“CHE AMBIENTE CHE FA” DI LUCIANO DAMIANI – LA TRANSIZIONE NOSTRANA

di LUCIANO DAMIANI

Recentemente é stato presentato il “PIANO DI TRANSIZIONE ECOLOGICA PER CIVITAVECCHIA 2022-26”, con sottotitolo: “Promozione di riconversione produttiva e valorizzazione territoriale dell’area di Civitavecchia a ridotto impatto ambientale”.

Da un lato il titolo appare indiscutibilmente chiaro, si tratta di abbattere l’apporto di inquinanti e di climalteranti, dall’altro, il sottotitolo, parla di “promozione” e “valorizzazione territoriale”, termini che, a chi é per natura diffidente, paiono annunciare particolare attenzione alla crescita industriale e logistica, crescita che, se pur in parte o buona parte sostenibile, non pare essere coerente del tutto con la necessità di una radicale riduzione degli inquinanti, riduzione che sarebbe la priorità di questo territorio e non solo.

Il documento consta di circa 300 pagine dense di dati e statistiche, di obiettivi progettuali strutturati ecc…. La sua lettura porta a pensare che si tratti di un piano con obiettivo principale la crescita economica del territorio, si ipotizzano, assieme a quelle attività tipicamente collegate e propedeutiche alla transizione ecologica, come ad esempio la produzione di pale eoliche e sistemi per l’idrogeno, anche massicci incrementi di traffico logistico assieme a cantieristica se pur dedicata a produzioni tipicizzate da soluzioni sostenibili, comunque non propriamente legate all’obiettivo di quella transizione ecologica di cui necessita questo territorio asservito alla produzione energetica ed all’intenso traffico croceristico.

Così inizia l’elaborato:

“Nel seguente documento si analizzano e si pianificano le azioni di progresso del territorio di Civitavecchia attraverso la definizione di un nuovo indirizzo strategico per lo sviluppo economico territoriale incentrato sulla transizione ecologica”

Quindi l’obiettivo del progetto non é propriamente la “transizione ecologica”, come da titolo, bensì lo sviluppo del territorio con una strategia che “tiene in conto” la sostenibilità ambientale. Siamo quindi di fronte ad un titolo fuorviante, ci si attenderebbe cioè attività svolte ad abbattere l’impatto ambientale delle attività umane nostrane.

Nella sintesi del piano quanto detto é chiaro:

“L’ambizione di Civitavecchia è poter gestire il traffico merci dell’Italia centrale, in parallelo con il potenziamento del turismo crocieristico, in un’ottica sostenibile”.

E poi:

“La produzione energetica sarà riconvertita e sarà incentrata sull’utilizzo di rinnovabili e di accumulatori di energia, in modo che Civitavecchia possa essere dotata di una potenza di rinnovabili sufficiente per renderla a zero emissioni e possibilmente non connessa alla rete, salvo che per opportunità di sicurezza di approvvigionamento in caso di emergenza”.

Ancora:

“L’elettrificazione delle banchine è un percorso fondamentale per la decarbonizzazione di Civitavecchia, è doveroso altresì considerare che affinché sia realmente sostenibile: 1) l’energia che alimenta le banchine dovrà provenire da fonti rinnovabili; 2) gli armatori dovranno essere motivati e incentivati ad adeguare le loro navi per l’elettrificazione in banchina”.

Lo sviluppo croceristico:

“la crescita del porto può proseguire se si riesce a coinvolgere nei progetti i porti del sud e dell’est del Mediterraneo che ora sono spinti da un tasso di crescita maggiore”,

é da molti auspicabile, specie nell’ottica di quella vocazione turistica spesso evocata ma il “Piano” non si ferma certo qui, ipotizza infatti un deciso incremento del traffico merci in concorrenza con altri scali più dotati:

“La linea strategica 1 “Trasformazione dell’area portuale in hub logistico del Mediterraneo” è basata sulla previsione che il commercio marittimo continuerà a rappresentare nei prossimi decenni la modalità prioritaria di scambio. La competizione tra i porti del mondo – soprattutto quelli che ambiscono a inserirsi lungo le rotte mercantili principali – già oggi è serrata e il porto di Civitavecchia ha molto terreno da recuperare su alcuni aspetti chiave dello sviluppo portuale come l’infrastrutturazione, l’integrazione con i sistemi economici afferenti, l’attrazione di investimenti e la sostenibilità”.

