“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – SPORT E SENTIMENTI (QUINTA E ULTIMA PARTE) – EMOZIONI E RICORDI
di STEFANO CERVARELLI ♦
Era un caldo pomeriggio di metà maggio ma, nonostante questo, al Comunale era affluito un numeroso pubblico desideroso di vedere le donne giocare al calcio. Ragazze e ragazzi, amici delle calciatrici, sventolavano delle bandiere ed al parapetto era appeso anche uno striscione.
Ornella aveva ottenuto dal padre il permesso per recarsi a vedere la partita ed aveva raggiunto lo stadio insieme alle compagne di classe, smaniose di vedere Maria all’opera tra i pali.
Dato che mancava un po’ al fischio di inizio, Ornella ne approfittò per scendere negli spogliatoi a salutare l’amica e la cugina.
Trovò Maria già vestita di tutto punto da portiere, proprio come l’aveva immaginata quel giorno sul lungomare: con i pantaloncini imbottiti, le ginocchiere ed i guanti. Le due amiche si abbracciarono; in quel mentre arrivò Paola con la maglia numero nove e con al braccio la fascia da capitano: “Accipicchia che onore!” disse Ornella “Il prof. ci ha detto che dovevamo sceglierci la “capitana” e così tutte d’accordo abbiamo scelto lei” precisò Maria.
Ornella guardò Paola e negli occhi ci lesse una domanda.
“No. Non l’ho visto. Ma tu adesso non ci devi pensare, concentrati sulla partita”.
Paola stava per rispondere qualcosa quando arrivò Vespa che invitò le atlete ad entrare in una stanza degli spogliatoi.
La partita finì 2 a 1 per gli ospiti, ma fu un bell’incontro e le ragazze del professor Vespa giocarono bene mettendo spesso in difficoltà le avversarie con la loro grinta. Paola segnò il goal del momentaneo pareggio finendo sepolta sotto l’abbraccio delle compagne e Maria parò proprio alla fine della partita un rigore scatenando l’esultanza del pubblico, un pubblico che rimase sorpreso di quella prestazione e quando le ragazze uscirono dal campo riservò loro un caloroso applauso. Un pubblico che non si accorse di una ragazza seduta nelle prime file che stava piangendo e di un ragazzo, nascosto nell’ultima fila dietro una colonna che, quando la centravanti civitavecchiese realizzò la rete, esclamò “Brava Paola!”.
In seguito la squadra partecipò a due tornei, ottenendo buoni risultati.
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“Lo dicevo io – disse Giovanni l’edicolante – che sarebbe durata poco: questa città non è ancora pronta per uno sviluppo dello sport femminile, specialmente se si tratta di sport di squadra, perché nell’atletica non è importante il numero, si può anche praticare individualmente, ma quando invece devi formare un gruppo, una squadra, ecco che allora la partecipazione delle ragazze è fondamentale; non si può affrontare un qualsiasi campionato con il numero ristretto di atlete ed al professor Vespa questo è successo: dopo l’entusiasmo iniziale, quest’anno, quando si è trattato di ricominciare, si è trovato con poche ragazze, le più appassionate”.
“Questa volta, allora, – commentò Marco – la città non c’entra, sono state le ragazze a rinunciare a questa occasione”.
“Può essere così” – rispose Giovanni – “ma secondo me le ragazze non hanno resistito alle pressioni ed ai condizionamenti di una città ancora restia alle novità”.
“…Quel che più mi fa rabbia” – riprese Marco – “è pensare ai sacrifici inutili che tante di loro hanno fatto”.
“Guarda Paola con Ivano” – specificò Roberto – tutto questo non è servito a niente…”.
“….No, ti sbagli” – esclamò Giovanni con forza – “non è vero che non è servito a niente. Non diciamo sempre che lo sport è anche scuola di vita? E allora quale lezione migliore di questa? State tranquilli, e se ve lo dico io che ho un po’ di anni più di voi, dovete credere, che le esperienze fatte saranno di aiuto per la loro vita”.
Marco intervenne: “Prima accennavo a Paola ed Ivano, i nostri amici, a loro questa avventura certo ha cambiato la vita, si sono lasciati perché lei voleva giocare e lui era contrario e adesso lui il suo sport ce l’ha, lei invece si trova senza sport e……..senza amore”.
Giovanni, ancora una volta, non fu d’accordo: “Mi dispiace Marco contraddirti, ma per me non è così. Tu hai sempre detto che lei lo ha lasciato per giocare, sei sicuro? Non sarà stato lui ad andarsene ed a lasciarla proprio quando lei reclamava un po’ di indipendenza? Non credi che sarebbe dovuto rimanere al suo fianco, aiutarla, consigliarla, visto che anche lui gioca al calcio? Purtroppo anche il tuo amico Ivano, con le sue arie da ragazzo moderno, si è invece dimostrato vittima del tradizionalismo, del perbenismo del quale sono incrostati i nostri pensieri, le nostre azioni, che vuole per le donne solo certe categorie di attività e lo sport, purtroppo, ancora non è fra queste. Può andar bene da bambina, da ragazzetta, ma poi basta; e poi alla fine sapete cosa vi dico? Meglio così, perché, se non ci fosse stata questa occasione, la diversità tra il loro modo di pensare sarebbe emersa poi, in qualche altra circostanza, quando forse sarebbe stato troppo tardi. Ivano si è rivelato insensibile, chiuso ed allora per Paola è stato meglio scoprirlo subito, anche se questo le ha provocato dolore”.
