I cantastorie traditi – Come si distrugge in cinquant’anni e spicci una civiltà costruita in tremila anni.

di EZIO CALDERAI

A partire da oggi, ogni settimana pubblichiamo a puntate un lavoro di Ezio Calderai.
Lo ospitiamo con grande interesse non solo per l’amicizia che ci lega, ma anche e soprattutto perché è un utile contributo a una riflessione sulla storia e sulla cultura dall’antica Grecia ad oggi.
Un progetto ambizioso che Calderai affronta con leggerezza ed ironia, utilizzando stili e modalità di narrazione diversi, sempre corroborati da una conoscenza ricca e mai superficiale.
Oscillando tra la narrativa e la saggistica Calderai ci consegna personaggi e vicende che hanno modellato la storia della cultura e della civiltà occidentali.
Fino a quello che Calderai sembra individuare come l’inesorabile declino.
Buona lettura
La redazione di Spazioliberoblog

Una premessa
Ci voleva un innamoramento senile per la civiltà greca per farmi capire che anche le cose peggiori che ci accadono hanno un senso e un intimo legame con il flusso della nostra esistenza.
Il lockdown per me è stato una benedizione perché mi ha dato l’occasione di mettere ordine, e dare forma, a pensieri che da tempo mi giravano nella testa.
In primo luogo, il mio pessimismo sulla vitalità della civiltà occidentale mi ha indotto a ricercarne le origini. Sapevo, naturalmente, dove cercare, poiché è indubitabile che la civiltà, che oggi definiamo occidentale, sia nata in Grecia, sulle sponde del Mediterraneo, quando ancora i greci non avevano una propria lingua, usando l’alfabeto fenicio e la rozza lingua micenea.
Il miracolo, che si compie con i poemi di Omero, il più grande narratore e poeta di tutti i tempi, è dovuto a decine, centinaia di uomini curiosi, che sbarcavano il lunario cantando storie meravigliose, che regalavano momenti di gioia e di sollievo dalle durezze della vita a uomini e donne, che vivevano nei pressi del mare, sulle montagne, sulle isole di fronte all’Asia minore o all’Italia.
Questi cantastorie, con la meraviglia dei miti, crearono, insieme alla lingua, l’educazione del popolo greco, gettando le fondamenta della civiltà di cui siamo epigoni esangui.
Ora una rapida esposizione del piano dell’opera.
La prima parte è di pura fantasia, raccontando, sul terreno della leggenda, la storia del primo, virtuale cantastorie.
La seconda parte è il progresso ad un tempo della conoscenza e della civiltà greca fino all’età di Periclea, al tempo cioè in cui i greci fecero di Atene la città più straordinaria di tutti i tempi, eguagliata nei millenni successivi solo dalla Firenze del Rinascimento o dalla Vienna espressione dell’ultimo trionfo dell’Europa.
La terza parte, infine, nasce dalla musica, che da Napoli si irradia in tutta Europa e che coincide con l’inizio stentato, ma promettente, di miglioramenti delle condizioni di vita dei popoli d’Europa.
Quest’ultima parte si incammina gradualmente, attraverso un’esposizione necessariamente sommaria, allo stato della civiltà occidentale ai nostri tempi.
Ho cercato di usare un linguaggio e un’analisi degli avvenimenti immediatamente comprensibile. Non sono sicuro di esserci riuscito, quindi, non per captatio benevolentiae, fin da ora me ne scuso.
Alla fine della fiera, come ogni scrittore, degno o no di questo nome, spero soltanto di non annoiarvi.
Nel caso, prendetevela con Spazio Libero Blog, che ha voluto pubblicare il mio libro, a puntate come ai bei tempi di Dickens. Naturalmente scherzo. Non posso, infatti, che ringraziare gli amici del Blog, per avermi concesso questa Tribuna.