E ancora:

“Civitavecchia si inserisce in questo scenario con l’occasione di colmare un divario cruciale per lo sviluppo nazionale. Le infrastrutture portuali attuali non sono più in grado di soddisfare la domanda del territorio, questa viene soddisfatta da porti più distanti e costosi, ma che sono in grado di offrire servizi e tempistiche di primo piano”.

L’inserimento del porto di Civitavecchia nel corridoio europeo TEN-T promette la crescita dei traffici, l’obiettivo dichiarato di questo documento. Nelle analisi vengono considerati tutti i maggiori aspetti legati a questo tipo di traffico specialmente la questione trasporti. Si considera l’ampliamento dei collegamenti su rotaia e, grazie al completamento della trasversale per Orte e la realizzazione del polo logistico, il raddoppio del trasporto su gomma. Questo rende l’idea dell’obiettivo di questo documento.

Come un tale incremento dei traffici possa essere compatibile con la “transizione ecologica” non é molto chiaro, forse lo sarebbe se nel piano fosse indicata una sorta di “road map”, se fossero cioé evidenziate priorità d’azione, invece non si va al di la di indicazioni di breve, medio e lungo periodo e una poco esaustiva tabella con date per intervento, non é esplicitato alcun rapporto temporale fra le varie tipologie di intervento. Difficile pensare che tutte le navi che transiteranno per il nostro porto e tutti i camion che ne movimenteranno le merci siano ad impatto zero, né ne é ipotizzato l’incremento post transizione energetica. É lecito quindi pensare che, ammesso che il piano vada in porto, avremo forse un deciso incremento di emissioni prima di arrivare alla neutralità ambientale. Lo stesso documento, citando i dati dello Studio di Coorte del 2016 ribadisce come sia assolutamente necessario l’abbattimento delle fonti inquinanti.

“…proprio perché lo stato di salute risulta oggi compromesso a seguito di esposizioni ambientali dei decenni trascorsi, è indispensabile attuare oggi le misure di prevenzione primaria limitando l’esposizione della popolazione a tutte le fonti inquinanti presenti sul territorio legate agli impianti energetici, al riscaldamento, al traffico stradale e al traffico marittimo”.

 Certo si parla diffusamente di energie sostenibili della loro implementazione ed utilizzo:

“Il cold ironing è solo il primo passo per ridimensionare l’impronta ecologica portuale; mobilità sostenibile a zero emissioni e basata sulla produzione, stoccaggio e utilizzo dell’idrogeno (progetto LIFE3H – hydrogen valley), digitalizzazione e rivoluzione informativa nei processi di gestione e reciprocità energetica sono i cardini di questo piano d’azione. È questa la missione più strategica e sfidante perché poggia sulla realizzazione di una serie di progetti pilota (come il progetto ZEPHyRO per il totale azzeramento di emissioni di gas serra da attività portuali)”.

Ma la domanda sorge spontanea: ammesso e non concesso che le attività propedeutiche ad incrementare i traffici ovvero: implementazione di efficaci collegamenti su ferro, conclusione della superstrada per Orte e realizzazione del collegamento ferroviario, efficientemento della piastra logistica e delle procedure, realizzazione della linea ferroviaria diretta per Fiumicino ecc… vengano portate a termine, sarà al contempo portato a termine il progetto della Hydrogen Valley, del parco eolico offshore, della elettrificazione delle banchine? Il parco TIR avrà già trasformato il suo tipo di trazione?

“I costi indicano che nel 2025 i tir a batteria saranno i più competitivi sul mercato, mentre per quanto riguarda l’utilizzo dell’idrogeno è necessario aspettare fino al 2030 per ottenere una riduzione maggiore dei costi. La maggiore competitività delle nuove tecnologie nel caso dell’ingresso delle grandi case di produzione e l’arrivo della produzione su scala, permetterebbe anche in caso di variazione del prezzo dei carburanti la vantaggiosità di queste”.

Prese per buone queste due date potremmo ragionevolmente pensare che avremo sul nostro territorio TIR a gasolio ancora per molti anni e sempre in maggior numero se l’incremento dei numeri di traffico di questo progetto si avverasse. Solo dopo il 2030 “inizieremo” ad avere trasporti ad impatto zero.

“Nell’analisi degli scenari sono state prese in considerazione la possibilità di introdurre lo stop alle vendite dei mezzi diesel al 2040, misura attualmente considerata dura e molto rapida. Nonostante il divieto alle vendite si può vedere come in ogni scenario, una buona parte del parco mezzi resterà comunque a fonte convenzionale, in quanto si considera una vita media dei mezzi di circa 14 anni, che rendono possibile il mantenimento di trasporti diesel e delle conseguenti emissioni.”

