LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI: ORIGINI E TRADIZIONI IN ITALIA
di LETIZIA LEONARDI ♦
Il nostro è un Paese che affonda le proprie tradizioni nel periodo del paganesimo e del cristianesimo. È una terra di miti, di scaramanzie e sacre devozioni. Siamo quelli delle superstizioni che cacciano la mala sorte con il sale e l’incenso, fanno gli scongiuri quando il vino cade sulla tavola o quando uno specchio si rompe per la paura dei sette anni di disgrazia. Si appendono corna di bue agli stipiti dei portoni, ferri di cavallo o rossi cornetti. Si accendono anche lumini per i morti, come facevano i misteriosi pelasgi-tirreni-etruschi-oschi. Per le pene amorose c’è chi ancora si affida a maghi e fattucchiere che, risolvono poco ma in compenso alleggeriscono di molto il portafoglio. C’è chi, nel giorno delle nozze, frantuma stoviglie ai piedi della sposa, secondo la consuetudine giudaica o saluta la neonata coppia seguendola con un corteo di auto al suono del clacson. Quando nasce un bimbo, in qualche famiglia di campagna, si usa ancora incenerire il suo cordone ombelicale, come fanno gli zingari e facevano, almeno fino al secolo scorso, molti popoli occidentali e orientali. Poi arriva la morte, e con essa tante altre ritualità…
Il prossimo 2 novembre torna la giornata dedicata alla commemorazione dei defunti. Si tratta di una ricorrenza prettamente religiosa, che segue la festa di Tutti i Santi e che non è mai diventata, in Italia, una festività civile. Molti approfittano di questo giorno per visitare, nei cimiteri, i propri cari che non ci sono più ma in pochi conoscono le origini di queste celebrazioni, che sono piuttosto antiche. Iniziamo col dire che, la scelta della data del 2 novembre non è stata scelta a caso perché, fin dall’antichità, si sono sempre festeggiati i defunti tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre, data in cui si verificò il Diluvio Universale. I bizantini, invece, celebravano i morti il sabato prima della domenica che precede di due settimane l’inizio della Quaresima, tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio. Ma anche vecchie civiltà, come quella dell’antica Roma e dei Celti, ricordavano i defunti credendo in tal modo di alleviare le sofferenze dei propri cari scomparsi e pensando così di beneficiare degli influssi positivi sui vivi. I primi Cristiani, per sradicare le credenze e le tradizioni pagane, modificarono le celebrazioni. Papa Gregorio IV nel 835 stabilì che la Festa di Tutti i Santi venisse celebrata il primo giorno di novembre e l’abate di Cluny aggiunse al calendario Cristiano anche una data per commemorare i defunti. La scelta del giorno 2 novembre risale al 998, anno in cui l’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny decise di suonare le campane della sua abazia con rintocchi funebri dopo i vespri del primo novembre in memoria di chi non c’era più. Da allora, ogni 2 novembre, tutte le chiese cattoliche hanno imitato questo simbolico gesto.
È stato solo nel XIV secolo che questa festa fu riconosciuta ufficialmente. Nel corso del tempo si sono sviluppate diverse tradizioni legate alla Festa dei Morti. In Sicilia, ad esempio, nella notte di Ognissanti, i bambini ricevono un’anticipazione del Natale: trovano infatti dei doni e fruttini dolci a base di pasta di mandorla portati, gli si racconta, dai defunti della famiglia. Al mattino invece i più piccoli trovano i Pupi di zucchero. La terra di Trinacria è famosa per i suoi dolci tipici che si preparano in ogni occasione. A Palermo, si fanno i Frutti di Martorana; a Catania i Vincenzi e le Piparelle a Messina.
