Una “semplice” storia triste
di MATTEO VECCHI ♦
Qualche giorno fa l’Italia è stata scossa da una storia allucinante di Catfishing. Per usare una definizione propria “Nel mondo dei social con catfish si indica una persona che costruisce in rete un proprio profilo fingendo di essere un’altra persona, prendendo un nome falso per burlare o truffare qualcuno o assumendo il nome di un altro utente e pubblicando come proprie le fotografie di questo, al fine di instaurare in rete rapporti amicali (a volte anche sentimentali) con una falsa identità”. Dall’avvento dei social network situazioni come queste sono all’ordine del giorno e spesso servono da base per eventuali truffe e raggiri.
La storia è “semplice”: Daniele, un ragazzo di 24 anni, conosce in rete una bellissima ragazza con la quale instaura una relazione sentimentale che si protrae per più di un anno. Sfortunatamente però la ragazza non esiste, si tratta invece di Roberto, uomo di 64 anni, che si finge una coetanea di Daniele ponendo in essere svariati artifizi per schermare la sua vera identità.
Della vicenda di Daniele e Roberto non ne veniamo a sapere per via della sostituzione di persona ma perché, a distanza di pochi giorni, si toglie la vita prima Daniele- che non riesce a sopportare la verità che si celava dietro una storia all’apparenza bellissima- e poi Roberto, dopo le pressioni ricevute a seguito di un servizio delle Iene.
Questa storia “semplice” presenta in realtà diversi strati di complicazioni che toccano diversi ambiti. In primis, a tutti viene spontaneo chiedersi: di chi è la colpa? Chi pagherà per tutto questo? Proviamo ad andare con ordine.
Il PM ha richiesto l’archiviazione per il reato di morte come conseguenza di un altro delitto spiegando correttamente come Roberto abbia certamente commesso il reato di sostituzione di persona (ed è anche stato condannato per questo a pagare una sanzione pecuniaria) specificando che non c’è stata alcuna truffa, poiché non ci sarebbe stato alcun ingiusto profitto né tantomeno il reato di morte come conseguenza di altro delitto per assenza della prevedibilità delle conseguenze della sua condotta.
Sotto il profilo giuridico le argomentazioni proposte sono ineccepibili. La condotta tenuta dall’uomo di 64 anni seppur moralmente deprecabile, non configura altri reati se non quello di sostituzione di persona.
Qualcuno perciò ha, anche letteralmente, pagato per le proprie azioni ma tanto è lo scandalo che la sanzione pecuniaria non ci sembra sufficiente. Ma, è bene ricordarlo, il diritto penale non va usato come una clava e principi come quello di proporzionalità e finalità della pena non devono mai essere offuscati dal moralismo.
Questa triste storia si presentava tuttavia troppo succulenta per le iene che avevano la possibilità di alzare gli indici di ascolto e le visite al sito presentando al proprio pubblico il mostro, la vittima e qualche altra frase fatta volta a confermare gli stereotipi su quanto il web sia un posto oscuro, pieno di minacce e colmo di disadattati.
Ecco dunque l’inviato, non il giornalista, che parte col solito modo delle Iene microfono alla mano e cameraman a seguito, ad importunare Roberto.
Prima di continuare sento il dovere di fare una doverosa precisazione; a mio modestissimo parere e Iene sono un o dei programmi più beceri, qualunquisti e fuorvianti prodotti dall’industria televisiva italiana negli ultimi trent’anni. Da quando misero in giro la bufala sul metodo Stamina illudendo migliaia di famiglie che hanno messo in pericolo la salute dei loro cari e come poi venne riproposto circa i medicinali sul cancro (lì in effetti ci volle la morte di Nadia Toffa per arrivare alla rimozione dei servizi), passando per notizie totalmente inventate e servizi montati ad arte per far passare messaggi e concetti scelti dalla redazione e mai dai fatti in quanto tali.
Fatta la precisazione e tornando al nucleo dell’articolo. A cosa è servita questa gogna? La risposta rischia di essere scontata: a niente. Niente e nessuno riporterà indietro Daniele ma le iene, insieme ai tanti che hanno alimentato questo enorme incendio sociale virtuale, hanno spezzato un’altra persona che già presentava evidenti disturbi psicologici.
So che queste ultime righe potrebbero far storcere il naso perché alla fine insomma: è morto un mostro; di che ci preoccupiamo?
Ci preoccupiamo perché queste due persone hanno contribuito esclusivamente ad alimentare il mero intrattenimento di un mondo che li ha rigettati, fino a spingerli a rintanarsi in una bugia o ad alienarsi completamente da sé stessi.
Quando capiremo, finalmente, che la divisione, potata avanti colpevolmente anche da alcuni intellettuali, tra mondo sensibile e mondo di internet non esiste? E che di conseguenza i ragazzi e le ragazze in primis vadano educati allo strumento che hanno tra le mani al pari di come vengono educati sull’educazione civica, la storia, la geografia e l’italiano?
Viviamo in un’epoca in cui lo sforzo della rielaborazione, del calcolo, del ragionamento è interamente affidata al computer. All’algoritmo che arriva a scegliere il film da vedere al posto tuo.
Non è un mondo da temere: è progresso e indietro, con buona pace di alcuni vecchietti di spirito prima ancora che di anagrafica, non si torna. Ma è necessario ora più che mai armarsi per poter gestire al meglio questa terza rivoluzione tecnologica partendo dall’assunto che ci sono sedi, ruoli e forme da rispettare; che non è la redazione delle iene che decide chi è colpevole è chi no. Che non sei debole se hai bisogno di riposare un attimo prima di andare avanti. Che la vita non è una corsa a chi arriva prima ma a chi riesce ad apprezzare e comprendere il mondo e le persone che lo circondano.
MATTEO VECCHI
Condivido. Caso dolorosissimo. Dopo il suicidio del giovane, un’altra morte poteva essere evitata. Giustizia si fa nei tribunali, nelle forme previste dalla legge
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