La possibilità che il porto di Civitavecchia veda accrescere i suoi traffici commerciali é realistica, grazie anche all’abbassamento del fondale per poter ospitare navi più pescanti e visto che é rientrato nel corridoio TEN-T. Bisogna però vedere se questo aumento sarà sostenibile in termini ambientali. Forse avremo una centrale in meno ma tanti camion e navi in più. Servitù dopo la servitù?

E’ doveroso comunque dire che l’elettrificazione delle banchine, considerata prioritaria nella rete TEN-T, pare un obiettivo raggiungibile anche nel breve periodo:

“Per la realizzazione di questo impianto nel porto di Civitavecchia sono stati stanziati 80 mln, permettendo di elettrificare la totalità delle banchine presenti sul porto, il bando dovrà essere assegnato entro il 31 marzo 2024 e i lavori ultimati per il 30 giugno 2026. La macchina autorizzativa su diversi livelli avrà bisogno di velocità e semplificazione”.

Ma esiste il dubbio che il numero di navi dotate di connessione elettrica, per quel tempo, sia significativo. Ma certo questo non può essere un freno.

Più che un progetto questo pare un dettagliatissimo elenco di attività, un assai nutrito elenco, talmente “nutrito” da apparire utopico e senza senso. Fra le tante attività proposte, oltre alle specifiche legate alla transizione energetica, come la realizzazione delle pale eoliche e relativa componentistica, fibra di carbonio, elettronica ecc…, la produzione di idrogeno e dei motori, c’é anche la cantieristica navale, l’hub logistico, il terminal per GNL e quant’altro.

Riguardo il GNL si prevede che le grandi navi utilizzeranno questo combustibile, dal che si propone Civitavecchia come HUB del GNL e quindi oltre ai depositi si ipotizza un rigassificatore

“Per poter usufruire della tecnologia è necessario però costruire un massiccio impianto di stoccaggio, di rigassificazione e costruire una catena di distribuzione, trovando un accordo con le aziende produttrici e distributrici del gas”.

Il GNL non é propriamente un combustibile ad impatto zero anzi, é un fortissimo climalterante decisamente maggiore rispetto alla CO2, però dice che inquina meno del gasolio o del carbone.

“In ogni caso, considerato che l’alimentazione delle navi si sta indirizzando verso l’uso del GNL (già obbligatorio all’interno del mar Baltico), sarà comunque indispensabile riservare lo spazio necessario in ambito portuale per gli impianti GNL, favorendo le navi che usino questo combustibile. Tuttavia, nonostante l’uso del GNL garantisca notevoli riduzioni delle emissioni inquinanti (SO2, NOx, PM), presenta punti di criticità riguardo alle emissioni climalteranti nella fase dello stoccaggio, sia negli impianti sia a bordo dei veicoli oltre a rilevanti problemi di sicurezza e di impatto paesaggistico.

Le aziende del settore navale stanno puntando su questo nuovo carburante in maniera massiccia, evidente è l’esempio di Costa, che ha commissionato 5 delle 7 nuove navi della flotta a GNL”.

La credibilità di questo “progetto” é tanto minore quanto meno in esso si fanno scelte precise di indirizzo. Insomma dentro c’é tutto ciò che é ipotizzabile, evidentemente troppo, e senza una chiara ipotesi sequenziale, come precedentemente detto. Nell’analisi vengono considerati i numeri del traffico portuale essendo il primo porto croceristico italiano ma l’ottavo per quanto riguarda le altre merci, ad esempio:

“nel porto di Civitavecchia, sempre nel 2019, hanno attraccato 227 navi porta container, quasi un terzo delle navi porta container che attraccano nei porti di Livorno (622)”.

Il progetto pretende di produrre un aumento di traffico generalizzato per ogni tipologia di traffico, evita cioè di compiere scelte strategiche. In realtà sceglie di non farle, auspica una crescita generalizzata dei traffici e dello sviluppo considerando che la ZLS (Zona Logistica Speciale) produca importanti investimenti generalizzati. Tanta é la fiducia riposta che si presume la decuplicazione del traffico commerciale in meno di dieci anni:

