” OLTRE LA LINEA” A CURA DI S.BISI E N. R. PORRO – LO SGUARDO CIECO NELL’ERA DEL TEMPO TUTELATO

di SIMONETTA BISI

La festa di Capodanno a Roma, nella villa a Primavalle, ancora nelle pagine di cronaca, fa da sfondo ad altre situazioni analoghe in cui sono coinvolti minorenni abusatori ed abusati: festini a base di droga fornita in abbondanza e varietà, dove lo stupro di ragazze ubriache e drogate sembra essere uno dei tanti “giochi di gruppo”. Dal Corriere della Sera 23 luglio c.a.

“La tela dei ragazzi impegnati a nascondere alle forze dell’ordine quanto accaduto la notte di San Silvestro 2020 nella villetta alla Torresina, a Primavalle, si intreccia a quella tessuta dai loro genitori, altrettanto determinati a celare quanto combinato dai figli protagonisti della festa della stupro di Capodanno.” Ancora, dall’intervista, emerge chiaro il pensiero di molti genitori.

“Se le forze dell’ordine, mi dice il padre di Laura, avessero saputo che, nell’abitazione dove si è svolta la festa, è stato consumato dello stupefacente, tutti i ragazzi, compresi i nostri figli, avrebbero subito perquisizioni e test tossicologici. La questione, mi propone, si sarebbe potuta risolvere parlando con i nostri ragazzi, senza coinvolgere le forze dell’ordine.”

Anche in altre faccende meno rilevanti la “tutela” dei genitori tende a giustificare i figli, anche contro gli insegnanti.

Ma chi sono questi giovanissimi? A quali famiglie appartengono?

Non sono altro che i figli delle nostre famiglie medio-borghesi, quelle che curano l’istruzione dei figli, li fanno continuare dopo la scuola dell’obbligo, permettono loro di fare sport, garantiscono motorino, ginnastica, discoteca, macchina e soldi in tasca. Chi rimane fuori da questa fascia di presunta normalità, e non parlo di “alto status”, è un gruppo particolare: quello degli emarginati. Il ragazzo con sette fratelli che vive in una baracca, con il padre disoccupato e la madre alcolizzata, è chiaro che rimane fuori da questo concetto di normalità. Ragazzi come i “femminielli” napoletani rivelano chiaramente la loro condizione di marginalità, perché non hanno avuto fin dall’inizio le condizioni di vita che avrebbero dovuto garantire loro una “tutela” volta ad impedirgli di cadere in mano ad organizzazioni senza scrupoli che sfruttano i minori.

È facile capire quindi di che cosa parlino i media quando tirano in ballo la “presunta normalità” di giovani soggetti devianti. Come dire: sono figli di benestanti, sono andati a scuola, hanno studiato l’inglese, il pianoforte, sono stati a Londra e New York, eppure hanno ucciso per una rissa. Eppure, tirano i sassi giù dai cavalcavia. Eppure, si drogano, e violentano le ragazzine. Eppure…

È certamente più facile capire i problemi dei giovani dei quartieri a rischio, di quelli, per intenderci, appartenenti alla “lower lower class”. Dove il problema della sopravvivenza, fisica e psicologica, è tangibile, dove il disagio balza agli occhi, dove non bisogna cercarlo tra le pieghe di una routine regolare, iperorganizzata, iperimpegnata, apparentemente iperefficiente.

La tutela primaria

Nel mondo occidentale, in condizioni di benessere dignitoso e di presenza di un supporto sociale fornito dallo Stato, è garantita ai minori (o a quasi tutti) quella che io definisco “tutela primaria”. Nei paesi come il nostro, dove vige un buon capitalismo avanzato, non dobbiamo preoccuparci troppo della “tutela primaria”, ovvero di quella della salute fisica, delle vaccinazioni, della cultura di base attuata attraverso la scuola dell’obbligo. La “tutela primaria” sarà garantita una volta di più in quelle famiglie che hanno introiettato il principio che “i figli vanno tenuti bene”. Lo dimostra il calo di natalità nelle famiglie italiane benestanti.

La scelta dei figli “pochi ma bene accuditi” è ormai da qualche anno la tendenza dominante della famiglia italiana: un figlio o al massimo due per nucleo familiare. Per trovarne tre o di più bisogna uscire da questo standard, e rivolgere l’attenzione a famiglie molto abbienti, dove una prole numerosa non costituisce un problema, o a famiglie diseredate che non hanno fatto propria una cultura contraccettiva.

Ma i nostri “ragazzi normali” a quale tipo di tutela sono soggetti? Alla primaria senza ombra di dubbio: hanno baby-sitter, scuola, televisione…sono sorvegliati speciali sotto ogni punto di vista.

