“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – E’ IL MOMENTO DELL’ ADDIO?
di STEFANO CERVARELLI ♦
Calcio e giovani Due mondi una volta tanto vicini, oggi tanto lontani.
Non illudano i luoghi comuni al riguardo: oggi dialogano con molta difficoltà e questo non si riferisce solamente, come dicevo nell’ultimo articolo, alla decrescita dei giovani praticanti, il distacco riguarda l’interesse che sempre più sta scemando: i ragazzi dai 16 ai 24 anni non tifano più e chi continua a farlo lo fa in maniera diversa da quella che tradizionalmente intendiamo con la parola tifo.
La prima domanda che mi pongo naturalmente è perché questi giovani stanno perdendo il gusto per uno sport che ha sempre goduto di una grandissima popolarità nazionale, seguito in ogni angolo del Paese ed elemento principe di acerrime discussioni e rivalità storiche.
A determinare l’inizio di questo distacco si dice che sia stato il Covid, poi si dà la colpa al mondo che cambia, alla nuova concezione del consumo (di qualunque cosa) che si vuole sempre più rapido; ecco quindi che una partita di 90 minuti diventa un evento lungo e spesso noioso (qui un fondo di ragione c’è, oggi il calcio è molto più schematico, oserei dire freddo, rispetto al calcio giocato una volta; è diventato per di più un gioco di posizioni, di schieramenti, quasi una partita a scacchi; sta venendo meno l’inventiva, l’azione è spesso prevedibile, monotona). Ma non è soltanto la noia del tiki-taka responsabile, ma anche l’overdose di calcio in televisione. Ogni giorno, ad ogni ora. Con il conseguente pericolo di raggiungere la paranoia (se già non è accaduto); sarebbe interessante, al riguardo , saper quante persone hanno visto certe partite dei Mondiali e quante non abbiano scelto altri programmi a risultato scontato.
Oggi giovani preferiscono gli highlights, smanettando sui loro smartphone alla ricerca delle cose migliori (e che non durino troppo). La prima cosa che si cerca ovviamente sono i goal, poi le novità sui campionati esteri e video postati sui campioni preferiti, con qualche curiosità di contorno.
La Commissione dei Club Europei (ECA) qualche tempo fa aveva svolto un’indagine per capire il perché di questa disaffezione; decine di migliaia sono stati gli intervistati in sette nazioni del mondo (tra queste non c’era l’Italia), il 29% ha risposto che ha “qualcosa di meglio da fare” che non guardare una partita. Il 10% del segmento che va dai teenager all’adolescenza ha dichiarato “di non avere alcun interesse per il calcio”. Molti seguono altri sport, appassionandosi più alle gesta dei singoli atleti piuttosto che a quelle delle squadre.
Il 37% di chi ancora conserva una più o meno timida passione per il calcio ha dichiarato di seguire più di un club; altra circostanza veramente curiosa emerge da questa indagine: il tifo è diffuso su aree di preferenza non più e solo geografiche, la squadra della propria città non è più la più amata e seguita.
Una prima spiegazione a questo la si può trovare nel fatto che le nuove generazioni social fanno della rapidità e agilità una loro caratteristica, la loro attenzione è dunque ondivaga e ha bisogno di essere stimolata. Ne sia una prova la circostanza che non leggono i classici, non hanno tempo, navigano in tutt’altri universi, o magari li ascoltano sui podcast).
Ma c’è un dato ancora più interessante: soltanto un intervistato su cinque ha dichiarato che il calcio svolge ancora una funzione sociale; i ragazzi non si riconoscono più nei sui valori; molti chiedono più responsabilità da parte dei calcolatori, chiedono, vista la loro posizione e notorietà, che si “adoperino per rendere il mondo un posto migliore”.
Tra le interviste raccolte dall’ECA, molte delle quali femminili, il calcio viene ancora giudicato troppo maschilista, maschista, bianco, eterosessuale e assolutamente poco inclusivo; è definito un luogo dove la diversità non solo non viene apprezzata ma, addirittura, considerata un pericolo.
Ma non sarà che i giovani hanno capito che oggi lo sport è social currency, moneta sociale, se così lo si può definire, e bisogna avere il coraggio di spenderla?
Questo avrebbe un nesso di coerenza con una generazione che, sebbene non ami molto il calcio, sembra più attenta alla giustizia sociale, all’ambiente, all’uguaglianza.
Dice il demografo Alessandro Rosina, professore alla cattolica di Milano che cura il rapporto giovani dell’ Istituto Toniolo: ”I social producono non solo conoscenza, ma connessione, permettendo di interagire con i propri idoli: oggi un like vale più di un autografo. Questi ragazzi sono digitali ma anche emotivi, entrano in sintonia con i campioni e li pretendono impegnati, non solo bravi in gara. L’appassionato li segue nella quotidianità, oltre che sui i campi di gioco. Mi pare che questa indagine abbia interessanti risvolti antropologici e ci dica cose che vanno oltre lo sport”.
Agli intervistati è stata posta una domanda: ”Perché segui il calcio?”.