Parte Prima

Capitolo 1: L’ira degli Dèi sconvolge la flotta achea

Il Capitano non riusciva a staccare gli occhi dal mare e dall’orizzonte. La sua nave aveva lasciato la spiaggia di fronte alle rovine ancora fumanti di Troia al mattino con tutta la flotta Achea. Centinaia di imbarcazioni insieme avevano alzato le vele e le insegne di mille colori.
Erano ormai tre ore che non si vedeva una vela all’orizzonte e l’imbrunire non avrebbe tardato.
Anche il mare preoccupava Atreus. Così non l’aveva mai visto. Non c’era un filo di vento, eppure le onde erano enormi senza un filo di schiuma. Non scuotevano la nave, sembrava l’accompagnassero.
Gli avessero chiesto come definire quel mare avrebbe risposto “gonfio”.
***
Non poteva credere che fosse stato quel mare a disperdere la flotta. Dipendeva – ne era sicuro – dallo stato in cui si trovavano capitani, marinai e guerrieri, sfiniti da tre giorni consecutivi di sacrifici agli Dei, di stupri di donne cui erano stati strappati i poppanti dalle braccia, di bambine, di vecchie, di torture agli uomini sopravvissuti, di vino bevuto dai secchi, di cibo trangugiato senza ritegno.
Chissà perché i riti, si chiedeva Atreus. Dubitava che gli Dei apprezzassero la vittoria conquistata con l’inganno e la crudeltà nell’infierire.
Tre giorni orribili che seguivano tre notti e tre giorni ancor più orribili.
Atreus ricordava con orrore quel che era accaduto. Gli Achei entrano di notte nella grande città di Troia, mai vinta, grazie all’astuzia di Odisseo, che fa costruire un enorme cavallo di legno, vi fa entrare pochi tra i guerrieri più valorosi e lo fa portare davanti alla possente porta di Troia, poi fa partire la flotta.
Quando vedono le vele achee prendere il mare, i Troiani aprono le porte Scee, scendono a frotte e si accostano incuriositi al Cavallo. Si dividono sul significato di quel portento. Molti lo considerano un segno di resa, il dono degli Achei agli Dèi per propiziare il ritorno a casa, altrettanti ne diffidano, lo vedono come un pericolo mortale.
Prevarrà l’eloquenza del traditore Senone, uomo di Odisseo. Gli uomini cominciano a mettere in linea i tronchi per trascinare il Cavallo dentro le mura.
Dal tempio più alto della Rocca segue l’evento il sacerdote Laocoonte e, temendo l’inganno, si slancia verso la spiaggia con in braccio i due piccoli figli. Lì giunto, scaglia una lancia nel ventre del Cavallo e arringa i Troiani: dovete diffidare degli achei anche quando portano doni. In quello stesso momento escono dal mare due enormi serpenti e ghermiscono Laocoonte e i suoi figli.
Per Senone è un gioco da ragazzi convincere i Troiani che Laocoonte era stato punito dagli Dèi per aver oltraggiato un dono a loro destinato.
Il Cavallo varcò le mura di Troia.
Di notte, mentre la flotta torna indietro, il manipolo, aiutato da Senone, esce dal cavallo, si fa strada con le armi tra le poche sentinelle, apre le porte, permettendo all’esercito di Agamennone d’irrompere nella città. I Troiani vengono sorpresi nel sonno e il massacro non ha limiti. Pochi uomini riescono a impugnare un’arma prima di morire, In pochi minuti le strade sono lastricate di corpi senza vita. Le donne vengono legate e trascinate via, quelle incinta trafitte al ventre, vecchi e bambini vengono uccisi, schiacciati contro i muri,

il saccheggio si consuma senza fine, il fuoco farà il resto, chi sopravvisse rimpianse di non essere morto.[1]

[1] La storia del cavallo Atreus, nella mia fantasia, l’ha vissuta, ma non compare nell’Iliade di Omero, che si conclude con la morte di Ettore. Ne parlerà in pagine sublimi Virgilio nel Libro 2 dell’Eneide nel racconto che Enea farà a Didone della caduta di Troia. Sicuramente, mi piace pensare, i cantastorie l’avranno cantata fin dal 1100 a.C.

