DE RERUM NATURA

di CARLO ALBERTO FALZETTI

 

Lungo il viale irto di urne

Procedevo  inquieto.                                                                                                                                                                                       

 Larve sostenute dal ricordo

sembravano afferrarmi.

 “Fermati, parla di me,

 non procedere oltre.”

Vidi d’un tratto la tua, Gaio, col sorriso  impresso sul travertino rugoso

Il passato di colpo contaminò il presente.

Nel negozio della parrucchiera vicino all’Archetto eri lì che  massaggiavi i piedi stanchi

le catene avevano fatto il loro lavorio lungo l’intera processione.

Mi guardavi imbarazzato. Ed io mi interrogavo.

 Perché dovevi essere lì , in quel luogo, confuso tra i penitenti?

Inesorabile la colpa  guidava il tuo passo stanco?

 La colpa?

Civitavecchia degli anni sessanta, ventenni  consumano la loro manciata di esistenza.

Ed una scena guizza alla memoria.

Ci sono  occhi che guardano , un po’ mentecatti  dallo sguardo morboso,

tu riverso supino sul tavolo di legno  dove delirando compagni si lasciano agli ardori .

Appena sortito dai dubbi dell’adolescenza comprendesti il gioco sottile che la Natura ti aveva riservato.

 Fuggivi il corpo di femmina

  e vertiginosamente scivolavi dove il buon senso della gente rifiutava di accoglierti.

Per quante volte ti convincevano della “retta via”, per tante ancora tu persistevi godendo dell’ingordigia 

che la Natura ti aveva offerto.

Necessità impediva ogni  deviazione: la debole possibilità del clinamen non ti apparteneva.

Tu dovevi essere ciò che eri. Niente altro, niente altro.

Ahitè, ahinoi!  Il tempo della tua esistenza era così lontano dall’impetuosa età dell’orgoglio esibito .

Allora Civitavecchia era meta di romane gioiose escursioni notturne. La provincia dei vitelloni

e la turba  gaudente di avventure immonde.

Ma tu avversavi tutto questo perché il mercimonio

insozzava di fango ciò che era tendenza ricca di piacere e così rispettosa della Natura.

Ricordi quando ti scovai col tuo compagno del momento a trasformar gite archeologiche

 in sollazzi tra i prati verdi della maremma?

E ricordi il pulsar delle vene quando il tedio  dell’età scioglieva il pudore e liberava il vigore?

 Un vascello  ricolmo di  desiderio che non poteva trovare nessun approdo sicuro,

 onde impetuose ti respingevano verso il mare alto, presto saresti stato sfiancato, roso, macerato.

Ti persi col tempo che inesorabile si imponeva sulle nostre vite, altre voci ci reclamavano.

la gioventù si consumava e presto ognuno di noi mise su famiglia e lavoro.

Tu rimanesti solo tra i marosi, lontano da ogni approdo. Solo colle tue brame.

Mancava l’amore, certo,

ma come era possibile in quella età dannata?

Trasformasti la volontà della Natura in colpa da espiare presso la morbosa gente.

Come mettesti in atto la fine? Nella tua fine c’erano tutti i semi dell’inizio.

Non ci fu nulla di tranquillo in quella fine. 

Morte ti sommerse acerba.

Tu ,Onnipotente, ancora una volta a te chiedo di mostrarti. Se vuoi.

 Osserva, vieni più vicino, non aver timore della Natura che tu producesti dal nulla.

Guarda, Onnipotente, come è tesa la corda. Poco fa dondolava come pendolo. Ora è ferma.

Osserva con attenzione ciò che rende la corda così tesa lungo la tromba della scala.

Osserva come ora essa è a piombo perfetto tra la ringhiera di ferro ed il peso che la tende.

Quel peso, Onnipotente, grida a te il suo tormento.

Dove sei ora, amico d’un tempo?

Vorrei  ideare un trillo, forse un bisbiglio, un grido armonioso  per poterti un giorno scovare tra le turbe

ineffabili delle ombre nell’Ade.

.  .   .  

 

L’immane farsa umana trova anche il momento di raccapricciarsi e di invertirne poi il senso e quello che ieri era obbrobrio per le genti ora si mostra quale ordinario modo di essere.

Non cercare, lettore, qualcosa in quel nome che, se  caro a Lucrezio, è  fuori luogo per le nostre vicende . A cosa ti serve un nome?

Accogli la realtà per come è narrata e ciò ti basti.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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