Il 49% ha risposto “per tifare”. Più della metà ha risposto “per divertirmi”, “ per socializzare”, “ per i grandi match”, quindi non più tifosi ma, si può dire, follower: gente che segue qualcuno o qualcosa, ma poi è pronta a smettere di farlo.
Un dato emerge: la TV non è più il principale strumento di visione. Quello di oggi è il calcio della second screenexperience,il secondo schermo degli smartphone sempre aperto; mentre si guarda una partita, o anche solo i suoi frammenti, si continua a postare su Istangram, Twitter, si costruisce una playlist, a questo proposito un giornalista della Repubblica ha coniato una definizione: sportify.
Al tirar delle somme di questa indagine solo 11 persone su 100 si sono dichiarate tifosi incalliti, appena 14 su 100 appassionati di calcio di vecchia data.
Negli Stati Uniti ci sono già gli Smart Stadium , si tratta di impianti dove l’interazione dei vari device è essenziale: dalla ricerca del parcheggio, al cibo, ma soprattutto perché permette la visione diretta, sui palmari, di ciò che accade in campo, azioni di gioco, statistiche e anche video degli spogliatoi, compresa, ovviamente, la pubblicità.
C’è sempre un sottotraccia commerciale. L’indagine dell’ ECA, tra i suoi fini, aveva anche quello di capire chi sono i nuovi clienti del calcio.
“Il web permette di raggiungere chiunque, in ogni parte del mondo, all’istante” ha spiegato Nicolò Farris, Responsabile Comunicazione del Parma Calcio.
E proprio durante il lockdown la società emiliana ha sperimentato un modo di usare interessante e , aggiungerei, originale. Dice Fabbris: ”Abbiamo fatto leggere le Fiabe della Buonanotte ai nostri calciatori che, attraverso il sito, potevano raggiungere i loro piccoli tifosi. Abbiamo organizzato incontri con le comunità di appassionati residenti all’estero. I social sono una grande opportunità, ma non potranno mai sostituire le persone, il calcio in presenza e l’emozione di avvicinare un campione e farsi rilasciare un autografo. In una città come Parma esiste ancora una dimensione familiare e romantica del calcio“.
Questo è consolante, ma bisogna fare i conti con la realtà e questa ci dice che gli adolescenti di oggi saranno i tifosi di domani; bisogna parlare la loro lingua.
Azzardando un viaggio nel futuro mi chiedo:
“Arriveremo ad interagire con i giocatori in campo?”.
Chiudo con una speranza. Non mi preoccupa il distacco dei ragazzi dal tifo. Spero però che non sia l’anticamera del distacco definitivo dal gioco, come in ogni altro sport di squadra. Che, questo sì, è un toccasana fisico e mentale. È una metafora della vita. Abitua alla competizione. Abitua alla cooperazione perché nel calcio come in ogni altro sport di squadra. non si vince da soli.
Abitua ad aiutare il compagno. E regala un’ora all’aperto con la mente sgombra. Mentre i luoghi per praticare il calcio sono pochi, le scuole calcio pullulano. (Certo non è più il tempo della mia infanzia… improvvisati campetti in terra battuta, salvo a trovarvi un bel mattino le ruspe perché suolo edificabile.) Per la mia generazione una Scuola Calcio era un assurdo perché il calcio era l’antitesi della scuola: fantasia, libertà, gioco. Ebbene le Scuole Calcio insegnino i rudimenti della tecnica, senza ossessionare un bambino con tattiche e ruoli fissi. Lo lascino giocare divertendosi.
STEFANO CERVARELLI
Interessante come sempre la tua riflessione sul calcio anzi, a mio avviso, merita il termine di “inchiesta”: ne ha la ricchezza dei punti di vista, la fondatezza delle argomentazioni, il supporto dei dati.
Il calcio non attrae le giovani generazioni, da ben prima del Covid, secondo me. Altri sport emergono destinati ad attrarre per un po’, prima del…prossimo sport che balza agli onori della cronaca per vittorie, impatto visivo , spinta mass-mediatica. Va bene anche così, ma per noi di una “certa età ” è cambiato il linguaggio, la narrazione del calcio: per noi il calcio era l’Epica dello sport, insidiato forse solo dal ciclismo; scegliere una squadra era un atto importante che in genere si compiva da bambini e poi veniva confermato negli anni. Magari nel corso della vita si intiepidisce anche la nostra passione, ma se gioca la squadra del cuore la memoria romantica anche se per poco si riaccende.
Non così per le attuali giovani generazioni: molto se non tutto si consuma rapidamente, cambia , l’attenzione si rivolge altrove. Non c’è nulla che appartenga alla categoria del “giusto” o dello”sbagliato”, i tempi cambiano ed i comportamenti con essi.
Campionati mondiali? Non ho visto nulla, praticamente, mi è mancato il legame del cuore, la Nazionale, ma ho guardato per qualche tempo in più il Brasile e allora sì, la mia antica passione per il calcio si è riaccesa. Almeno per un po’.
"Mi piace""Mi piace"