Atreus non si accostò e non gioì a quell’osceno spettacolo, rimase sulla sua nave insieme a pochi marinai che lo veneravano e a pochi altri, tra cui Filippo, disgustati da quello che avevano visto.
***
Il pensiero di Atreus torna immediatamente al mare e alla flotta sparita.
Le navi si erano sicuramente disperse perché erano tutti ubriachi, ebri di cibo, sesso e sangue.
Al mattino, quando avevano preso il mare, sulla spiaggia a perdita d’occhio gravava un tanfo insopportabile di vino, urina, sangue, vomito, sporcizia confusa tra il bottino del saccheggio.
Ci sarebbe voluto tempo prima che rientrassero in sé. Atreus voleva soltanto prendere il largo al più presto, nella speranza che un vento benevolo disperdesse quell’aria putrida.
Troverà il vento, ma non sarà benevolo.
***
Continuamente Atreus andava da prua a poppa dov’era il timoniere. All’improvviso, mentre faceva quel piccolo tragitto avvertì sulla schiena una sferzata, gelida come un coltello. Il vento si era levato feroce e il mare ribolliva di schiuma. Capì subito cosa stava per succedere. A lui non era mai capitato, ma ne aveva sentito parlare dai vecchi marinai, almeno quelli che erano sopravvissuti per raccontarlo.
Una tempesta tremenda con al centro un occhio smisurato dove gli elementi erano relativamente calmi, intorno l’inferno, nel quale si piombava man mano che il bordo del cerchio si avvicinava.
Atreus ordinò ai marinai di ammainare la vela, ai vogatori di tirare a bordo i remi, ai guerrieri di aiutare, a Filippo di stare accanto al timoniere, a tutti di stare fermi o di spostarsi tenendosi aggrappati alle assi. Ma sulla nave ormai prevaleva il terrore, che in pochi attimi si trasformò in pazzia. Filippo vide letteralmente volare guerrieri che rincorrevano i vasi d’oro trafugati ai troiani.
La tempesta imperversava, «i venti, quasi schierati per dove s’apre un varco, si slanciano e spazzano la terra in un turbine. Irrompono sul mare e tutto dalle sedi profonde insieme l’Euro e il Noto lo sconvolgono e l’Africo denso di bufere, e rovesciano vasti flutti sulle rive. Segue un clamore di uomini e uno stridore di funi. Le nubi all’improvviso strappano alla vista dei teucri il cielo e il giorno; grava una nera notte sul mare. Tuona la volta del cielo e l’etere balena di fitte folgori, e tutto minaccia agli uomini una morte imminente … una stridula raffica di Aquilone squarcia la vela di fronte, e solleva i flutti alle stelle. S’infrangono i remi, la prua si rigira ed espone il fianco alle onde; incalza un monte d’acqua scosceso … e quell’onda spalanca la terra tra i flutti; infuria un ribollire di sabbia. Il Noto afferra e travolge … l’Euro sospinge da largo nelle secche delle dune, miserevole vista, e caccia nei bassifondi e cinge d’un argine di sabbia … un enorme maroso colpisce piombando a poppa, il nocchiero è sbalzato e precipita a capofitto; l’ondata la fa mulinare tre volte nel medesimo luogo, e un rapido vortice la inghiotte nel mare. Appaiono pochi naufraghi che nuotano sul vasto gorgo, e armi di guerrieri, e tavole e i tesori troiani sulle onde … tutte sconnesse le giunture nei fianchi, imbarcano acqua nemica, e si schiudono in fessure».[2]

[2] In pochi hanno eguagliato la descrizione della tempesta in mare e del naufragio fatta da Virgilio nel Libro 1 dell’Eneide quando la piccola flotta di Enea viene letteralmente scagliata sulle coste della Libia, perdendo tre delle dieci navi. Il mio vuole essere l’omaggio al sommo Poeta e le poche omissioni non sono “tagli”, ci mancherebbe altro, ma le piccole differenze tra le due storie, la prima di una sola nave, la seconda di una piccola flotta, le 10 navi di Enea

Atreus ancora correva su quel che era rimasto della nave, cercando di portare aiuto, ma tutto era perduto. “Lasciate la nave, afferrate delle tavole e gettatevi in mare, che gli Dèi vi proteggano”.
Furono le ultime parole di Atreus che i pochi superstiti sentirono.
Filippo sosteneva un giovane guerriero atterrito, le parole per rincuorarlo erano concitate “stammi vicino, stammi vicino e seguimi quando mi getterò in mare”, “stammi vicino, stammi …”.

EZIO CALDERAI                                                                                                             CONTINUA

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  • L’immagine di copertina è tratta dal lato del cratere di Eufronio nel quale si rappresenta la morte di Sarpedonte.