In Campania, e soprattutto a Napoli, si usa preparare il torrone, che viene chiamato o‘morticiello. In altre regioni italiane invece, la tradizione vuole che i più piccoli trovino la “calza dei morti”, piena di dolciumi vari, praticamente simile a quella del giorno della befana. In Calabria si era soliti, e c’è ancora chi lo fa, lasciare la tavola imbandita con il dolce tipico chiamato “Dita degli apostoli”. In Puglia si preparano i Sasanelli, biscotti tipici di Gravina. Dall’estremo sud al nord, in Lombardia, la notte tra l’1 e il 2 novembre si lascia un vaso d’acqua fresca in cucina per dissetare i morti. Si prepara la zucca scavata e piena di vino da mettere sul davanzale e si fa il pan dei morti, dei grandi biscotti simili agli amaretti natalizi. In Friuli è diffusa la credenza delle processioni notturne dei morti verso i santuari e con le prime luci dell’alba vengono intagliate zucche a forma di teschio. Alcuni contadini friuliani hanno l’abitudine di lasciare la sera di Ognissanti un lume acceso, un secchio di acqua e del pane sul tavolo.
In Veneto, alle ragazze che si accingono a contrarre matrimonio, si usa offrire gli “Ossi dei morti”, un sacchetto con delle fave in pasta frolla colorata. In Trentino invece, dopo il lungo suono delle campane, nelle case si lascia la tavola apparecchiata e il focolare acceso tutta la notte, per accogliere simbolicamente le anime di tutti i morti. Stessa cosa accade anche in Piemonte, dove si apparecchia un posto in più a tavola, e in Val D’Aosta, dove i più attenti alle tradizioni, lasciano delle pietanze sui davanzali per evitare che i morti facciano alzare un forte vento, detto “tzarivari”, che circonderebbe la casa. Ovviamente i manicaretti messi fuori fanno la felicità, certamente non dei defunti ma di qualche animale randagio o selvatico. In Emilia Romagna invece, il cibo per i defunti viene scambiato di casa in casa, e si distribuisce anche ai poveri che vengono a bussare alle porte delle varie abitazioni. In Liguria si preparano le fave secche, chiamate bacilli e i balletti che sono castagne bollite.
Nelle campagne cremonesi ci si alza di buon ora e si rifanno con cura i letti per far riposare al meglio le anime dei propri cari e si preparano le Ossa dei morti a base di mandorle. E sempre restando sul tema culinario, passando dal nord al centro Italia, in Umbria si preparano gli Stinchetti dei morti, dei dolci a forma di fave; in Abruzzo, si lascia la tavola imbandita tutta la notte e lumini accesi alle finestre. I bambini, prima di andare a letto, ricevono un cartoccio di fave dolci e confetti. In Toscana si preparano i biscotti detti Ossa di morto e in Molise si prepara una cena particolare il cui piatto principale sono delle lasagnette con la verza. A Roma, anticamente, si usava mangiare accanto alla tomba dei propri defunti per tenergli compagnia. In Sardegna, infine i bambini vanno di casa in casa, a chiedere pane, dolci e frutta secca. Tutte queste tradizioni antiche stanno purtroppo, lasciando il passo alla Festa di Halloween o di Ognissanti del 31 ottobre. Questa tradizione è legata all’epoca pagana e celtica, in particolare alla festa di Samhain che commemorava, nella notte tra il 31 Ottobre e il 1 Novembre, la fine dei raccolti, l’inizio dell’inverno, le anime e i morti. Halloween ha quindi acquisito le proprie origini dal Samhain, nel celebrare la morte e l’occulto esorcizzandole con terribili travestimenti e con orrende e simpatiche zucche che sono ormai diventate il simbolo.
LETIZIA LEONARDI
Bella rievocazione, Letizia. In Sicilia, parlo in particolare dei paesi della piana di Catania, alle falde dell’Etna, come Paternò, Ragalna, Misterbianco, Biancavilla ecc. la mattina del 2 novembre era per i ragazzini un risveglio festoso e allegro, con strepito di trombette e suoni vari, perché si trovavano i doni lasciati dai cari defunti, giocattoli e dolci, tra cui appunto le Ossa ‘i Motti (Ossa dei Morti) fatti proprio a forma di tibie e altre parti dello scheletro, rivestiti di “liffia” (se ben ricordo), cioè chiara d’uovo con zucchero a velo, che dava l’aspetto liscio e biancastro necessario.
"Mi piace""Mi piace"