. Scalfari ci ha fatto conoscere le gravissime distorsioni degli anni ’80, l’assassinio del giudice Ambrosoli, la Banca di Sindona e Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, trovato cadavere sotto un ponte di Londra, Sindona avvelenato nel carcere di Voghera e la Lista della P2 nelle residenze di Licio Gelli. Ma voglio ricordarlo in anni precedenti, quando nel 1977 avvertiva che erano in atto laceranti fratture generazionali. Si riferiva alle mobilitazioni studentesche e alle irruzioni di neofascisti all’Università di Roma. E’ del 5 febbraio 1977 “Quello che hanno visto i redattori di Repubblica”. Scrive Eugenio Scalfari:

Una vera e propria battaglia si è svolta ieri mattina in Piazza Indipendenza a Roma. I redattori di questo giornale hanno assistito dalle finestre allo scontro, nel corso del quale tre uomini sono rimasti sul terreno immersi nel loro sangue, mentre la forza pubblica presidiava impassibile gli sbocchi della piazza. Abbiamo visto poliziotti in borghese dare la caccia all’uomo e sparare a mitraglia, abbiamo visto i colpiti dissanguarsi sul selciato… Questi episodi sono di per sé terribili, ma ancor più terribile è il processo che essi hanno innescato..”. Scalfari coglieva nel segno, era il 1977.

Delle tre donne rimane la figlia, Francesca Mannocchi, quarant’anni come una mia figlia. Premiata per il giornalismo e sappiamo che si distingue come corrispondente di guerra. Nella serata è stato letto l’articolo per cui è stata premiata, giornalista coinvolgente, commovente, “fragile”, come è Francesca nel suo animo e nel suo aspetto. Noi la accogliamo volentieri nella sua umanità e nell’ umanità che racconta di fronte al pubblico televisivo. Ci descrive, con pietà, la storia di una ragazza che registra le morti sul campo dei militari in guerra.

Triste ufficio dal quale non riesce a distaccarsi. Come noi civitavecchiesi, e le nostre madri e le nostre nonne non riescono a distaccarsi dalle rovine e dalle macerie del 1943: era una leggenda, era un presagio, un quietismo per non andare avanti ed avere paura del futuro.

Anche il Teatro Traiano era distrutto, ma è rinato ieri sera come luogo di cultura, spazio in cui leggere, attraverso le parole delle giornaliste e delle poetesse, la nostra identità a volte silenziosa, come le donne di Pitagora, che dovevano mantenere il Segreto, a volte piena di troppe parole, populista ed anarchica.

Per dare menzione di Dacia Maraini, componente della Giuria, ricordo , come lei stessa ha ricordato, il laboratorio teatrale che la scrittrice tenne con le ragazze di Civitavecchia, in anni festosi, in cui era caro il nostro patrimonio comunitario. La rielaborazione della storia avvenne su vari testi e testimonianze orali.

Io ho presente il testo della Comunità del Ghetto Sant’Antonio.

Lo sciopero delle Donne per i mariti facchini del Porto”

“Vattene a brigattiè, taiamo corto

Dice Artavilla, pe tutte le Sante

Mo se dovemo fa er giretto ar porto.

Sinora è annata bè, tiramo avante,

avemo da vedè chi iè fa torto

a le nostre marite scioperante…”

A tal proposito, per dare menzione di due amici di SpazioLiberoBlog, Fabrizio Barbaranelli, Presidente dell’Associazione e Claudio Galiani, voglio ricordare “1897 – Cronaca di uno sciopero – La nascita della Compagnia portuale di Civitavecchia”. Vedo una continuità tra il Premio Scalfari, maestro del giornalismo, e la curiosità culturale dei due, nell’affrontare il tema dello sciopero dei facchini del Porto del 1897. La ricostruzione fu fatta, oltre la tradizione orale, con altri strumenti: “Se la stampa si interessò del fatto, ci siamo detti, attraverso di essa è possibile effettuare un’operazione “ archeologica”,…che ricostruisca tracce certe e ci riconduca agli avvenimenti, non soltanto come erano accaduti, ma anche come erano vissuti dai contemporanei, con le diverse “ letture” e i contrapposti sentimenti.”.  E continuano sottolineando come la documentazione della stampa renda possibile analizzare i connotati di classe dello sciopero. Sfogliando i quotidiani è possibile rivivere con una certa tensione emotiva lo svolgimento di quello sciopero. Già allora si considerava il ruolo culturale e politico che aveva la stampa, per trarre “una lezione umana e politica per l’oggi”.

Ci avvertono che dalle cronache dei giornali non emerge la Storia. “Come in frammenti di specchio emergono dai giornali alcuni fasci di luce, lasciando però importanti zone d’ombra”. Francesca Mannocchi, non conosceva direttamente Eugenio Scalfari, ma il suo orientamento verso la Redazione dei giornali è avvenuto grazie alla sua insegnante che il lunedì leggeva in classe l’editoriale della domenica di Eugenio, prima di avviarli allo studio dei classici. Ma forse sono queste zone d’ombra che spingono il lettore ad orientarsi in future ricerche.

I redattori della Cronaca del 1897 evidenziano, infatti, che dai giornali del tempo come l’Avanti e il Messaggero non poteva venir fuori un segno della forte presenza anarchica nella vita politica cittadina. Un grande peso ebbe il movimento anarchico nel determinare atteggiamenti politici e culturali nella formazione del movimento operaio cittadino, per la sua capacità di toccare i lavoratori, facchini , scalpellini, fabbri, meccanici, parrucchieri. Non è raro ritrovare nelle radici della propria famiglia di appartenenza, uomini in foto con il fiocco anarchico alla lavallièr.

Ma per tornare a Biancamaria Frabotta, sono le sue parole poetiche che segnano le nostre esistenze – con un tratto intemporale, valido per Donne di oggi, come per le Tirreniche etrusche che siamo state – e il paesaggio marino che non si potrà mai completamente dimenticare, con un’ attesa dell’ apocalisse che ci accompagna, come monito e minaccia: i Saraceni, la dominazione francese, i bombardamenti del ’43, la Centrale a carbone – 

 

“…giovane Civitavecchia / sgarbata

bilancia fra apocalisse e paese/

smaniosa pazienza è la felicità che/

incendia in lei troppe parole o

nessuna”.

La Viandanza        Biancamaria Frabotta.

Premio Eugenio Scalfari Città di Civitavecchia

PAOLA ANGELONI

https://spazioliberoblog.com/

  • la foto di copertina è di Francesco Cristini.
  • l’immagine è di Valentina Di Gennaro.