La tutela di base, o primaria, vale la pena di ribadirlo, è indispensabile ma non sufficiente. E se non integrata, in dosi robuste, con quella che io vorrei chiamare tutela di seconda istanza, o “tutela culturale”, rischia di esaurirsi in una somma meccanica di gesti e di eventi, rassicurante ma solo allo sguardo un po’ miope, se non miope del tutto, di chi pensa che l’occuparsi di un minore consista nell’organizzargli la giornata in una serie continua, e controllata, di occupazioni e di esercizi.

In realtà ci vuole dell’altro, ben altro: tutela è anche, e forse soprattutto, conoscenza, partecipazione, in una parola intimità educativa.

I modi con cui si abbandona o si può abbandonare un minore sono infiniti, e forse non è, in qualche misura, una vera e propria forma di “abbandono” anche lasciare da soli i nostri figli alla mercé dei vari gadget tecnologici? Difenderli invece di renderli consapevoli della loro responsabilità?

E poi, nelle lunghe cadenze del ‘tempo protetto’, in casa, scuola e in altre attività, bisogna anche chiedersi come questa protezione viene esercitata, quali ne sono i principi guida, e se questi sono in grado di assolvere – nei limiti, è ovvio, dell’umanamente possibile – le altre e fondamentali funzioni, indispensabili per una crescita armoniosa di giovani.

Bisogna chiedersi: la protezione quotidianamente elargita, è anche “educazione”?

Ed ecco, allora, che il concetto di tutela si amplia, per includere anche il ”modo” in cui questa tutela va esercitata. Un “modo” che varia, e non di poco, di epoca in epoca, e per parlare di questo “modo” dobbiamo richiamarci a situazioni date, a precisi momenti storici: la tutela, il modo in cui deve essere esercitata, come tutti gli altri fenomeni sociali, segue lo sviluppo delle società e il loro incessante mutamento.

Il problema della tutela culturale va interpretato nel senso di rendersi conto delle problematiche del tempo in cui viviamo, spesso del tutto ignorate dai genitori, magari non per la volontà di farlo, ma come risultato di un dilagante “analfabetismo di ritorno”. L’Italia, paese che ha sposato molto bene il modello di fruizione per godimento dei gadgets tecnologici, è anche il paese in cui si legge sempre meno.

 

Nell’era del tempo tutelato

Nell’800 vigeva la “pedagogia nera”, una forma di educazione attraverso la violenza o la forte imposizione. Ad essa ha fatto seguito il “grande permissivismo” in base al quale i bambini potevano fare quello che volevano per dare modo alla loro creatività di svilupparsi. Oggi continua ad avere più sostenitori l’efficientismo che, nello stesso tempo, tutela i ragazzi con impegni continui, distogliendoli, ad esempio, dai “giochi da strada. A mio avviso, il modo più efficace per trasmettere qualcosa di reale ai figli, è l’esempio concreto al posto delle vuote parole. Uno dei problemi, infatti, in quest’era di efficientismo, è che i ragazzi crescendo si trovano di fronte ad una schizofrenia tra quanto viene loro detto di fare da genitori, scuola, Stato, e le icone della nostra società create dal mercato, dai media, dalla pubblicità, dalla mancanza di un modello attendibile, dalla tendenza a legalizzare tutto.

Le famiglie sono figlie della propria epoca: i tratti salienti del periodo storico in cui si è vissuti determinano sia i concetti di educazione sia le aspirazioni che hanno i genitori verso i ragazzi. Purtroppo, quasi tutti i genitori hanno una proiezione inconscia dei loro desideri nei confronti dei figli. Tutti abbiamo avuto nella vita delusioni, desideri, frustrazioni, che arrivati all’età adulta si incrociano con il sistema efficientistico di una società che ti impone di avere successo, o quantomeno di porre il successo come obiettivo del vivere. Dobbiamo allora riconoscere che la “tutela culturale” è, e sarà, impossibile, fin tanto che negli adulti non insorga una nuova coscienza. Dobbiamo cominciare a pensare che è assolutamente demagogico parlare di ‘protezione’, di tutela dei minori al di fuori di un disegno globale di rinnovamento della società. Finché la nostra società non sentirà il bisogno di nuovi modelli di comportamento, pensare veramente e in senso pieno di tutelare i minori è quasi una forma di ipocrisia. Certo: qualcosa si deve fare, sempre e comunque, e lo si fa, ma si tratta di un fare e di un tutelare a dir poco carente, e comunque assolutamente non in grado di assolvere un compito di autentica e compiuta formazione.

Sembra allora evidente che senza “tutela culturale” ogni altra tutela, sebbene indispensabile, non è sufficiente. E di fronte a questa evidenza, tutti gli sforzi di una società consapevole dovrebbero essere quelli di mirare ad una educazione, o rieducazione, degli adulti: un compito arduo, ma non impossibile e di cui dovremmo tutti farci carico.

 SIMONETTA BISI

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