“Ma anche a lui dispiaciuto!” esclamò Marco.
“Poteva far prevalere l’amore” rispose Giovanni.
“Ma lui le voleva bene e una ragazza cosa vuole di più del bene dal suo ragazzo? “ – intervenne Roberto.
“E’ qui che non ci capiamo, caro Roberto, questo è uno dei più grossi guai della nostra città: accontentarsi di recitare il proprio ruolo, che vuole la donna “subordinata” al bene del proprio uomo, dedita alla sua persona; Paola voleva fiducia, rispetto e voleva essere accettata così com’è, insomma voleva amore, quello vero”.
“Comunque” – intervenne Marco – “Paola sarà rimasta pure senza amore, ma non rimarrà senza calcio. Ho letto sul Corriere dello Sport che una società di Grosseto è interessata a lei e le ha fatto un’ottima offerta: centravanti titolare e posto di lavoro nell’azienda legata alla società”.
“Sono contento” – affermò Giovanni – se lo merita proprio, se non altro per il coraggio ed il prezzo che ha pagato per la sua scelta; ma vedete la differenza? Qui lo sport femminile viene boicottato, là gode dell’appoggio industriale! “ ed uscì per chiudere l’edicola.
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“Caro Vespa,
tu ci hai lasciato ed a me è dispiaciuto moltissimo non poter essere a Civitavecchia il giorno dei tuoi funerali. Ma da questo giornale, che tu leggevi ogni giorno, pur non esentandoti da commenti e critiche, voglio esprimerti tutto il mio ringraziamento ed il mio saluto di vecchio cronista.
Sono sicuro che sarai contento nel vedere che la città, dove tu arrivasti da L’Aquila appena dopo la guerra e nella quale scegliesti di rimanere, non ti ha dimenticato e soprattutto non ha mandato persi i “semi” di sport da te gettati; quei semi sono cresciuti ed hanno prodotto molti frutti.
Il basket: del quale tu gettasti le fondamenta, in quel lontano ’46 sulla piattaforma del Pirgo, essendone ispiratore, giocatore ed allenatore, è andato, seppur con risultati alterni, sempre più affermandosi, diventando una realtà dello sport locale.
Fosti tu ad organizzare nella nostra città i primi corsi regolari di tennis ed i primi tornei, nonché corsi di equitazione a Tarquinia ed a Santa Marinella.
Il calcio femminile, che allora durò poco e non certo per colpa tua, ebbe il grosso merito di porre all’attenzione della città il tormentoso problema per le ragazze: “sport o amore”, contribuendo, se non altro, ad aprire un varco nella nostra vecchia mentalità ed a farci accettare le ragazze “anche” come atlete.
Oggi questo sport è praticato con ottimi risultati, seppure in forma ridotta (calcetto) da decine di ragazze che non conoscono la storia di quelle antiche pioniere.
Ma c’è un’attività, di cui tu allora, agli inizi degli sessanta, tracciasti la strada che oggi nella nostra città si è diffusa a macchia d’olio, trovando degni successori alcuni dei quali anche tuoi vecchi allievi: parlo della tua palestra di “Ginnastica Moderna e Danza”, dove, oltre a queste attività, introducesti in un secondo momento l’attrezzistica e le prime arti marziali, judo e karate: cose mai viste a Civitavecchia. Indubbiamente questo è stato il “seme” che ha prodotto i frutti più rigogliosi, a giudicare dal numero delle palestre e delle discipline sportive che in queste si praticano: una realtà che ben si è inserita oramai nel tessuto sportivo cittadino.
Vedendo queste grandi palestre ,corredate di ogni tipo di macchine, attrezzi, con in terra tappeti ed ai muri grandi specchi, mi torna alla mente quella tua minuscola palestra in via Cialdi, dove io, da ragazzino, insieme ai miei compagni del Ghetto, venivo a spiare dalle finestrelle le ragazze in calzoncini che facevano ginnastica.
Mi ha fatto piacere sapere che la tua attività così come iniziata, si sia conclusa tra decine e decine di bambine danzanti, in una nuova palestra, proprio di fronte a quella di via Cialdi.
Infine, caro professore, voglio ringraziarti per quelle pillole di sobria saggezza sportiva che tu donavi a noi, giovani sportivi, aiutandoci a maturare, in quel tempo in cui, tutti insieme, cercavamo di portare un vento nuovo nel nostro mondo sportivo….”
Dalle pagine de Il Messaggero, quaranta anni dopo.
La donna, con il volto ancora bello, incorniciato da riccioli bianchi, si tolse gli occhiali, posò il giornale accanto a sé sul divano e guardò fuori dalla finestra: stava scendendo la sera ed aveva ripreso a nevicare.
“L’avevano detto che quest’anno sarebbe stato un inverno rigido e che avrebbe nevicato anche a Civitavecchia. Quanti anni sono passati dall’ultima volta? Chi si ricorda più…forse trenta o un po’ di meno. …..ma tu già non c’eri più”; nel frattempo
stringendosi lo scialle sul petto si era avvicinata a un mobile dove, tra le altre foto, ce ne era una che ritraeva una ragazza mora, giovanissima, vestita da portiere: calzoncini imbottiti, ginocchiere, guanti. Era piena di gioia e rideva… rideva come solo sanno ridere i portieri che hanno appena parato un rigore e sognano di pararne ancora….
“E così, il nostro prof. ti ha raggiunto” – disse Ornella.
( fine)
STEFANO CERVARELLI