Almanacco civitavecchiese di Enrico Ciancarini – “Nota de’ Patentati, che attualmente assistono al S. Officio”. Inquisizione ed intellettuali nella Civitavecchia del XVIII secolo. – Parte II
di ENRICO CIANCARINI ♦
Pietro Verri, illuminato direttore del milanese Il Caffè, dovette soddisfare più volte le richieste del fratello Alessandro, che trasferitosi a Roma nel 1767, desiderava ricevere alcuni numeri del loro giornale ed altri libri non reperibili nella capitale papale perché non permessi dalla rigida censura ecclesiastica. Per la prima spedizione Alessandro consigliò il fratello di nascondere i libri e i giornali richiesti “in una balla con altre cose destinategli e di inviarla a sua Eminenza il Cardinale Lante”. A metà ottobre, la balla parte da Milano, giunge a Genova e qui è imbarcata su un vascello con rotta Civitavecchia dove è scaricata senza essere sottoposta alla dogana ed è subito caricata sulla carrozza dove spicca lo stemma cardinalizio. Finalmente nel mese di dicembre, la balla raggiunge inviolata Alessandro a Roma. Storici e romanzieri concordano nell’individuare nei cardinali e nei loro domestici i più attivi contrabbandieri all’interno dello scalo tirrenico. La prudenza spinge però i fratelli Verri a modificare ogni volta l’itinerario e così il successivo pacco transita per Parma e arriva a Roma per valigia diplomatica (francese).
Fabio Tarzia, che rievoca l’episodio nel volume Libri e rivoluzioni. Figure e mentalità nella Roma di fine ancien régime (1770-1800), pubblicato nel 2000, in quelle pagine accenna varie volte a Civitavecchia, uno dei luoghi privilegiati per il transito di quei libri proibiti dall’Indice e per questo particolarmente ambiti e preziosi per quei lettori che nella Capitale della Cristianità smaniavano per averli, disposti a strapagarli. Nelle sue pagine, lo studioso di storia dell’editoria segnala che:
“Le sorgenti del flusso empio erano un po’ dovunque, nell’Europa protestante ed illuministica. I testi pericolosi penetravano a tenaglia, attraverso la via tirrenica, cioè entrando da Civitavecchia, e tramite il percorso adriatico, passando per Ancona. In Italia erano due le realtà editoriali più pericolose, costantemente sotto osservazione da parte dei funzionari del S. Uffizio: la Toscana e Venezia”.
Dalla Svizzera, le casse di libri a dorso di asino percorrevano l’itinerario Ginevra – Torino – Genova. Qui stipate nei vascelli che rifornivano di merci di ogni genere la città del papa, arrivavano a Civitavecchia dove venivano accuratamente ispezionate dalla dogana pontificia. Era il momento più delicato del traffico: se gli attenti agenti della dogana, affiancati dagli ufficiali del Sant’Offizio, concedevano il beneplacito, i libri potevano proseguire per Roma. Un viaggio del genere aveva una durata in media di tre mesi per raggiungere la meta finale.
Adriano Prosperi, fra i maggiori studiosi del Sant’Uffizio romano, fornisce un altro esempio di rotte editoriali, in questo caso clandestine. Nel volume L’Inquisizione romana: letture e ricerche del 2003 riporta un passo della denuncia anonima che da Londra arriva a Firenze nel 1765 per colpire Filippo Mazzei, l’eroe toscano della Rivoluzione americana, acceso filosofo e noto polemista dell’epoca:
“Filippo Mazzei, peste del secolo, di cui i posteri avranno orrore, trovasi adesso in Italia. Caricò sopra vari vascelli una quantità di queste esecrabili produzioni per Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli e Messina con falsi titoli. S’incamminò per la posta egli dopo per l’Italia co’ veri titoli distaccati nel suo baule”. L’anonimo delatore elenca i titoli dei libri proibiti: “l’uomo machina, l’istoria dell’anima, le lettere iroquesi, la vergine d’Orleans, il dizionario filosofico portativo, la filosofia dell’istoria, la materia Iddio, il paradiso annichilito, l’inferno spento, il purgatorio fischiato, i santi banditi dal cielo, Priapo creatore”.