“La capacità attuale del porto è di circa 110.000 TEU annui, rende il porto uno degli scali italiani incompiuti sotto il punto di vista commerciale. Lo sviluppo crocieristico ha permesso comunque una buona crescita del porto, ma che non può ulteriormente trascinare il territorio senza una ristrutturazione. Per questo si pone l’obiettivo per la città di realizzare un polo con la capacità di innovare a livello nazionale nella logistica, energia e capacità di impresa. Il porto deve essere il traino di questa visione e grazie ai potenziamenti in programma si inquadra come obiettivo l’aumento del traffico commerciale fino a 1 mln di TEU per il 2030, con una particolare attenzione al rispetto dell’ecosistema circostante”

Avessi avuto l’occasione avrei chiesto: Pensate che sia compatibile lo sviluppo turistico, che pure avete considerato con tanto di mappatura dei luoghi e sinanco dell’offerta alberghiera, con lo sviluppo industriale come indicato nel progetto? Non sarà che saremo ancor più invasi da fumi? Ecco, forse proprio a questa domanda il progetto non risponde. Ha senso la ricettività extra lusso, anche questa prevista, in un territorio che si vuole così industrialmente sviluppato? Non é forse necessario dotarsi di indirizzi precisi e di scelte dirimenti?

In questo documento manca uno dei soggetti principali, uno di quelli che non si può tenere in disparte, manca la città, non viene considerata se non per una attività di mappatura degli immobili per identificarne uno utile ad essere trasformato in HUB della transizione, un grande immobile che posso ospitare laboratori, sale conferenze, uffici ecc…, anzi no c’é anche l’idea di trasformare il riscaldamento da “caldaia a gas” a “pompa di calore”. É assente qualsiasi riferimento specifico all’attività amministrativa nel ridisegnare la città con principi istruiti alla “transizione energetica”, per dirne una, nell’analisi dei bisogni energetici, si prevede il raddoppio del traffico pesante mentre si considerano immutate le esigenze del trasporto pubblico, forse si pensa che le auto private saranno tutte elettriche nel “breve periodo”? Più probabilmente il progetto non tiene conto della “amministrazione” della città, della possibilità che il tessuto urbano in senso lato possa anch’esso trasformarsi secondo le esigenze della transizione ecologica. Non si parla cioé di TPL, di pedonalizzazioni ne di un virtuoso “piano del traffico”, tutte attività a carico, evidentemente dell’amministrazione cittadina, come se Civitavecchia si esaurisse nel suo porto e nel suo polo energetico. Riguardo il traffico urbano ci si limita a dire:

“La logistica urbana, infatti, rappresenta mediamente il 20% del traffico cittadino, ma inquina per il 30% delle totali emissioni di CO2, creando dei forti problemi nelle città. Nasce dunque l’esigenza di ripensare le catene logistiche in maniera sostenibile, spostando le merci su trasporti a più basso impatto ambientale”.

Un po’ poco per un progetto con quel titolo.

La città é considerata principalmente nell’ottica della crescita:

“Progettare il recupero delle aree e la riqualificazione urbana: consentendo un’azione strategica di mappatura e pianificazione di spazi e luoghi inutilizzati da destinare a finalità produttive, sociali, educative e di ricerca per lo sviluppo economico e imprenditoriale”.

Non si considera la città come protagonista di una virtuosità ambientale, 50.000 abitanti che, anch’essi, necessitano di essere trasformati in cittadini “neutri”, per quanto possibile. Per esserlo hanno bisogno anche loro di un “progetto di transizione”. Si dice che:

“La produzione energetica sarà riconvertita e sarà incentrata sull’utilizzo di rinnovabili e di accumulatori di energia, in modo che Civitavecchia possa essere dotata di una potenza di rinnovabili sufficiente per renderla a zero emissioni e possibilmente non connessa alla rete, salvo che per opportunità di sicurezza di approvvigionamento in caso di emergenza”

Si ipotizza cioé la totale autosufficienza energetica della città:

“Sul territorio di Civitavecchia si propongono (omissis) impianti eolici off-shore di 270 MW, batterie per 36 GWh, impianti a H2 di 113 MW e impianti fotovoltaici di 655 MW complessivi…“,

senza mettere in previsione attività tese a renderla meno energeticamente dispendiosa e dove si dovrebbe se non nella organizzazione della città? Immagino che la “transizione ecologica” passi anche ad esempio per la riduzione del traffico privato e l’ampliamento di aree pedonalizzate e del TPL, confidare tutto nella completa e lontana elettrificazione del traffico pare davvero miope, anche perché nessuno ci garantisce che il “goal” venga davvero segnato, e dunque, non é forse sensato rivedere l’organizzazione urbana con il coinvolgimento, quindi, dell’amministrazione comunale? C’é da pensare che il porto sia ancora considerato corpo estraneo ed indipendente dalla città, non per niente, evidentemente, nelle analisi, si considera il raddoppio del parco veicoli legati al traffico portuale e curiosamente non si considerano variazioni al parco del TPL cittadino, una sorta di omissis.

