“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – E’ TUTTA QUESTIONE DI COMUNICAZIONE ?
di STEFANO CERVARELLI ♦
In questa breve escursione nel mondo del calcio giovanile, abbiamo potuto constatare come questo sia attraversato da problemi di diversa natura (rapporti genitori-allenatore; rapporti bambini- genitori, rapporti genitori-società) per vari motivi. Economici, tecnici, propagandistici, molte società, nel bene e nel male, intendo con questa affermazione sottolineare la diversità del lavoro svolto, puntano sul settore giovanile, ricorrendo anche ad una strategia social che non sempre dà i risultati voluti.
Anzi i risultati proprio alla luce delle precedenti affermazioni non sono gli stessi.
Diamo allora un’occhiata a quella che possiamo definire la strategia della comunicazione, vedendone le caratteristiche.
Intendo precisare che se il problema non riguardasse migliaia di bambini, adolescenti e giovani, lo si potrebbe anche derubricare ad argomento di minor importanza, dato che per tutto il resto del mondo calcistico, vale a dire quello professionistico, il gran parlare che si fa già basta ed avanza. La prospettiva, ripeto, però cambia quando nel vortice della comunicazione social e dei suoi effetti, c’è in gioco uno dei periodi più importanti della vita di una persona, senza dire poi quali effetti deleteri il più delle volte questo vortice provoca in quei rapporti di cui dicevo all’inizio.
La riflessione sulle società sportive dilettantistiche deve partire necessariamente da una premessa.
Queste società non è che abbiano una grande forza economica, per cui il loro primo scopo è quello di fare cassa come? Attraverso la notorietà che riescono a darsi ed a dare ai loro giocatori migliori (mi limito qui, perché nono voglio farvi addentrare nella “selva oscura” del mercato calciatori a questo livello).
Per ottenere visibilità è necessario quindi la presenza di queste società sui moderni mezzi di comunicazione e rendere tutto “invitante”.
Ma quali sono le caratteristiche di cui ha questa comunicazione? Ironicamente devo dire che sono poche e molto semplici.
Quando una squadra, a qualunque livello, ottiene una vittoria questa viene accompagnata da foto, scelte con molto oculatezza, e da frasi che provocano sempre effetto in chi le legge (purtroppo).
Frasi tipo: ”Abbiamo vinto perchè i ragazzi hanno creduto in loro stessi; perchè abbiamo dato tutto, perchè giocando così nessun ostacolo è insuperabile” e poi quella classica: “Abbiamo vinto contro una squadra forte”.
Ora se queste frasi si limitassero ad essere indirizzate ai ragazzi e ad altre persone vicine alla società, non sarebbero poi un grande danno, il problema è che vanno a finire sui social, dove poi, in caso di sconfitta, ti aspetteresti di leggere frasi differenti da: ”Il risultato è bugiardo, non rispecchia i valori in campo; l’arbitraggio ha lasciato a desiderare; non siamo stati fortunati”. Purtroppo queste frasi arrivano anche agli occhi e alle orecchie dei giovani calciatori (questo sarebbe un altro bel discorso da fare); ci sono poi società che quando le loro squadre perdono, sui social non scrivono niente.
Fino agli esordienti (11-12 anni) per le società è importante reclutare più bambini possibile così da formare due squadre (ecco l’importanza della quantità) la squadra A e la squadra B che hanno un trattamento tecnico diverso (di fatto comincia la selezione).
Durante il fine settimana è un continuo giocare; spesso a questi calciatori in erba viene richiesto anche un doppio impegno con trasferte incluse, tanto che i genitori, ai quali viene chiesta collaborazione, passano la maggior parte del loro week and sui campi di gioco.
Ottenuta così la visibilità numerica, bisogna poi pensare alla visibilità social, ed ecco che su questi, ma solo ricordando quanto detto sopra, vengono pubblicizzati con ampio risalto i risultati.
Ma qual’è lo scopo primario di tanta pubblicità? Di mostrare i propri numeri, il proprio valore? E’ la cosa più importante che ci possa essere per una società che si occupa di calcio giovanile: l’affiliazione con un club professionistico di serie A.
Questo è fondamentale perchè rappresenta il miglior sistema per reclutare bambini, fino agli esordienti.
E sufficiente dire, ad inizio stagione, quando è tempo d’iscrizione, che verranno indette iniziative proprio nella sede ufficiale della società di serie A: che verranno allenatori professionisti ad effettuare allenamenti mirati.
Nessun genitore poi, nel corso dell’anno, farà accertamenti sulla veridicità di quanto promesso e farà delle verifiche. Tanto poi, che puoi fare? Porti via il bambino che già si è inserito? E poi la retta oramai è pagata….
Intendiamoci: l’affiliazione della società giovanile con il club professionistico c’è, è vera, ma non sempre quanto promesso poi si realizza; il club professionistico, dal canto suo, con questo legame si assicura la priorità di scelta sui giovani calciatori; operazione che viene attuata con molte piccole società in tutta Italia.
Ad essere interessati ai risultati sono in particolar modo gli allenatori del settore giovanile, venendo così meno ad uno dei requisiti principali per chi svolge quell’attività, come più volte detto. I successi ottenuti dalle loro squadre, non importa come, permette agli allenatori di farsi notare a livelli più alti, o male che va, aumenterà la loro forza contrattuale, con la società di appartenenza.
Chi rimane presso una società per molti anni sono i responsabili dei settori giovanili.
Tutto questo però alla fine dà un risultato. Qual’ è? Meno squadre e più figure di contorno, e questo ovviamente si riflette anche a livelli più alti.
Un dato in particolare: nel 2016 -17 i tesserati, fra settore dilettantistico e scolastico, erano 1.044.505; nel 2020-21 sono passati a 826.765, con una riduzione del 20%, anche se in parte dovuta al Covid. L’andamento della nostra demografia non fa sperare che si possa recuperare in breve tempo. Per esperienza diretta poi posso dire che difficilmente chi ha cambiato sport o smesso, torna indietro.
Per concludere il calcio dilettantistico e con esso quello giovanile, dovrebbe riflettere sul proprio futuro e chiedersi il perché di questo continuo declino; per prima cosa gli addetti ai lavori dovrebbero domandarsi quali incentivi praticare per avvicinare i giovani al calcio, partendo da due domande: divertimento o risultato a tutti i costi? Vincere è l’unica cosa che conta?
Concludo dicendo che ci sono molte società che percorrono un cammino che contestualmente segue sia i criteri di una giusta educazione sportiva che quelli di un sano agonismo ottenendo risultati in entrambi; ci sono altre che spariscono anche a causa, come dicevo, di un notevole calo demografico.Ritengo importante migliorate le capacità dirigenziali delle società: c’è bisogno di nuove e maggiori competenze.
Non esiste soltanto la prospettiva del calcio professionistico, bisogna fare in modo che valore e dignità non vengano a mancare nel calcio delle serie minori.
STEFANO CERVARELLI