Nello Stato della Chiesa, a contrastare i nemici della fede e a sequestrare le loro “stampe perniciose e sediziose”, erano attivi nove tribunali dell’Inquisizione: Ferrara, Bologna, Faenza, Rimini – Pesaro, Ancona, Fermo, Gubbio, Perugia, Spoleto con radicate e zelanti diramazioni nei centri più piccoli.
La città e il porto franco di Civitavecchia sono oggetto della scrupolosa vigilanza esercitata dalla locale Vicaria posta alle dirette dipendenze della Congregazione centrale romana.
I frati domenicani vicari del Sant’Uffizio hanno sede nel Convento e nell’annessa Chiesa di Santa Maria, posti strategicamente sulla Prima strada da cui si affacciano sull’angusta calata dello scalo civitavecchiese. Dalle finestre del convento, dominante l’animato specchio d’acqua, il Vicario del Sant’Uffizio può attentamente controllare il traffico portuale. La voce del Dizionario dell’Inquisizione curato da Adriano Prosperi riguardante lo Stato della Chiesa, puntualizza che:
Specifici vicari generali dell’Inquisizione romana risultano attestati, per esempio, nelle zone dipendenti dalle abbazie di Farfa e di Subiaco, nonché nella città di Civitavecchia. Nei confronti di quest’ultima, che era un porto di rilievo e quindi porto d’arrivo di idee e di libri proibiti, l’attenzione del Sant’Uffizio romano rimase elevata ben oltre il tramonto dello Stato papale: l’esistenza del vicario generale di Civitavecchia è documentata fino al 1880.
La ricerca che ho condotto nell’archivio dell’Inquisizione, oggi Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha fruttato un elenco parziale dei Vicari generali, tutti appartenenti all’Ordine di San Domenico, attivi a Civitavecchia nel XVIII secolo:
Fazi Giuseppe Maria 1699
Ceroni Vincenzo 1704
Bianchieri Antonio Maria 1707
Benrecinuti Lorenzo 1710 (padre Labat ne è provicario)
Chiappini Ambrogio Maria xxxx – 1745
Zolla Raimondo 1746 – 1775
Bernardi Pier Domenico 1776
Giannelli Giacinto 1782?
Controversi Vincenzo Maria 1786 da Valentano
È molto probabile che il ruolo di vicario combaciasse con il ruolo di guardiano del convento. A lui e ai confratelli religiosi era affidato il compito di vegliare sull’ortodossia e fedeltà alla chiesa dei civitavecchiesi e di coloro che sbarcavano nel porto. Inoltre, la darsena ospitava più di un migliaio di galeotti (fra cui alcuni condannati per eresia) e centinaia di schiavi musulmani, la cui sottomissione verso i precetti cristiani era certamente ad un livello bassissimo. Bisognava prestare particolare attenzione ai frequenti contatti che schiavi e galeotti avevano con i bravi cristiani che bazzicavano quotidianamente il bazar e i caffè gestiti dai condannati al remo.
Padre Raimondo Zolla custodisce per trenta anni l’ortodossia a Civitavecchia ed è colui che procede all’arresto del libraio Branchi e al sequestro dei suoi libri nel 1773, come narrato nell’articolo precedente. La missione più importante affidatagli da Roma è vigilare, con cento occhi, sul transito e commercio dei libri che vengono scaricati a Civitavecchia dalle navi provenienti da ogni parte d’Europa.
Nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, sito in Piazza del Sant’Uffizio (aperto agli studiosi nel 1998 da papa Giovanni Paolo II e dall’allora cardinale Joseph Ratzinger), è custodito un documento particolarmente interessante e prezioso per la storia di Civitavecchia: la Nota de’ Patentati, che attualmente assistono al S. Officio di Civitavecchia redatta il 19 luglio 1756 e corretta negli anni successivi dal vicario dell’Inquisizione a Civitavecchia.
Padre Zolla invia ai suoi superiori romani della Congregazione l’elenco aggiornato dei membri laici che formano la famiglia civitavecchiese addetta al Sant’Uffizio:
“Sig. Girolamo Capalti, cittadino mercante, d’anni 65, Fiscale.
Sebastiano Aloisi, cittadino vivente d’entrata, d’anni 54, Avvocato de’ Rei.
Giuseppe Antonio Pieromaldi ? cittadino agricoltore anni 48 cancelliere – sostituito nel 1759 da A. Torraca.
Francesco Maria Biamonte cittadino vivente d’entrata d’anni 58 Cancelliere sostituto – sostituito da A. Torraca, poi da Biagio Annovazzi 1760.