Si prevede, con evidente assoluta fiducia, che in tre anni di lavoro si possa rendere la città ed il suo porto del tutto autosufficienti con l’installazione di impianti di produzione per più di 1.000 MW e di batterie per 36 GWh…., magari fosse.

Nel documento si affronta anche il tema del parco veicoli cittadino, occorre riconoscerlo:

“I veicoli immatricolati nel comune di Civitavecchia nel 2018 ammontano a 43.800, corrispondenti a 846 veicoli ogni 1000 abitanti”.

Secondo il Piano Energetico Regionale, occorre ridurre del 40% il parco veicoli privati rispetto al 2020 per reindirizzarlo verso il TPL ed altre forme di trasporto.

In questo progetto di transizione, si calcola il fabbisogno energetico considerando il raddoppio del parco camion commerciale legato al traffico portuale ma non é considerata alcuna variazione nel parco BUS del TPL, incremento, invece, previsto al momento di considerare la riduzione del traffico veicolare cittadino privato. La questione del traffico cittadino è però poco più di una citazione, vengono solamente citate alcune misure e non tutte finalizzate alla riduzione del parco auto o comunque del traffico, sarebbe magari bastato prendere qualche esempio altrove e farlo proprio come proposta del presente piano all’Amministrazione Comunale.

Il documento é ricco di dati, lo abbiamo detto, ricco di notizie ed indicazioni di particolare interesse, una di queste, nell’ottica del passaggio all’idrogeno, è un significativo grafico che mostra la previsione dei costi relativi alle tipologie di idrogeno: verde, grigio e blu. Nella considerazione che i costi di produzione hanno un notevole peso nelle scelte, il grafico lascia immaginare come dal 2031 l’idrogeno potrà essere realmente “green” essendo competitivo con le altre modalità. Un argomento interessante nelle discussioni con chi nega che l’idrogeno sia realmente verde per l’energia che richiede la sua produzione.

La soglia critica del costo di produzione potrebbe essere quella dei 50 Euro per MWh attorno al 2031, ma le normative potrebbero anticipare i tempi.

“Al 2030, (omissis) l’idrogeno costerebbe da 3,7 a 5,9 €/kg. Infine, nel lungo periodo, supponendo che il costo di generazione dell’elettricità fotovoltaica scenda a 35 €/MWh, ancora con fattore di carico del 17,7%, l’idrogeno costerebbe da 2,1 a 4,4 €/kg.”

Altro dato interessante é il risparmio, in termini di inquinanti, che potrebbe portare l’elettrificazione delle banchine. La tabella che segue mostra la quantità di inquinanti risparmiata su base annua e per tipo banchina.

In conclusione va riconosciuta la ricchezza di contenuti di questo documento, una gran mole di dati, ma manca una linea strategica, mancano le scelte, appunto, strategiche, come se, ad esempio, una casa automobilistica decidesse di occupare ogni settore del trasporto, dall’ utilitaria alla gran lusso alla sportiva senza farsi mancare gli autobus ed i TIR. Manca una scelta di indirizzo coerente con la mission della “transizione ecologica”. E’ tutto un incremento di traffici di ogni tipo cosa che fa sorgere dubbi relativamente all’efficacia ecologica del piano anche in considerazione del fatto che tale crescita indiscriminata incrementa notevolmente la quantità di energia richiesta. La città da decenni si chiede se deve avere una vocazione turistica o industriale, su questo il piano non fa una chiara scelta, né propone alternatività, una scelta che appare necessaria nell’ottica della transizione ecologica di Civitavecchia. In realtà il documento spende molto più spazio e molti più argomenti per l’aspetto che riguarda l’incremento dei traffici e dell’industria che quanto speso per la voce turismo. Mancano altresì considerazioni puntuali sugli attori di questa transizione, sul loro ruolo nel progetto, ad esempio cosa e quando dovrebbe fare, l’autorità comunale nell’ambito di questo processo. Il piano prevede attività che hanno bisogno di attori che la devono avviare, soggetti che debbono essere coinvolti nell’azione, una maggiore attenzione su chi deve fare cosa sarebbe quindi auspicabile in un documento che si chiama “piano”.

L’impressione che siano solo parole per fare “impressione” c’é tutta.

LUCIANO DAMIANI

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