Gaspare Ceccantonelli cittadino mercante d’anni 53 Mandatario poi Vincenzo Ceccantonelli 1761.
Salvatore Azzarani cittadino vivente d’entrata d’anni 47 Provveditore de Carcerati rinuncia e fu fatto Gaetano Azzarani di lui figlio 1772.
Benedetto Ricciani cittadino mercante d’anni 46 sottomandatario poi Cesare Centofanti.
Pietro Antonio Gigli cittadino mercante d’anni 67 Depositario poi Vincenzo Santini 1763.
Alessandro Torraca cittadino droghiere d’anni 59 Primo familiare.
Francesco Luchetti mercante d’anni 54 secondo familiare.
Antonio Luchetti mercante d’anni 39 Primo famulo e custode.
Francesco Desplas, cittadino mercante, d’anni 38, secondo famulo e custode.
Gio Lazzaro De Angelis, notaro, d’anni 44, terzo famulo e custode.
Felice Angelo Graziosi, mercante, d’anni 63, quarto famulo e custode.
Donato Bucci, salumaio, d’anni 29 quinto famulo e custode, quale ottenne la patente in grazia dell’ill.mo Monsig. Guglielmi.
Pietro Dumas, cittadino mercante, d’anni 42 famulo poi Camillo Forgies 1776.
Michele Angelo Giliotti in luogo di Donato Bucci.
Nella Città di Corneto Giovanni Francesco Lucidi cittadino ministro per tutte le occorrenze.
Nella Tolfa Alessandro Buttaoni cittadino ministro per tutte le occorrenze.
Filippo Buttaoni 1760”.
Nella lista sono presenti nomi illustri di esponenti di alcune delle famiglie più in vista della città. Lo storico dell’Inquisizione romana Dennj Solera nel volume Sotto l’ombra della patente del Santo Officio (2019) illustra i motivi che spingono gli esponenti delle famiglie benestanti ad entrare al servizio del vicario:
“Ricevere la lettera patente in qualità di famiglio dell’Inquisizione garantiva il godimento di una serie di privilegi considerevoli, che in alcuni casi coincisero con l’esenzione totale delle tasse, il permesso di portare le armi proibite dai bandi, il diritto a sottostare soltanto alla giurisdizione dell’inquisitore e altre immunità di natura militare, sociale e spirituale”.
Un esempio di cosa significasse appartenere alla famiglia del Sant’Uffizio a Civitavecchia, lo fornisce un articolo apparso sulla torinese Gazzetta del Popolo del 1 febbraio 1856 quando ancora Civitavecchia era sotto il dominio dello Stato della Chiesa, il papa re era Pio IX:
“Giustizia turca o nardoniana che è tutt’uno. – Un certo Ubaldo Ferri, ben noto in Civitavecchia per le sue turpitudini, avvenne che sere sono insultasse con atti e parole la forza pubblica, dalla quale venne posto in arresto. Il mattino il vicario del Sant’Uffizio si recò da monsignor delegato per dimandargli la libertà del Ferri, ed alle rimostranze del delegato rispose essere quegli un famiglio del Sant’Uffizio, e non potersi né arrestare né condannare per qualsiasi titolo senza il suo permesso. Il delegato, sia per viltà, sia per non voler mordere si grossi cani, diede l’ordine immediato perché il Ferri fosse posto in libertà”.
Filippo Nardoni era il capo della polizia “politica” e segreta dello Stato pontificio che “sfruttando una vasta rete di informatori e spie (fiduciari), tenne costantemente sotto controllo gli individui sospetti al governo, compreso il console francese a Civitavecchia, Marie-Henry Beyle, il noto scrittore Stendhal” (dalla sua scheda sul DBI curata da Ignazio Veca, 2012). Anche Benedetto Blasi e gli altri “liberali” civitavecchiesi furono sotto il suo stretto e segreto controllo.
Come detto, appartenere alla famiglia del Sant’Offizio accordava peculiari privilegi di immunità ed impunità preziosi in una città come Civitavecchia in cui contrabbando ed altri traffici illeciti erano all’ordine del giorno, occulto soccorso ad un’economia asfittica e sterile per lunghi e difficili tempi.
(Continua)
ENRICO CIANCARINI
Molto interessante.
Paola
"Mi piace""Mi piace"